di Antonio Levato
“Ogni grande evento della storia ha la sua ricorrenza e la sua celebrazione. Così è per la Resistenza italiana la cui vittoriosa conclusione ricordiamo oggi, settantotto anni dopo. Non fu solamente lotta armata. Fu lotta e resistenza civile attuate in molteplici forme e modi, da nord a sud. Con esse prese avvio la costruzione della moderna democrazia in Italia che sarebbe approdata alla Costituzione.
Per questo, e non per insulsa retorica, si sarebbe detta “nata dalla Resistenza”. La speranza che l’aveva animata e sostenuta conquistò il cuore e l’intelligenza di migliaia di giovani d’ogni appartenenza sociale e ideologica. Una speranza ben riconoscibile nei bellissimi seppur ruvidi versi di Franco Fortini: “Ma noi s’è letta negli occhi dei morti/E sulla terra faremo libertà/Ma l’hanno stretta i pugni dei morti/la giustizia che si farà”. Giustizia e libertà: le grandi parole che si pronunciavano e scrivevano in quei tumultuosi frangenti. Quasi a compensazione di una rivoluzione mancata, seppure sognata, ma pegno e impegno per un paese unito, democratico e giusto. Il tempo trascorso e la distanza colmata da quel futuro immaginato ci indicano oggi un presente carico di complessità e incognite. Per la prima volta dopo la Liberazione è al governo la destra. Una destra nostalgica, revanscista, xenofoba e sovranista che con menzogne, falsi storici, ridicole iniziative legislative, grottesche esibizioni muscolari e oscenità di suprematismo bianco, prova a sviare e fiaccare nella coscienza del Paese la semplice verità storica: il fascismo è stato una sciagura per l’Italia, ed è stato sconfitto. Perciò, a settantotto anni dalla Liberazione, il punto di discrimine nella politica e nella società italiane rimane l’antifascismo.
Fu grazie alla passione civile e morale, alla forza ed al coraggio dei Partigiani che l’Italia si riscattò dall’ignominia e dal disonore e divenne libera. Sta in tale inconfutabile verità l’imperativo storico e morale per cui, quel discrimine va rivendicato, sottolineato e nutrito di memoria, storia, cultura e di atti politici coerenti e inequivocabili. La Costituzione che n’è seguita è stata, poi, la scuola della grande e collettiva educazione alla libertà e alla democrazia. Educazione alla libertà che ha variamente sorretto il Paese nei momenti di avanzamento civile e nei periodi bui della Repubblica, attaccata dall’esterno e dall’interno da forze eversive ostili all’assetto democratico. Questo 25 aprile non è dunque un appuntamento solo da celebrare. Tutt’altro. C’è da riscoprire, rivivere, attingere e nutrirsi della grande ricchezza e del prezioso lascito della Resistenza. Ancor più oggi che ci accorgiamo che le conquiste di libertà e di diritti sociali e civili non sono dati per sempre, che sono fragili e rischiano d’essere svilite e azzerate, se non viene ogni giorno osteggiato con forza e intransigenza il tentativo di scagliare contro di esse il pregiudizio e la volontà disgregatrice corporativa e ideologica.
È innegabile. Qualche filo s’è spezzato, uno spirito s’è appannato. Di fronte a questa nuova situazione se le ricorrenze hanno un senso e una forza e non si sono ridotte ad un rito, devono spingere alla riflessione ed alla schiettezza. Dirsi per esempio con brutale nettezza che la questione dei diritti sociali e civili va rimessa al centro dell’attenzione e dell’azione politica. Per non essere costretti a ripiegare sull’affermazione di diritti elementari che in un Paese sviluppato e democratico non dovrebbero essere neppure discussi.
E soprattutto, per arrestare una deriva in atto da tempo, ma cui oggi si vuole imprimere una decisa accelerazione, di svilimento e sterilizzazione della Costituzione che mette a rischio lo stesso rapporto del cittadino con lo Stato e la democrazia. Un rapporto già stravolto dalla qualità pessima dei servizi quali sanità e istruzione, da una ancora diffusa e pericolosa presenza delle mafie, da una consistente evasione fiscale con a fronte una intollerabile pratica “condonista”, da una crescita delle disuguaglianze che, con la proposta di autonomia differenziata, manda in frantumi l’unità del Paese e per ultimo, ma non per importanza, dal disinteresse della politica verso l’orientamento pacifista prevalente dell’opinione pubblica in sintonia con il dettato costituzionale che “ripudia” la guerra. E tutto questo mentre la miseria di una cultura e di una politica, al servizio del generale predominio del calcolo economico, continua a generare nuove povertà, “scarti umani”, “carichi residui” e “tragedie di Cutro”. Ma la storia non finisce qui. Nel Paese ci sono grandi e nuove energie e idealità. Non sono da reinventare. Molte sono solo da riscoprire nella storia ostinata e intransigente della Costituzione nata dalla Resistenza. E perciò antifascista."
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