25 Aprile: liberazione dall'autoreferenzialità

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L’avvocato Nunzio Raimondi
  25 aprile 2020 13:36

In effetti l’affermazione contenuta nell’editoriale di oggi di Enzo Cosentino ”... in ogni angolo o quartiere “nasce” ogni giorno un leader purtroppo di se stesso o di gruppetti sempre più striminziti. Un vuoto, che non sempre è conseguenza di assenza di capacità ma di capacità che purtroppo si prestano alla politica allettate da aiuti per raggiungere obiettivi personali”), pubblicato su questa Testata, mi trova perfettamente d’accordo.

Da essa voglio trarre spunto, però, per affrontare un tema più generale, riproposto, anche di recente, con il c.d. “caso Tarro”. Non voglio entrare nella querelle sul caso “Villa Bianca” perché ben altri qualificati interventi tecnici saranno in grado di dirimere la questione (e sperabilmente non ispirati da ragioni di mero contrasto politico), ma m’interessa evidenziare un aspetto della comunicazione pubblica che Cosentino mette in luce (seppur limitandola al piano politico) e che, invece, investe un po’ tutti i settori della società.

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Parto dal “caso Tarro” per spiegarmi meglio.

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La trasmissione televisiva “Non è l’Arena” ha invitato a parlare dell’emergenza Coronavirus un noto virologo italiano, il prof. Giulio Tarro. Su Tarro stesso e sulle cose che ha detto, la Società Italiana di Immunologia ha avuto da ridire addirittura con un comunicato stampa,che mi permetto di riportare integralmente perché introduce bene il tema di cui intendo dire: ”Fellini, oppresso dalla volgarità dei nostri tempi, terminò “La voce della luna” con uno splendido “ci vorrebbe un po’ di silenzio”. Sarebbe il commento più adatto al bailamme mediatico che accompagna il dramma epocale di Covid-19, bailamme che non si è privato della comparsa di Giulio Tarro, scienziato di modestissima caratura, autoproclamatosi candidato al premio Nobel per scoperte ignote alla comunità scientifica, falso esperto che ha ad esempio infilato nella trasmissione “Non è l’arena” una serie di opinioni personali fra sciacallaggio e becero ottimismo.

Chi cita le sue opinioni o lo interpella avrebbe il dovere di controllare il suo curriculum scientifico o almeno Wikipedia, dai quali sarebbe venuto a conoscenza che buona parte di quanto abbia detto risulta essere falso in tempi normali, ma notitiae criminis nel dramma che il paese vive! Avrebbe appreso che Tarro, pur “allievo” dello scienziato Albert Bruce Sabin (che ha sviluppato uno dei vaccini contro il virus della poliomielite), e con cui ha condiviso quattro lavori scientifici all’inizio degli anni ’70, ha pubblicato 68 lavori scientifici, molti dei quali su riviste italiane non “peer reviewed”, con un totale di 447 citazioni e un indice di Hirsch di 10.

Questi indici bibliometrici sono appropriati per un ricercatore all’inizio del suo percorso scientifico, non certo per un senior autoproclamatosi candidato al Nobel. Ad esempio molti membri della nostra Società Scientifica hanno decine di migliaia di citazioni nella letteratura scientifica internazionale e indici H superiori a 50 o100. Con semplici verifiche avrebbe anche appreso che Giulio Tarro, negli anni recenti, ha partecipato solo a quelle che nella letteratura scientifica internazionale sono definite “predatory conferences” e ha ricevuto “predatory prizes”, l’equivalente insomma delle “fake news” in rete.

Avrebbe anche appreso che Tarro ha sostenuto cure senza fondamento scientifico. Per questa sua dubbia reputazione e scarsa rigorosità scientifica, già negli anni 80, Giulio Tarro è stato espulso dalla Società Italiana di Immunologia, allora Gruppo di Cooperazione in Immunologia. Il “caso Tarro” è un’occasione per sottolineare ora come non mai, nell’emergenza Covid-19, quanto sia necessario che chi ha la responsabilità della comunicazione nei media verifichi l’affidabilità e correttezza della fonte, la correttezza delle affiliazioni e dei crediti scientifici, a salvaguardia del pubblico, dei pazienti, dei ricercatori e del personale sanitario in prima linea.”

Quest’ultima affermazione mi sembra un’ottima premessa per ritornare al sasso nello stagno gettato,come sempre acutamente, da Cosentino: perché vedo anch’io - dico eufemisticamente - molti NON ADDETTI AI LAVORI, sortire dal nulla per esprimere sostegno,puntello o soccorso,all’una od all’altra opzione,come se fossero autorità scientifiche o tecniche, le quali,a mo’ d’intellettuali navigati,si esprimano con un tale pressappochismo e sopratutto con una così supponente autoreferenzialita’ da far sprofondare il lettore “terra terra” (come me) in una sorta d’incolta preferenza fra opzioni e ragionamenti tanto impreparate quanto illogiche.

E ciò fanno, dice bene Cosentino, non sempre guidati dal tentativo, con la discussione, di contribuire al bene comune, ma semplicemente per mettere ostacoli sulla strada di una soluzione condivisa, magari perfino traendo spunto per “regolamenti di conti” politici.

Per esempio, ho letto una garbatissima nota del prof. Valerio Donato, che in quanto professore universitario ordinario e presidente della Fondazione “Magna Graecia”, ha pieno titolo per intervenire sul caso “Villa Bianca”,occupandosi egli stabilmente della formazione dei nostri studenti universitari e quindi anche della loro tutela in tempi di pandemia,il quale,a margine delle sue interessanti riflessioni sull’argomento,ha avanzato riserve -mi pare di aver capito- sulla collegialità della posizione assunta,sul tema,dall’intero PD catanzarese,

Una riserva a mio avviso -preciso che non sono iscritto al PD e non voglio in alcun modo occuparmi di fatti interni a quel partito politico - in generale fondata poiché è invalsa l’abitudine - e non solo durante questa epidemia che impone distanza personale che è l’esatto contrario della distanza sociale (che anzi dovrebbe essere “accorciata” proprio in ragione dei tempi d’emergenza), come ha spiegato bene e di recente prof. Cleto Corposanto - che alcuni “gruppetti striminziti” (Cosentino) od i potenti di turno, si attribuiscano il diritto di parlare per tutti (lo si vede anche in tanti altri partiti nei quali insorgono sempre più di frequente opinioni dissenzienti con la puntuale lamentela della mancanza di un confronto democratico interno al partito stesso).

E di questo ha fatto bene a lamentarsi pubblicamente il prof. Donato perché il caso “Villa Bianca”, di cui giustamente la politica discute auspicabilmente avvalendosi anche delle competenze tecniche necessarie (ad esempio l’altro giorno ho letto di un deputato del Movimento 5Stelle che,dall’alto della propria competenza scientifica,definiva “estemporanea” la proposta del prof. De Sarro che,come tutti sanno,prima di essere il Magnifico Rettore dell’UniversitàMagna Graecia”, è uno dei più qualificati farmacologi italiani, addirittura membro dell’AIFA) deve essere affrontato alla stregua di una serie di valutazioni tecniche e scientifiche (e quindi nel modo più ampio possibile), previo un tavolo tecnico (che il Sindaco Abramo ha fatto bene a proporre) al quale siano chiamate, prim’ancora che la politica, le istituzioni (infatti alle istituzioni era diretta la proposta del Rettore...),a cominciare dal Commissario del governo per la Sanità.

Ma torniamo al punto: qui tutti scrivano e parlano in pubblico di tutto.

Certo,la Costituzione tutela la libertà di pensiero e di espressione, ma chi legge o ascolta, non sempre possiede un livello di istruzione tale da poter discernere.

Di qui il compito del giornalismo,non quello che censura i nemici e promuove gli amici,ma quello che sa discernere, avendo cura di presentare un’informazione si plurale ma al contempo qualificata, per non finire nel “pandemonio” di cui ha scritto Cosentino.

Se si avesse cura, ad esempio, di leggere i testi prima di pubblicarli, si eviterebbe di bombardare l’opinione pubblica con argomenti illeggibili, magari anche di limitare, almeno sulle testate giornalistiche online, l’avanzata di quelli che giustamente Umberto Eco definiva “gli imbecilli del web”, si limiterebbe la strumentalizzazione di quelli che hanno scambiato i media per Tribune dirette a dare visibilità politica, elettorale, professionale, commerciale... e così via.

Scrivevo, non tutti sono in grado di discernere (certo non voglio dire che son tutti sciocchi...) e per questo l’informazione ha il compito di selezionare gli interventi cercando di non disperdere (anzi di incentivare) un patrimonio di cultura d’inestimabile valore umano, il quale consentirebbe alla collettività, sopratutto a quella meno colta - che sembra essere la maggioranza (sarebbe lungo analizzare “per colpa di chi” e quindi rimando l’argomento ad altro momento) -, di orientare,o perfino obbligare i meno attrezzati, a capire, approfondire la radice dei problemi, non ad essere addomesticati, come delle scimmiettte,da chi parla spesso senza autorevolezza e sopratutto senza competenza.

Certo, si sa, i galli che si beccano nel pollaio fanno vendere (o cliccare) di più, ma, a furia di incentivare - per ragioni di cassetta - il confronto verso il basso, la società finisce per precipitare anch’essa verso il basso.

Insomma, penso che occorra competenza ed esperienza per parlare in pubblico.

Tanti anni fà, da giovane avvocato, scrissi un articolo in materia processuale penale che poi venne pubblicato su Giurisprudenza di Merito e su Difesa Penale (due riviste, si direbbe oggi, di classe A).

Prima di mandarlo agli editori delle due rinomate riviste nazionali, mi recai dal mio Presidente dell’Ordine degli Avvocati dell’epoca, il compianto Avvocato Enzo Zimatore. Con tanto imbarazzo (all’epoca i giovani portavamo un sacro rispetto per gli avvocati più anziani...ciò che faceva della nostra Professione una scuola di educazione e stile) dissi: "Presidente, ho scritto questo articolo che è stato visionato dal mio Maestro ed approvato, potrei avere l’onore che sia pubblicato sulla Rivista dell’Ordine? Sa, prima di inviarlo ad altri, per quanto molto autorevoli editori, vorrei che fosse pubblicato sulla Rivista dell’Ordine di cui sono figlio".

Ricordo ancora la mano calda di Enzo Zimatore sul mio volto giovane e ricolmo di speranza: mi accarezzò dolcemente e mi disse: ”Figlio mio, sei troppo ragazzo per pubblicare un articolo scientifico sulla Rivista del nostro Ordine; non correre, ci sarà tempo per farTi conoscere ed apprezzare come Avvocato”.

Me ne andai sconsolato e si può immaginare come mi senta oggi guardandomi un po’ attorno.

Ho raccontato questo episodio per dire che il problema della competenza, del titolo per parlare in pubblico, ora dirò anche per amministrare e governare, il titolo di studio per chi vuol fare politica, sono temi tutti fra loro interconnessi.

Di questi ha detto recentemente, in un breve video, diventato rapidamente virale, Milena Gabbanelli - ovviamente non m’impunterei sul titolo di studio anche se almeno un “pezzo di carta” chi vuol fare il ministro, ma dirò anche l’amministratore locale (posto che si propone di governare una comunità - nazionale o locale che sia - dovrebbe averlo...) -, è condivisibile ed a mio avviso anche la soluzione proposta (una legge d’iniziativa popolare che imponga, come per chi vuol fare l’avvocato, l’ingegnere od il medico, di possedere quale requisito almeno quello di un documentato curriculum che esprima una decente competenza nel campo che si propone di governare od amministrare).

Perché se, effettivamente, in nome di leggi elettorali architettate ad arte, si è preteso di privilegiare la fedeltà al capo politico rispetto alla competenza ma, sopratutto, si è consentito a tutti di pontificare senza sviluppare controlli nel merito (non è forse anche questo un importante compito della Professione giornalistica?), se si consente per esempio ad uno, che ancora non ha fatto vedere cosa sa fare nella vita, di parlare pubblicamente con una sicumera tale che neanche il tono così scioccamente assertivo riesce a far digerire il monumento all’autoreferenzialita’ che egli si costruisce attorno, ci si assume una grande responsabilità.

Se uno, ad esempio, nell’arcipelago variegato del PD, si sente grato alla sua parte politica perché lo ha fatto nominare in un posto importante, questo imporrebbe al mondo dell’informazione di dire “carnea de chi era costui”? Da dove viene? Chi lo ha nominato ? E poi di pubblicare - ci mancherebbe altro - i contenuti che questo propone.

La risposta piccata della Società Italiana di Immunologia verso il prof. Tarro, non esprime - come si potrebbe immaginare a prima lettura - livore verso lo scienziato, ma rispetto per la scienza.

Chi pretende di essere giudicato - ad esempio nel mio campo - un “celebre Avvocato”, non deve aver fatto la Professione per meno di 25 anni conseguendo ampi e riconosciuti successi professionali.

Insomma, non si promuove l’inesperienza o perfino l’incompetenza - qualunque sia il motivo per il quale lo si fa -, perché in tal modo tutti si convincono di poter intervenire: ”ha parlato lui perché non dovrei farlo anche io”, in fondo siamo uguali...

Che strana idea di eguaglianza sta lì a guidare l’ignoranza!

E ciò accade perché, caro Direttore Cosentino, si dà visibilità alla bassa qualità e si fa decrescere complessivamente la coscienza culturale e civile del Paese.

Anche se egoisticamente verrebbe da dire: ma cosa ce ne frega di questi tuoi tormentoni quotidiani nei quali ti ergi a decisore circa eventi gravi della vita comune (a meno che tu non parli a nome di una tale maggioranza di persone che ti seguono come un esercito di soldatini o, peggio, non parli a nome di chi non puoi nominare, ma volendo far capire a tutti a chi ed a cosa ti riferisci, quali sono i tuoi, i vostri, obiettivi), rimane il fatto che non hai titolo per sentenziare, dividendo tu il torto dalla ragione.

A furia di deprimere la qualità alle riflessioni “alte” (ad esempio, ne ho letta una davvero pregevole di Aldo Casalinuovo e me ne sono talmente compiaciuto da sentire il dovere di scrivergliele anche riservatamente ed ora, qui, pubblicamente; ed una che, viceversa, mi ha fatto rabbrividire di uno che affermava - se non mi sbaglio - che “la colpa è un dolo meno intenso”...), si è finito per assicurare visibilità a persone che, ad occhio nudo, sembrano non avere lo spessore culturale per proporsi, ad alcun titolo, di fronte all’opinione pubblica.

Per quelli non più giovani il discorso è diverso - e forse più comprensibile -: rimanere sulla Tribuna mediatica è forse una necessità per chi magari c’è sempre stato ed ora non ha un ruolo da esibire, oppure per chi riesce in tal modo a trovare un riscontro sociale che nella vita non ha, in fondo, mai davvero ottenuto.

Anche qui questa visibilità quotidiana e senza filtri può solo danneggiare la società: può trasformare uno scienziato vero in uno studioso capace principalmente di autopromuoversi,anche brillanti giovani a cedere ad una surrettizia autoadulazione sotto forma di un branding che non esiste.

Questi social climber dovrebbero comprendere, se non diventano arrivisti alla spasmodica ricerca di un’identità da commercializzare piuttosto che da vivere, essendo molto spesso persone di valore, che possono invece diventare dei veri rocciatori, i quali si arrampicano si, ma non imboccando scorciatoie (e quella mediatica è una di queste), piuttosto, con tecnica e tanta fatica e sopratutto stando al loro posto e rispettando davvero chi porta su solide spalle ben altra esperienza. Essi non si mettono a fare i “professorini” (ridicoli imitatori della conoscenza, che è fuoco e non mero nozionismo), non sgomitano per trovare, un giorno e l’altro pure, una vetrina nella quale esibirsi.

Tutti questi cercano di farsi una reputazione col web, con i social et similia, mentre - come dice Gabanelli - farebbero meglio a dimostrare la loro competenza, preventivamente, con “elevazione delle proprie qualità salienti” (Domenico Foderaro) partendo dalle proprie effettive possibilità e accreditate attitudini (che spesso non basta una vita per ricercare e tentare di attuare), le quali però devono essere riconosciute da altri, muniti di adeguati requisiti.

Non bastano manovrine ben strutturate per essere davvero un grande professionista...alla faccia delle “logiche davvero piccole” che muovono l’agire, perlopiù sotterraneo, dei loro spesso mediocri promotori.

La perizia e l’ingegno in ciò che occorre per proporsi per qualsiasi attività professionale ed ancor di più per chi vuol cimentarsi in politica (che non è solo passione e servizio ma anche portata, tenuta competenza e comprovata esperienza), implica un quoziente naturale e strumentale di così alto livello da commisurare alla più alta posta in gioco; per la politica, ad esempio, il governo della cosa pubblica.

Né si può ammettere che l’esperienza, amministratori dichiaratamente incompetenti se la facciano a spese degli italiani, così come è inammissibile che, coloro che possiedono tutta l’esperienza ed i requisiti per governare,siano esclusi a priori dalla politica soltanto perché indipendenti o, peggio, disobbedienti davanti ai capetti politici che vediamo sfilare in passerella ogni giorno in TV nazionali e locali.

Capisco che la politica ha bisogno di questo livello basso perché il burattinaio operi senza problemi, ma la stampa no, la stampa può scegliere (non dico avere il coraggio di far dimettere il presidente degli Stati Uniti d’America...), può però almeno selezionare, può evitare di mettersi dalla parte della mediocrità... visto che siamo in periodo pasquale dirò...”per trenta denari”.

Per questo, a mio parere, pur avendo il dovere di dar voce a tutti, la principale funzione della libertà di stampa (da tutelare a tutti i costi, esclusi i casi nei quali la critica o la cronaca o entrambe non la possano giustificare nel rispetto che si deve al bene costituzionale del decoro e della reputazione, pubblica e privata, della persona umana), è proprio quella di raccontare la verità orientando l’opinione pubblica verso lo sviluppo democratico della Nazione, lavorando per accrescere (non per diminuire) la capacità critica e di giudizio dell’opinione pubblica intorno ai fatti.

Per questo, nella consapevolezza di non aver altro da esprimere che un’idea, mi permetto di formulare un appello,nel giorno della Liberazione, a tutti gli operatori dell’informazione, di tutti i media: se vorrete ossequiare la Costituzione e rendere il nostro grande Paese sempre più maturo e democraticamente attrezzato, per favore, rifiutatevi - anche se editori non liberi ve lo chiedano (e purtroppo ve ne sono...) - d’invitare “gli imbecilli” di Eco nei vostri programmi, nelle vostre rassegne, in tutti i mezzi di comunicazione “per sparare balle” od autopromuoversi (per gli scopi più diversi), ovvero per perseguire obiettivi segreti per essere determinanti nel territorio e volgere a favore dei loro numerosi compartecipi risultati, concordati in sedi occulte, che continuano da anni a scandalizzare la gente onesta, i cittadini anche quelli non avvertiti, certo priva di santi in paradiso.

Capisco...la lottizzazione ed i poteri forti...ok, sto, come dite voi, ”sul pezzo”; ma ne va del futuro del nostro Paese!

Quando torneremo alla normalità, dopo questa lunga notte di riflessione (spero alta) si cerchi tutti di ricominciare a fare la propria parte per rendere migliore l’Italia, per renderla davvero libera dalla mediocrità attraverso la quale, è noto, ”Ciccillo cuntento fà chello che vo’”.

Meno tricolori alle finestre, dunque, e più dignità e onore, rispetto per le regole, discernimento, presentazione adeguata delle persone ed avvertenza nelle scelte ponderate - se volete anche di parte - ma di qualità, per tutti e per ciascuno, a cominciare dalla stampa, libera e responsabile.

Nel giorno della liberazione dell’Italia dal nazifascismo, torniamo alla libertà che ammainò la bandiera della giustizia e dell’osservanza delle regole per privilegiare la prepotenza fino all’orrore; e facciamolo aborrendo il libertinaggio.

Sto con Fellini: ”ci vorrebbe un po’ di silenzio” per un freno all’autoreferenzialita’.

Nunzio Raimondi

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