2 Novembre a Lamezia, mons. Parisi: "Possiamo costruire comunità rinnovate se diventiamo dono gli uni per gli altri”

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  02 novembre 2023 18:07

 “Uscendo da qui, da questo luogo dove siamo venuti ad onorare i nostri defunti, siamo chiamati a svolgere un compito di riconciliazione.  Onoriamo così i nostri cari: se qualcuno di noi ha un nemico o immagina che l’altro possa considerarlo un nemico, mettiamo da parte la superbia, quella pretesa che ci fa dire “è l’altro che deve venire da me…”, e andiamo noi dall’altro, riconciliamoci. Riscoprire la forza della riconciliazione significa dare a noi stessi la possibilità di vivere liberati: il perdono è un atto di grazia che chi perdona anzitutto fa a sé stesso e poi comunica all’altro.  Allora il mondo comincerà ad essere davvero nuovo, inciderà l’amore di Dio e ne godremo tutti”. 

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È un forte appello alla riconciliazione fraterna e alla responsabilità verso gli altri “per costruire comunità rinnovate”, quello rivolto dal vescovo di Lamezia Terme monsignor Serafino Parisi che, nel giorno della commemorazione di tutti i fedeli defunti, ha presieduto l’Eucaristia nei tre cimiteri cittadini di Sambiase, Nicastro e S. Eufemia.

“Gesù – ha proseguito il vescovo di Lamezia - nel gesto di consegnare la sua vita sulla Croce, ci ha detto che se vogliamo dare senso all’esistenza e mostrare all’umanità il volto di Dio, c’è una sola strada possibile: la cura dell’umanità ferita, la cura di un’umanità che attende la mano tesa da ognuno di noi per potersi risollevare. In questo trova sostanza la parola “amore”, parola di cui spesso ci riempiamo la bocca con facilità e che poi non riusciamo a declinare nella nostra vita.  L’ho detto l’anno scorso e voglio ripeterlo in questa occasione: il metro delle nostre politiche sociali deve essere il respiro ansimante dell’ultimo e il passo claudicante di chi resta indietro. Lì si misura non il nostro essere cristiani, ma da qui si misura il nostro essere persone umane: dall’accompagnamento di chi non ce la fa, dal sostegno a chi fatica a camminare e a vivere”.

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Da qui, quindi, l’esortazione alla responsabilità perché “l’amore deve manifestarsi concretamente immettendo novità nella storia.  Se vedo un uomo per terra, sfinito, e mi disinteresso a lui, se non lo considero, se non mi interpella: non ci potrà mai essere amore, non ci potrà mai essere società, non ci potrà mai essere comunità. Ma se l’altro mi interpella e io, con responsabilità, mi interesso della vita dell’altro, mi faccio responsabile della vita dell’altro, mi prendo cura di lui: allora costruiamo relazioni che superano, anzi, non considerano affatto la legge del mercato ma solo la legge del dono. La responsabilità per l’altro mi chiede di essere dono per lui, la mia vita ha senso se è una vita offerta “per-dono” nei confronti dell’altro. Prendersi cura dell’altro non significa solo risolvergli il problema presente, ma significa responsabilizzarsi perché la cura di oggi possa servire per il futuro di chi si trova in difficoltà, di chi è ultimo.”

All’immagine tratta dal libro del profeta Isaia, che descriveva una riunione di tutti i popoli convocati da Dio sul monte, si contrappone lo scenario attuale “segnato da guerre ovunque, dalle guerre che sono all’attenzione ogni giorno dei mezzi di informazione alle tante guerre di cui non si parla, per cui Papa Francesco parla di “terza guerra mondiale a pezzi”. E poi ci sono i focolai di guerra nelle nostre comunità, nelle nostre famiglie, nei posti di lavoro”.  Ma Dio – ha rimarcato Parisi – “ci chiama a mettere insieme le nostre potenzialità e vivere non nello stesso metro quadro per farci la guerra, ma per vivere relazioni autentiche di fraternità.  Isaia ci dice che il Signore strapperà il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e si rivelerà all’uomo come il Padre della speranza, della riconciliazione,  come Colui che si china sull’umanità affranta e asciuga le lacrime dai nostri occhi.”

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