Teresa Mengani: “Togliere i libri alle donne non farà nascere più figli, ma toglierà libertà e cultura”

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  14 novembre 2025 14:55

di TERESA MENGANI

Ci sono frasi che non meritano solo una critica: meritano una radiografia completa, perché al loro interno non c’è soltanto una provocazione di cattivo gusto, ma un universo intero di immaginari regressivi, di paura del cambiamento, di nostalgia per un passato che non è mai stato davvero tale.

L’articolo di Camillo Langone, per quanto datato, appartiene a questa categoria: un concentrato di paternalismo travestito da opinione, un suggerimento medievale pronunciato con la leggerezza di chi non percepisce la gravità di ciò che afferma.

“Togliere i libri alle donne” significa una sola cosa: che le donne, per essere più funzionali, più duttili, più disponibili a un progetto riproduttivo immaginato da altri, dovrebbero essere meno istruite. È un pensiero che affonda le radici nelle peggiori ideologie del Novecento, quelle che associavano l’istruzione femminile alla ribellione, alla sterilità, alla decadenza sociale.
È la negazione più radicale dell’autonomia.
Prima si toglie il sapere, poi si regola il comportamento.

Il corpo, infine, diventa un territorio pubblico: da gestire, da normare, da utilizzare.
Dietro questa affermazione non c’è solo misoginia: c’è la paura ancestrale della libertà femminile, perché una donna che legge sceglie. E scegliere è il vero scandalo.

Il sottinteso più velenoso della frase di Langone è che la maternità sia un gesto quasi meccanico, un automatismo che riemerge quando la donna viene privata di stimoli culturali. Come se fare figli fosse un esito naturale dell’isolamento intellettuale.
Ma la maternità è un progetto complesso, che richiede consapevolezza, sicurezza, possibilità, supporto sociale.

Le donne non fanno meno figli perché leggono: fanno meno figli perché vivono in un mondo che rende la maternità difficile, solitaria, costosa.
E allora sì: forse servono più libri, non meno.
Libri che diano voce alle donne, che raccontino cosa significa davvero mettere al mondo un figlio, conciliare lavoro e famiglia, affrontare la precarietà economica, la mancanza di servizi, l’aspettativa di essere tutto per tutti.

L’idea che l’istruzione femminile “danneggi” la natalità è una narrativa utile a chi concepisce il progresso come una perdita di potere personale. Una donna che legge, studia, lavora, partecipa alla vita pubblica, smette di essere definita solo dai suoi ruoli biologici.
Diventa cittadina.
E la cittadinanza, per alcuni, è un lusso che le donne non dovrebbero permettersi.
Ma la verità è che la cultura non impoverisce la società: la arricchisce.

Una donna istruita è una madre, una professionista, una persona più capace di orientarsi, contribuire, innovare.
Una donna istruita non toglie nulla alla comunità: le dà tutto.
Il vero passo indietro non lo faranno le donne, ma chi vuole zittirle
Langone propone di togliere libri.
Noi, invece, dovremmo proporre di aggiungere voci.
Di moltiplicare gli spazi di espressione femminile, di rafforzare la presenza delle donne nella cultura, di difendere il loro diritto alla complessità e alla contraddizione.

Di riaffermare con forza che la libertà intellettuale non può mai essere considerata un ostacolo, ma sempre un fondamento di civiltà.
Se c’è qualcosa da togliere, semmai, non sono i libri:
sono le idee che pretendono ancora oggi di relegare le donne al silenzio, alla docilità, alla riproduzione come destino prestabilito.

Le donne torneranno a fare più figli quando potranno farlo davvero liberamente, senza rinunciare a sé stesse.
E questo, al contrario di quanto afferma Langone, accadrà solo aggiungendo cultura, diritti, tutele, opportunità.
In altre parole: aggiungendo libri, non togliendoli.


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