Non dobbiamo preoccuparci troppo di ciò che sta accadendo: in ospedale ci cureranno, andrà tutto bene!
No, per i cittadini di Corigliano-Rossano non può affatto andar bene. A quasi un mese dallo scoppio della pandemia non è stato ancora aperto un punto COVID-19 nella zona jonica settentrionale calabrese e – cosa ben più grave – viene ridotto l’orario di accesso al pronto soccorso dell’ospedale “G. Compagna” e chiuso il reparto di neurologia.
Il P.O. “Compagna” è ormai da tempo in una lunga, lenta agonia. È un malato incurabile, destinato a morte certa, premeditata. Purtroppo, a noi “comuni mortali” non è dato capire quali logiche abbiano mosso il trasferimento presso lo Spoke dell’area urbana di Rossano dei reparti di otorino-laringoiatria, ortopedia e chirurgia. Sappiamo, però, che questo atteggiamento è l’emblema della distanza tra politica e cittadini che si attua a colpi di Decreti del commissario ad-Acta di turno per portare a termine l’attuazione del piano di rientro del disavanzo del settore sanitario della Regione Calabria sottoscritto il 17/02/2009 sotto la giunta Loiero. Da quel momento in poi, quello che doveva essere un “ammodernamento tecnico-strutturale degli ospedali calabresi”, ha prodotto un impoverimento-se non un annientamento- dell’offerta sanitaria dell’area Jonica dove per prenotare un esame ci sono liste di attesa di mesi e mesi.
“Stiamo pagando gli errori compiuti nel passato: no agli sprechi, si alla qualità”, risuonava nell’arena della scena politica una nota dell’ufficio stampa della giunta regionale guidata da Scopelliti. Allo stesso tempo, si approvavano “schemi di contratto tipo con aziende del settore sanitario privato” nel decreto n.20 del 04/03/2011. In poche parole da un lato la politica dei tagli si preoccupava di risanare debiti che i cittadini di certo non avevano prodotto, d’altro canto si finanziavano le prestazioni e le gestioni di strutture private.
Ad ogni modo, una riorganizzazione sanitaria non significa dismettere del tutto un ospedale come è accaduto ad esempio per Trebisacce e Cariati, lasciando senza copertura sanitaria i quasi duecento mila residenti della costa jonica settentrionale che, nella stagione estiva, raddoppiano.
Non è la prima volta, allora, che la cittadinanza si sente depauperata, scippata, minacciata e privata del Diritto alla Salute. Come è lontanamente pensabile che, in questo momento storico – in cui tutto il mondo si appresta a potenziare l’assistenza sanitaria o quanto meno a non distruggerla – la Regione Calabria non contribuisca allo sviluppo del mantenimento dello stato di salute della propria popolazione in bisogno di assistenza?
Non solo per l’alta specialità, ma allo stato attuale, la Calabria non è in grado di garantire neanche i L.E.A., i livelli essenziali di assistenza. E non è retorica, bensì statistica, perché “Un paziente su sei si ricovera fuori regione”, afferma Alberto Ricci et al. in una ricerca condotta attraverso l’osservatorio interregionale per lo sviluppo dei servizi sanitari del Cergas Bocconi – e l’aspettativa di vita in buona salute degli italiani varia dai 52 anni della Calabria ai 69 della PA di Bolzano” (2018). E ciò si traduce, oltremodo, in un debito per le casse regionali calabresi verso le regioni erogatrici che ha raggiunto cifre esorbitanti. In sostanza, ciò che i dati dimostrano è una sofferenza della sanità calabrese che politiche di intervento sbagliate hanno reso tale. Si persevera, dunque, nel comportamento lesionista e distruttivo della chiusura di ospedali, trasferimento di reparti, riduzioni di posti letto, aumento di tickets , allungamento delle liste d’attesa. Stavolta è “solo” il turno P.O. “Compagna”.
In mezzo a tanto orrore , una domanda sorge spontanea. Se dopo undici anni di P.d.R. e sette di commissariamenti, il deficit è aumentato invece di diminuire, i servizi al cittadino si sono abbassati o azzerati fino a peggiorare l’aspettativa di vita dei calabresi, l’esodo verso le altre regioni è quadruplicato, allora forse non è il momento di chiedersi se invece della cura giusta questa sia una definitiva condanna a morte?
Se ne avete il coraggio, il ”vostro” P.d.R. andate a raccontarlo a chi non può permettersi le cure fuori regione e muore. Noi andremo a raccontare, invece, che dietro l’acronimo “P.d.R.” ci sono decenni di sprechi e mancanza di pianificazione, in una parola: mala gestio. Si, perché tutto ciò ha le sembianze di un “disordine organizzato”, come lo chiama il P.C. della Dda di Catanzaro Nicola Gratteri, poiché quasi il 75% del bilancio della regione è destinato alla sanità.
Noi cittadini siamo stanchi. Ora che avremmo bisogno di rassicurazioni, ci sentiamo non solo come i personaggi di un romanzo apocalittico, ma anche vittime e spettatori di una diffusa ingiustizia sociale. Ad ogni voce di protesta organizzata viene contrapposta la soluzione del fantomatico ospedale unico della Sibaritide che di unico ha una sola cosa: non esiste.
Anche se sarebbe meglio dire, oltre al danno la beffa.
Carla Tempestoso
(per conto di un gruppo di cittadini di Corigliano-Rossano)
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