di Vanni Clodomiro
Vogliamo premettere che è sempre difficile entrare nel cuore e nella mente di uno scrittore o di un poeta: a volte, il critico riesce a vedere anche cose che non ci sono. Tuttavia, noi non possiamo che accontentarci comunque di ciò che a noi appare, dandone un’interpretazione la più vicina possibile a quello che riteniamo essere il vero animo del poeta.
Il libro di Giulia Aloia si apre con una descrizione di varie “figure”, incerte o sicure, che si muovono alla ricerca di una reale identità. In verità, questo primo brano offre la sensazione di trovarsi, di fronte a riflessioni filosofiche in qualche modo prestate alla poesia. Come è sempre stato nel corso della storia degli uomini, anche qui, in questa raccolta, si coglie il senso contraddittorio della realtà e della vita: si passa dalla quasi ordinaria osservazione dei modi di vita, comuni ma desueti, al gioioso ma disincantato sentimento della natura e al ritmo dell’esistenza di giovani ancora ignari del loro destino, e comunque speranzosi di un felice avvenire. Ma è la natura che domina la scena, fatta di verde, fatta dell’inutile volo del gabbiano, fatta di mare in tempesta... il cuore e la mente dell’Autrice si elevano in una sorta di sovramondo, in cui, pur in panorami diversi, sono comunque essi ad avvertire il tutto, vivendolo appieno, come in un lampo che disvela ogni cosa. I versi di Giulia Aloia si distendono dolcemente nell’ascolto di una specie di canto del cuore, capace di captare, e rilanciare nell’aria, i battiti segreti del mondo e della natura. Anche negli antichi e semplici sapori perduti dell’orto si riesce a ritrovare «l’io profondo andando a ritroso» nel tempo: è un sentimento di prossimità e di fatalità che accomuna gli uomini: «Ascoltare e assecondare l’istinto affranca l’animo dalle passioni». È un po’ come l’arte di manzoniana memoria, che funge da elemento catartico per l’animo umano. E al mattino, il nuovo giorno risveglia insieme i corpi caldi e i sensi voluttuosi, donando alla vita le dolci coccole, magari senza più quei muri di pietra, che spesso la società erige.
C’è dunque anche un impegno civile nei versi dell’Autrice: il rispetto. Rispetto, oltre che per la natura – della quale Giulia appare sempre innamorata –, per l’umanità che risiede in ciascuno di noi. E proprio a proposito dell’umanità, a un certo punto, si scorge una profonda capacità dell’io di guardare in se stesso. E allora si apre un mondo nuovo, intimo, forse non ancora disvelato, ma che esiste: è lì, silenzioso ma attento, che comincia a scrutarsi a fondo, con la giusta cedevolezza, ma anche con lucida razionalità. E poi, l’io guarda anche al ruolo della donna nella società, abituata questa a considerarla quasi esclusivamente come moglie e madre: c’è una sorta di passo indietro, per cui viene forse, nella donna, ignorata nella sostanza la sua femminilità. In questo modo, la poetessa – i cui atteggiamenti ricordano in qualche modo il senso shakespeariano della femminilità – guarda in sè, nei suoi profondi silenzi, rovistandovi dentro, da donna matura, e rinvenendovi magari il vero volto dell’anima, talora priva di prospettiva. In fondo, il suo desiderio è quello di ritrovare una solidarietà perduta.
L’impressione che Aloia suscita nel lettore è quella di una qualche alternanza della sua musa ispiratrice, che porta la poetessa a soffermarsi ora sull’animo umano, ora sul mistero profondo e pieno di fascino della natura, che provoca un autentico palpito del cuore, un palpito forte di fronte alla grande varietà di ciò che ci circonda. Ma, anche quando si sofferma sui moti dell’anima, sul desiderio di un sia pure fugace saluto all’amico, non trascura mai la sensazione intima della grande bellezza della natura: cuore e terra, terra e cuore. In questo, forse, consiste il succo della poesia di Giulia Aloia: un sentimento cosmico, che si immerge nell’infinità del Tutto. C’è insomma, un senso religioso dell’esistente, che si tramuta poi nell’osservazione del semplice, delle piccole cose che la quotidianità ci offre, e sulla quale corre lo sguardo di chi pensa e riflette sul nostro mondo. Ci sembra dunque di assistere ad un lirismo costante, in una sorta di voluta confusione e molteplicità di sguardi, attraverso i quali la scrittrice tenta in vario modo di portare alla luce la natura sostanzialmente romantica della sua sensibilità, pur rimanendo legata alle esigenze di uno stile piano, scorrevole e lucido. Peraltro, a questa, per così dire, vocazione lirica corrisponde una consapevolezza adeguata dei fini e degli strumenti espressivi. Di qui, forse, il procedere quasi incerto e brancolante, che passa dall’ispirazione civile a quella psicologica e inevitabilmente autobiografica. Se all’inizio tutto ciò sembra un tentativo abbozzato, poi invece, man mano che la scrittrice procede, si precisa progressivamente l’incontro di un’accesa sensibilità, irta di tensione sentimentale, con un ideale di letteratura eloquente, per altezza di stile. Donde, anche, la concezione della parola come fonte di vita e di espressione di sentimenti puri.
Per quanto riguarda appunto lo stile, bisogna dire che questo è abbastanza curato e dimostra l’attenzione dedicata dall’A. alle frasi semplici e chiare, al di qua di ogni tentativo di retorica o, peggio, di preziosismo letterario. Insomma, l’Autrice dimostra un’indubbia perizia espressiva, mantenendosi lontana da certe involuzioni lessicali che spesso si riscontrano in autori e autrici di presunte poesie, difficili da comprendere anche a livello logico e grammaticale: si confonde evidentemente la licenza poetica con l’eccesso di ermetismo, per cui, francamene, si vede scadere la vera poesia e l’autentico afflato sentimentale, che per fortuna all’Autrice di questo libro non mancano. Lasciamo dunque le vere licenze a Dante o a Leopardi.
Infine, per concludere, avremmo una piccola annotazione, da mettere in buona evidenza, sul titolo della raccolta: ci sembra cioè che, in realtà, lo sguardo di Giulia Aloia non sia tanto sul mondo, quanto piuttosto dentro il mondo. Avremmo comunque gradito qualche riflessione di tipo filosofico in meno, in modo da vedere ancor più libera, e ancor meglio distesa, la pura vena poetica. Questo ci porta a sperare che, in una prossima e più matura esperienza, la scrittrice si spogli del tutto da quelle riflessioni, per dare più ampio sfogo a quella propensione lirica cui abbiamo fatto cenno: la raffinatezza metafisica raffredderebbe la poesia.
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