A Catanzaro in scena "Astor", dedicato a Piazzolla: un viaggio attraverso i mari dell'anima con il coreografo Valerio Longo

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images A Catanzaro in scena "Astor", dedicato a Piazzolla: un viaggio attraverso i mari dell'anima con il coreografo Valerio Longo

  15 dicembre 2022 19:59

di ANNA TRAPASSO 

"Astor", in scena per AMA Calabria al Teatro Comunale di Catanzaro, è uno spettacolo per sognatori e viaggiatori contemporanei che si ritrovano in un comune "non luogo" secondo un codice linguistico universale: quello del tango. Un "concerto di danza" che omaggia Piazzolla nella sua fragilità di uomo (Astor) e nella sua grandezza di artista, grazie al bandoneon di Mario Stefano Pietrodarchi sugli arrangiamenti di Luca Salvatori ed alle coreografie di Valerio Longo, che porta in scena con grande intensità 8 danzatori del "Balletto di Roma".

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E' proprio il ballerino e coreografo Valerio Longo, curiosamente di origini paterne calabresi (di Cittanova, nel reggino, ndr), a raccontarci a poche ore dallo spettacolo la sua visione del progetto e, più in generale, della danza, conducendoci già solo telefonicamente in un mondo appassionante e trasognante, quello fatto di amore per quella forma d'arte che ha abbracciato fin da ragazzino.  

Nel suo curriculum, tra le innumerevoli esperienze e competenze, spicca una costante dedizione: quella per la formazione delle nuove generazioni, un inedito modo di concepire l'inserimento dei danzatori in ambito nazionale ed europeo. 

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"Sono figlio di due docenti, sono cresciuto perciò in un ambiente in cui la didattica e l'attività fisica sono state un paradigma. Cerco, perciò, di mettere sempre a disposizione dei ragazzi non il format "t’insegno", ma il “fai l’esperienza”, intesa come l'esperienza di te stesso nel contesto "danza". Questo capovolge i classici ruoli docente-discente. Non mi reputo un maestro, ho un’esperienza e la metto a disposizione. Il cardine è proprio questo: invertire i ruoli, il ragazzo che pensa di dover imparare qualcosa, si trova ad essere l’artefice del suo stesso insegnamento. Non amo insegnare la mera tecnica, ma far sì che la tecnica venga scoperta come un’esigenza da parte dei ragazzi per arrivare ai propri obiettivi. Questo è il valore aggiunto che ha mosso me nel cercare nel linguaggio della danza. Mi ha educato che nella vita di tutti i giorni, oltre che sul palcoscenico, bisogna avere la testa sulle spalle.

"Quando sto con i ragazzi, sento molta responsabilità, specialmente ora, dopo la pandemia. Mi dedico perciò a far scoprire loro la profonda verità con cui va affrontato il balletto: se capiscono che è una vera pulsione ad esprimersi e che questa va assecondata, la ritroveranno poi nella loro vita a prescindere dalla danza.

Per me la danza è un modo di fare comunità, per creare legami, interconnessioni culturali, deve essere sempre inclusiva. Il gesto espresso sul palco deve essere comprensibile per tutti, tutti devono sentirsi rappresentati. I ragazzi dovrebbero imparare a scoprirsi. Non cerco mai il danzatore che esegua, ma quello che interpreta. Immagino che quando lavoro sui giovani possa esserci sempre la possibilità di scoprirsi come esseri umani ed è proprio lì che emerge la propria unicità". 

Ma andiamo ad "Astor", Un secolo di Tango. Lo spettacolo che omaggia Piazzolla, l'uomo e l'artista, nel centenario della sua nascita. Il tango è un linguaggio universale? Cosa è per lei il tango?

"Il tango è una danza fatta di un connubio di intenti, il tango è empatia. È universale proprio per questo motivo. Io non sono un danzatore di tango e quando ho approcciato il lavoro molto complesso di questo spettacolo, ho dovuto rapportarmi con tanti aspetti, primo su tutti quello di aver cominciato proprio in un periodo storico in cui era impossibile il contatto umano, aspetto primario nella danza in genere ma nel tango in particolare. Per "entrare" nello spettacolo, sono andato a ritroso nelle mie origini, nella storia della mia famiglia, nei miei ricordi d'infanzia, delle storie raccontatemi quando ero bambino, storie di un nonno, figlio di un immigrato in Argentina, che aveva attraversato i mari nascosto nelle stive delle navi.

Questo viaggio nella memoria ha fatto sì che io approcciassi al tango con quel sapore profondo di nostalgia e con quella familiarità che me lo ha fatto sentire già "mio" attraverso la mia anima. E non attraverso una tecnica. Non avevo i mezzi tecnici per approcciarmi al tango in una certa maniera, così ho vissuto dentro di me una forte interiorità di contenuti che ci legano a quei nostri antenati partiti dal Sud Italia per andare oltreoceano, dove hanno conosciuto, condiviso e contaminato reciprocamente le proprie culture. Non dimentichiamo che anche Piazzolla aveva origini italiane. Il mio è stato un tentativo molto coraggioso: ho approcciato il tango con la mia identità di uomo e non di danzatore".

"Astor" viene definito un "Concerto di danza". Musica e balletto si intrecciano in un equilibrio al contempo essenziale ma complesso.  

"Sul palco di "Astor" l'interprete musicale di Piazzolla è Mario Stefano Pietrodarchi, per quanto mi riguarda il non-plus-ultra per il suo modo di eseguire Piazzolla. Lo fa vivere in un modo pazzesco, che io definisco "ancestrale", noi siamo col sangue caldo. Ogni volta si catapulta e coinvolge lo spettatore in un viaggio tutto suo, e ogni volta si trasforma in divenire in qualcosa di unico e irripetibile. Questo suo modo intenso ed effimero, questa sua magia, mi ha impressionato fin da subito, ho detto subito "sì, è lui", ha un modo di stare sul palco che non è da tutti i musicisti, da lì l’idea di poterci lavorare quasi come fosse il nono ballerino. La sua musica è contestualizzata in modo contemporaneo, non è semplice musica per tangueros. Ecco in che senso è un "concerto di danza". 

Lei più volte ha fatto sua la parola "coraggio". 

"Si, ci è voluto davvero tanto coraggio. A partire già dalla particolarità e profondità del periodo nel quale è nato il progetto. In pandemia è tutto pulito, asettico, e non ci si può toccare, manca il colore, la passionalità che implica il tango, la passione da vivere. Nello specifico questo lavoro è stato molto coraggioso perché è nato in un momento in cui era tutto fermo, nn ci si poteva toccare, e l’unico vero contatto erano gli sguardi. Che poi è quel valore aggiunto che ci ritroviamo oggi: Astor nasce dall’intenzione di voler amplificare lo sguardo tra gli esseri, imparare a comunicare l'intenzionalità e le emozioni anche senza contatto. 

Uno spettacolo per odierni viaggiatori, quelli che solcano i mari del mondo per ritrovarsi ma anche quelli che attraversano i mari burrascosi dell'anima. Come Piazzolla. 

"E' come un grande sguardo d'insieme verso la vita di Piazzolla, verso il suo vagare, dalla Francia in Italia, l’incontro con Mina, da quando era piccolo a quando era diventato ormai un grande, al suo rapporto emblematico con il padre, a cui dedica "adios nonino" rivolgendosi come un nipote al nonno. E' una composizione di tante piccole stesure della parte musicale cui si affianca consapevolmente il gesto, la danza. I ballerini non escono mai di scena, ma si evolvono in scena, così anche i loro costumi, molto semplici e minimalisti ma che esaltano la loro fisicità, con l’idea del mare che entra ed esce e va ad infrangersi sul molo, così anche i danzatori arrivano ed escono da una situazione contestualizzata a questo viaggio. E' uno spettacolo a piedi nudi, non è tango. In un paio di momenti compaiono figure iconografiche di tango, ma sulla musica classica barocca. E' un omaggio ad Astor, alla persona che ha saputo in qualche modo sentire che la vibrazione artistica supera ogni limite e che questa si può interpretare e rendere attraverso uno sguardo, un contatto di una mano, una nota musicale, un abbraccio.".

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