“Chi accoglie un bambino accoglie me”, il grido dei pediatri davanti alla tragedia di Gaza

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  25 maggio 2025 13:32

«Chi è il più grande nel Regno dei cieli?» chiedono i discepoli a Gesù. E la risposta, spiazzante e potente, arriva attraverso un gesto: Gesù chiama a sé un bambino, lo pone al centro e dice che solo chi si farà piccolo come lui potrà entrare nel Regno. Non basta accogliere i bambini: bisogna farsi come loro. Aggiunge poi una delle frasi più dure del Vangelo: “Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli… meglio per lui sarebbe affondare nel mare con una macina al collo”.

Questo ammonimento, pronunciato duemila anni fa, suona oggi più attuale e necessario che mai.

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Lo ricorda con forza la FIMP Catanzaro, la sezione provinciale della Federazione Italiana Medici Pediatri, che ha diffuso un comunicato sconvolto e indignato davanti alla notizia della morte di nove dei dieci figli della dottoressa Alaa Al-Najjar, pediatra palestinese, rimasta in ospedale a curare bambini mentre la sua famiglia veniva sterminata sotto i bombardamenti a Gaza.

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Di fronte a questa tragedia – che ha il volto dell’assurdo e dell’ingiustizia – i pediatri non possono tacere. Non basta commuoversi, non basta piangere. È il momento di scandalizzarsi, nel senso evangelico più profondo del termine: lasciarsi ferire dal male, rigettarlo, reagire. Perché, come scrivono: “C’è un punto in cui il dolore dell’altro ci interpella come se fosse nostro. E chiunque l’abbia vissuto o visto non può restare lo stesso.”

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Il dolore di Alaa è il dolore di ogni pediatra, di ogni madre, di ogni padre, di ogni essere umano che non ha dimenticato di essere, prima di tutto, figlio. È il dolore che chiede giustizia, pace, verità. È il dolore che, come ci insegna Gesù, non può essere ignorato, giustificato, minimizzato.

Oggi più che mai, le parole del Vangelo ci giudicano: “Chi accoglie un bambino nel mio nome, accoglie me.” Ma chi lascia che i bambini vengano colpiti, uccisi, dimenticati… chi sta in silenzio davanti a questo, sta anche voltando le spalle a ciò che di più umano – e divino – abita in noi.

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