420 anni fa moriva sul rogo Giordano Bruno, martire del libero pensiero

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Giordano Bruno
  17 febbraio 2020 01:20

di PAOLO CRISTOFARO

«E noi, per quanto ci troviamo in situazioni inique, tuttavia serbiamo il nostro invincibile proposito tanto da non temere la morte stessa»

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Sul palcoscenico del più grande teatro,  il mondo, l’umanità spettatrice - e attrice al tempo stesso - ha visto e vede susseguirsi un’infinità di esperienze, vicende, esistenze diverse. Tra queste, però, taluni individui hanno illuminato, come stelle cadenti, il cielo del loro secolo, lasciandoci opere belle ed importanti, testimonianze intramontabili e consegnandosi, in molti casi senza neppure immaginarlo, all’immortalità. Una di queste anime, in un’opera dal titolo De Monade, numero et figura, ha scritto: «Ho combattuto ed è tanto: ritenni di poter vincere, ma natura e sorte hanno represso studi e sforzi. Ma è già qualcosa essere sceso in lotta, poiché vedo che in mano al destino è la vittoria. Fu in me quanto era possibile, diedi ciò che di proprio un vincitore poteva dare; non aver avuto timore della morte, non essersi sottomesso a nessuno che mi fosse simile; aver preferito coraggiosa morte a vita pusillanime»

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Si chiamava Giordano Bruno. Il suo nome fa subito pensare all’immagine del rogo, che il 17 febbraio del 1600,  cioè 420 anni fa,  pose fine alla sua esistenza a Roma, in piazza Campo de’ Fiori. Ma l’essenza di Bruno non è legata esclusivamente a quell’evento tragico. La scelta – perché di scelta si trattò – di morire sul rogo, fu soltanto l’ultimo straordinario atto di una lotta sublime; fu l’ultimo coraggioso respiro al termine di una vita il cui percorso – e la cui conclusione – dovrebbe insegnarci il vero significato della parola “coerenza”. Il rogo fu soltanto l’ultima tessera di un puzzle perfettamente unitario: il puzzle della sua filosofia, di una filosofia volta a risvegliare l’Uomo dal buio della superstizione, dell’intolleranza e dell’ignoranza.

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Sì, perché Bruno ha scelto volutamente di morire. Avrebbe potuto salvarsi – e l’Inquisizione gliene diede occasione – ma lui rifiutò. «Che pazzo!», «Che sciocco!», «Ma chi gliel’ha fatto fare?», direbbero in molti oggi e probabilmente lo dissero anche a suo tempo. Già, perché al mondo in pochissimi riescono ad essere coerenti fino alla fine, costi quel che costi. Amare la verità, amare la Conoscenza, amare la Libertà: Bruno è stato disposto a morire per questo amore. Un amore smisurato.  Ed ecco che appare chiaro il senso della frase «aver preferito morte coraggiosa a vita pusillanime». Salvarsi e abbassare la testa o morire a testa alta? Filippo, era questo il vero nome di Bruno, non ebbe dubbi.

Fin da giovane non sopportò le imposizioni della Scolastica, l’ignoranza dei pedanti, la superstizione della Chiesa, il dominio dei potenti, la menzogna spacciata per verità. Sempre amò la libera ricerca, il libero pensiero, il diritto di parola. Visse, però, in un secolo difficile, dove le lotte religiose e politiche, spesso sfociavano in guerre e persecuzioni, zuppe d’intolleranza e di repressione. E così, in fuga, da una città all’altra, da uno stato all’altro, il Nolano componeva i suoi scritti e vi celava messaggi e insegnamenti così moderni e rivoluzionari da mettere in profonda crisi l’intera struttura sociale, filosofica e scientifica del suo tempo. Tra neoplatonismo ed esoterismo, tra magia naturale e filosofia ermetica, tra infiniti mondi e unità della materia.

Una mole smisurata di conoscenze, talune ereditate, altre conquistate, che non avrebbe potuto lasciarci se non celandole nei suoi lavori; lavori stuprati, profanati, tagliuzzati, stravolti dall’ignoranza e dalla malafede di potenti abituati ad imporre catene, ma assolutamente spiazzati e non avvezzi ad affrontare il coraggio, la libertà, l’opposizione, la messa in discussione dei loro dogmi. Anche in fase processuale, le opere di Bruno furono distorte, citate solo in parte, per ritorcerle contro al suo stesso autore. Bruno era scomodo. Bruno sconvolse la sua epoca, Bruno fece tremare i detentori del potere, decentrando la Terra, distruggendo i limiti dell’Uomo e dell’Universo: il centro di ogni cosa, da quel momento, sarebbe stato in ogni cosa e in ciascun essere umano ovunque uguale.

Per capire il Nolano, tuttavia, è necessario saper leggere con attenzione i suoi scritti; lavori assolutamente “silenici”, da interpretare. Nello Spaccio de la bestia trionfante (1584), difatti, egli scrisse: «Cossì dumque, lasciaremo la moltitudine ridersi, scherzare, burlare e vagheggiarsi su la superficie de mimici, comici et istrionici Sileni, sotto gli quali sta ricoperto, ascoso e sicuro, il tesoro della bontade e veritade». Bruno avverte e fa intendere che in molti rideranno delle sue opere e le scherniranno, non cogliendo il senso profondo di scritti allusivi e ben pensati, coinvolgenti e rivelatori. Difatti, proprio come nel grande teatro del mondo accade, Bruno si serve del riso, della commedia – come ad esempio nel Candelaio – per lanciare messaggi importantissimi. Nel Nolano dove c’è il riso c’è la conoscenza, dove c’è la volgarità si nasconde il sublime, dove c’è stravolgimento appare il suo ordine delle cose.

È da sottolineare, appunto, oltre al contributo filosofico straordinario degli scritti e del pensiero di Giordano Bruno, anche il suo contributo alla letteratura italiana. Stravolgendo i vecchi modi di scrivere e, nel caso delle opere teatrali, le unità canoniche aristoteliche, propone una letteratura nuova, unica nel suo genere e senza più limiti proprio come il suo Universo, un macrocosmo che è sede del divino e che si rispecchia perfettamente nel microcosmo umano, che pure è parte dello stesso Tutto. Giordano Bruno sapeva che «Natura est deus in rebus», la Natura è dio nelle cose.

Per capire il filosofo è insufficiente leggere un articolo di giornale, che ha il solo intento di ricordarne l'originalità e l'impegno civile. Per viverlo è necessario leggere i suoi scritti e amarli. I suoi testi sono campi da mietere, campi dove non si fa in tempo a cogliere del grano che, subito, lo si rivede spuntare. Lo stesso Bruno ne La cena de le ceneri scrisse: «Considerate ancora che non v’è parola ociosa: per che in tutte parti è da mietere e da dissotterrar cose di non mediocre importanza, e forse più là dove meno appare». Ma la prima cosa che appare chiara - e forse è la più importante di tutte - è il valore dato alla Libertà e alla ricerca della Verità.

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