di GIOVANNA BERGANTIN
Chi ha festeggiato la lunghissima attesa di Santa Lucia e si prepara al dì ricco di
tante emozioni? Quando ero piccola mio padre l’annunciava con un detto
popolare del Polesine “Par Santa Lusia un cul ad gucia, par Nadal un pas ad gal,
par la Veceta un'ureta, par Sant'Antoni do mezzor boni, par la Candelora n'ora
bona”. Si riferiva alla differenza tra il dì e la notte che la sapienza popolare,
ancora legata all’antico calendario, attribuiva al solstizio d’inverno e definiva
quella di Santa Lucia la notte più lunga e il dì più corto dell’anno. In barba alla
scienza dei calendari, noi piccoli, nella notte più lunga che ci sia, da Santa Lucia
attendavamo i bonbon.
Seguendo il nostro amarcord scopriamo che Lucia, nome che indica “nata nelle
prime ore del mattino”, martire siracusana del IV sec. simbolicamente legata alla
luce e alla vista, è popolare in mezzo mondo. Da qui in poi, rituali e tradizioni,
leggende e miti pagani assimilati dai cristiani legati alla festività, si sprecano
ovunque. È curioso sapere che, se in Svezia si preparano i “lussekatter”, panini
di Santa Lucia a forma di esse, avvio dei preparativi natalizi, anche nel lametino
i più anziani ricordano i “panicelli caldi” dei nonni, panini dorati regalati ai
bambini durante la notte dell’avvento della festività. Ecco spiegato perché le
giovani svedesi, ma anche danesi e, in generale, dei paesi nordici dove la luce è
desiderata, nel giorno di Santa Lucia indossano un copricapo fatto di candele
accese e distribuiscono piccoli doni e dolci a tutti i parenti. In Calabria vi è il rito
del grano cotto e della cuccìa, un piatto augurale, elaborato nella versione dolce
o salata, diverso secondo le tradizioni dei vari luoghi.
Qualche anno fa, la signora Ottavia Intrieri, maestra di ricamo e cultrice di tradizioni di Serra Pedace, mi
donò una preziosa testimonianza sui semi preparati per Santa Lucia. Riprendo
la sua elaborata, naturalmente sapiente, lezione sulla preparazione della cuccìa
presilana. Un mese prima si parte col mettere a salare dentro “u tiniellu”,
recipiente di terracotta a forma di tubo, della carne di maiale magra e cotiche a
tocchi, pigiate da “ u timpagnu”, un tassello di legno coperto da una pietra, per
far la salamoia. Qualche giorno prima della ricorrenza si lasciano nell’acqua i
chicchi di grano duro per farli gonfiare. Quindi, la vigilia si dispone il grano in un
tegame di rame a cuocere sul focolare per almeno quattro o cinque ore mentre
i pezzi di carne ben dissalati si lasciano bollire in acqua. Una volta cotta, la carne
si taglia a pezzetti e si mette da parte con il suo umore. In un coccio si
compongono a strati il grano cotto con la carne, irrorati con il liquido di cottura.
Il composto passerà nel forno a legna e starà al caldo per tutta la notte per
essere sfornato e offerto oggi, a vicini, amici e parenti.
A Mendicino, un delizioso borgo vicino Cosenza, la tradizione, ancora molto viva,
vuole che si prepari per devozione alla Santa della luce una cuccìa fatta di 13
legumi da condividere col vicinato e parentado. Rimane il rito sociale di stasera
della distribuzione della cuccìa, quando la Comunità, a devozione della Santa, si
riunirà nel Centro Storico attorno ad un gran calderone, “ ’a quadara”, dove 50
chili di diverse varietà di legumi secchi verranno messi a cuocere.
Un tempo, in molte case, per la gioia dei piccoli, nonne e mamme, riponevano
di notte, in un angolino del focolare, noccioline, fichi, mandorle e noci. Per
saziarne, poi, “la gulìa”, con le mandorle facevano dei croccanti, delle praline
caramellate, “nturrate”.
Insomma, in questa altalena di tradizioni, abbiamo capito che da secoli, un po’
ovunque, alle porte dell’inverno, si condividono forme culturali e abitudini,
preludio alle calde atmosfere familiari delle feste più tradizionali, dolci e candide
dell’anno.
Per coccolare i bambini e gli amici, a mo’ di buon augurio, noi partiamo con le
“zuccarate”, le mandorle caramellate. Ma potete contarci, non ci fermeremo
certamente qui!
Bonbon di mandorle
Ogni paese ha i suoi croccanti fatti in casa. I “mmenduli ‘nturrati” fatte dalle
nonne erano preparati con mandorle sgusciate e zucchero, rigirati con forza e
pazienza sul fuoco vivo. Per predisporli, oltre alla frutta secca, ci vogliono
zucchero e un po’ d’acqua. Se vi va di cimentarvi, selezionate le migliori
mandorle locali, tostatele lentamente sul fuoco in modo che rilascino
gradualmente i loro oli essenziali, fondamentali per avere un torrone fragrante
e croccante. Mettete insieme la stessa quantità di mandorle e zucchero con un
bicchiere d’acqua e ponete sul fuoco mescolando continuamente. Lo zucchero
si scioglierà prima, poi avvolgerà le mandorle che caramelleranno, ma appena
tornerà a sciogliersi di nuovo, rimestate velocemente ed effettuate la colata.
Potete confezionarle come faccio io: lasciatele freddare e incartatele e
fermatele con adesivi ben augurali.
Mandorle “ ‘nturrate” | Praline di mandorle confezionate |
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