UNIVERSITA'/ IO RESTO QUI. Daniele Corasaniti: "La Calabria, la complessità e noi"

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Daniele Corasaniti
  29 gennaio 2020 17:40

Continua il dibattito sulla scelta di restare a studiare in Calabria (LEGGI QUI). 

di DANIELE CORASANITI*

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Mentre scrivo queste righe vedo scorrere davanti a me i risultati delle elezioni regionali calabresi. Un esito scontato per molti versi, non saprei dire quanto rilevante: in ogni caso auguri agli eletti, agli elettori e ai non elettori (la maggioranza, purtroppo). Scrivo e guardo questi risultati, sotto un cielo tiepido di un inverno clemente, la playlist di Brunori di sottofondo ed i pensieri che scorrono. 
Io resto in Calabria è stato un tema, oltre che una lista, di questa competizione elettorale svoltasi nel clima arroventato di uno scontro acceso e trasversale, brutale e vuoto, massiccio e inconsistente. 
Restare in Calabria, tuona qualcuno, è un obbligo morale, un dovere, un comandamento. Lo si dice nei provinciali talk show che ogni tanto svariate emittenti televisive o pompose presentazioni di libri rilanciano, richiamando la coscienza civica di ognuno di noi a non mollare, a resistere, a combattere. La coscienza civica, il civismo lo chiama qualcuno. Mentre chi va via viene tirato per la giacca, nella narrazione vittimizzante delle migrazioni forzate: a volte ritenuti sfortunati, altre volte responsabili, altre volte ancora codardi.
Scrivo, lo faccio con il brano Lamezia-Milano di sottofondo, la metropoli che ancora incanta, la provincia ferma agli anni Ottanta, l’Italia che sventola bandiera bianca Na-na-na-na. 

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È chiaro che in una terra che vive un’emorragia migratoria in uscita il dibattito sull’esigenza di far rimanere o far tornare coloro che si allontanano o hanno intenzione di allontanarsi rappresenti un tema sempreverde di discussione politica. Tuttavia, occorrerebbe ragionare a monte e non a valle, interrogarsi sulle cause, sulle occasioni mancate, sui piccoli e grandi passi che si possono fare, evitando magari quella semplificazione che la società liquida ci ha da lungo tempo consegnato e insegnato.
Perché c’è una retorica insopportabile in tutto ciò. Un’impostazione del dibattito fondato su una serie di considerazioni che disattendono con prepotenza e presunzione la realtà che ognuno di noi vive sulla propria pelle. Restare in Calabria (o ovunque si vada) non è una sfida, non è un totem ideologico al quale attenersi, non è un capriccio e forse nemmeno un sogno. 
Ognuno di noi sceglie di rimanere o di andare via non per raccogliere una sfida che questa terra, o la sua classe dirigente, gli pongono. Andare o restare, partire o tornare, sono le strade naturali che rispondono ai principi basici e finalistici dell’esistenza umana: la soddisfazione personale, culturale, affettiva, economica, sanitaria o sociale di ognuno di noi; che si affiancano alle abitudini, ai valori, ai costumi che compongono le storie di ognuno.
Non è tempo di illusioni, sopite dietro le stagioni dei malcontenti popolari. È tempo invece di cogliere le opportunità e le sfide che l’epoca della globalizzazione ci pone. 
E allora, per iniziare. 
Si sente spesso dire, ancora una volta con una certa retorica, che la politica degli ultimi 40-50 anni ha fallito la sua missione, mentre mai viene puntato il dito sulle complicità di un sistema imprenditoriale arroccato sulle certezze di una cultura patriarcale: l’autoconservazione dello status quo, uno spirito di innovazione carente o inesistente, un’assenza di visone di lungo raggio. 
Le università calabresi, poi, sempre al centro degli occhi speculativi più che di quelli della filiera produttiva scientifica e culturale, sono lo specchio di queste contraddizioni. 
Chi determina i processi decisionali nei nostri piccoli centri urbani? Chi sceglie cosa è sacrificabile e cosa va valorizzato? La meritocrazia, si sente dire, in Calabria è deprezzata nella logica intransigente degli abusi di potere. Ci si trincera in questa rassicurante considerazione, liquidando la questione sociale sottesa, non guardando a quale altezza il nostro ascensore sociale è rimasto bloccato. 

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Chi rimane in Calabria, investendo in Calabria? Chi sono i calabresi dai quali si può ripartire? Chi sono i martiri immolatisi nella terra di nessuno?
Sono quei pochi fortunati che da un capitale di partenza non sono fuggiti; sono coloro che lo hanno valorizzato; sono quelli che hanno coltivato l’arte della conservazione e dell’adeguamento: della resilienza. Sono eroi, forse. No. Sono uomini e donne che hanno risposto alle circostanze della vita in maniera diversa, attivamente o passivamente, magari diventando anche chi hanno sempre voluto essere. Ma eroi, ecco, eroi no. 
La Calabria non è terra di eroi. E le contrapposizioni fra gli eroi che rimangono e i non-eroi che vanno via non è solo deleteria, ma fuorviante rispetto alla complessità di questo poco serio dibattito. 
Conta, invece, guardarla in faccia quella complessità, senza le ipocrisie dei riflettori. Prendere atto di una ferita aperta che fa male, ma che non saranno l’autocommiserazione o le esaltazioni ad estinguere. Piuttosto un approccio più serio, specifico e realistico alla varietà di problemi che i cittadini di questa terra vivono quotidianamente e non verranno di certo risolte attraverso le tante ed inutili generalizzazioni di cui certamente si sono stancati. 

Da dove partire, dunque? Per ogni viaggio che si intraprende è bene sempre munirsi degli strumenti necessari ad evitare gli ostacoli. Ed oggi gli ostacoli sono a monte: nella semplificazione accecante e distorta. Occorre educare alla complessità, sviscerarla, comprenderla nei suoi tratti essenziali e determinanti. Che non significa ore di educazione civica nelle scuole, o almeno non solo, ma abbattere il muro di specchi di facili narrazioni. Quelle che hanno stancato e ridicolizzano intere generazioni di emigranti, demonizzandole o beatificandole, ma senza mai tendere verso di loro una mano concreta alla quale affidarsi.

                                                                                                                                               *studente della Scuola di Specializzazione Professionali Legali dell'Università Magna Graecia

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