Un "informatore della cosca".
Così gli inquirenti definiscono Antonio Dieni, 46 anni, appartenente alla Guardia di Finanza indagato nell'operazione denominata "Imponimento" con l’accusa di rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio, anche con l’aggravante di aver commesso il fatto al fine di procurarsi un indebito profitto patrimoniale, oltre che con l’aggravante della modalità e finalità mafiosa.
Perché di fatto l’estensione del raggio d’azione su cui la cosca era in grado di esercitare il suo controllo, e la diversificazione dei settori, "prevedeva - scrivono gli inquirenti - necessariamente, un altrettanto estesa rete di informazione e “tutela” curata da un notevole numero di personaggi posti a vedetta dei luoghi più importanti (abitazione del boss e dei suoi familiari, luoghi di incontro, vie di transito su Filadelfia), utilizzati quali tramite per l’effettuazione di comunicazioni telefoniche o, ancora, quali informatori della cosca".
Secondo il capo di imputazione "violando i doveri inerenti alle sue funzioni e comunque abusando della sua qualità di Pubblico Ufficiale, quale appuntato della Guardia di Finanza (all’epoca in servizio presso il Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Catanzaro – G.I.C.O.), acquisiva notizie d’ufficio che dovevano rimanere segrete, le rivelava e ne agevolava la conoscenza". In particolare, Dieni "forniva a Francesco Iannazzo informazioni circa il fatto che fossero in corso indagini su di lui e su Pierdomenico Iannazzo, notizia corrispondente al vero (nella misura in cui effettivamente il G.I.C.O. stava effettuando indagini nell’ambito del p.p. n. 4826/2015 rgnr DDA di Catanzaro su personaggi gravitanti nell’orbita della cosca Iannazzo, quindi collegati ai suddetti) e divulgata in considerazione delle ripercussioni che potevano derivarne, a discapito del sodalizio ‘ndranghetistico denominato cosca Iannazzo di Lamezia Terme. Con l’aggravante di aver commesso il fatto per agevolare l’associazione per delinquere di stampo ndranghetistico denominata cosca Iannazzo di Lamezia Terme".
Non solo una finanziere. Nelle carte c'è anche il nome di Pietro Verdelli, assistente capo della Polizia di Stato, attualmente in servizio all’ufficio immigrazione della Questura di Cosenza. Secondo le accuse "violando i doveri inerenti alle sue funzioni e comunque abusando della sua qualità di Pubblico Ufficiale, quale Assistente Capo della Polizia di Stato, acquisivano notizie d’ufficio che dovevano rimanere segrete, le rivelavano e ne agevolavano la conoscenza. In particolare Verdelli – informato sul punto dal Monteleone quindi da questi compulsato - si interessava della vicenda relativa al controllo effettuato da parte di personale dell’Arma dei Carabinieri nei confronti del suddetto Monteleone; successivamente, forniva al Monteleone le informazioni da lui acquisite, rivelando che il suddetto controllo – e la relazione di servizio che ne era scaturita – aveva ad oggetto un incontro del suddetto con Anello Rocco cl. 61 e Bellissimo Nazzareno; quindi Monteleone divulgava la notizia informando della situazione i medesimi Anello e Bellissimo in considerazione delle ripercussioni che potevano derivare dal suddetto monitoraggio, a discapito del sodalizio ‘ndranghetistico di comune appartenenza".
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