di FRANCESCA FROIO
Un lavoro attento, minuzioso e affascinante, quello portato avanti dal brillante e giovane giornalista Pasquale Scalise, che attraverso il suo ultimo lavoro “I sentieri di Orlando”, pubblicato da Rubbettino Editore, sotto il marchio di Calabria Letteraria Editrice, trascina e coinvolge tra le viscere di una realtà territoriale magica e particolare, figlia e madre di tradizioni identitarie che si fondono con la Storia, antica e recente.
Noi de La Nuova Calabria Scalise lo abbiamo incontrato e tra curiosità, storia e leggenda, ci siamo fatti raccontare qualcosa di più su questo suo lavoro, frutto di un dono che con passione, competenza e tenacia, l’autore sperimenta, crea e progetta: la scrittura, in ogni sua forma, in ogni sua espressione.
Pasquale, come nasce “I sentieri di Orlando. L’epica cavalleresca in Calabria e il ciclo carolingio nella presila catanzarese”?
"È difficile trovare un’origine, o meglio una partenza, unica e distinguibile. Questo libro è nato tante volte nei miei pensieri senza mai trovare una prova concreta, reale, tangibile del proprio passaggio. Probabilmente, ciò che nel corso del tempo ha tenuto accesa la cosiddetta “fiamma dell’ispirazione” (che a mio parere serve per alimentare anche la produzione di un saggio, come in questo caso) è stato un insieme di ricerche, impulsi, dettagli, ma soprattutto ricordi. Per esempio, mi ritorna spesso in mente l’immagine di una infanzia spensierata: quella delle notti di Natale accanto al fuoco, con nonni e zii che mi raccontavano le leggende del cavaliere Orlando. Credo sia stata questa scintilla a fare scattare, poi, in età adolescenziale, l’amore per L’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto e, in generale, per l’epica cavalleresca medioevale. In fondo, è una cosa risaputa: quando si diventa “grandi” le passioni che hanno formato il nostro modo di essere non svaniscono mai completamente. Ed è così che, in veste da giornalista, mi è capitato di dedicare articoli e ricerche dedicati ai miti e alle leggende, spesso tramandati oralmente, di paladini e saraceni in Calabria. Le tracce che ho seguito hanno assunto una consistenza sempre più importante, fino a identificare riscontri storici, letterari, antropologici, persino geografici. Per tale motivo, ho deciso di prendere queste ricerche con l’obiettivo di assegnargli un ordine e una struttura completa in un libro, per creare finalmente una campionatura e una raccolta organica di dati che, spero, possa dare il giusto tributo alla Calabria in qualità di interprete imprescindibile all’interno del processo di diffusione e divulgazione delle chanson de geste in epoca medioevale".
Le pagine del tuo libro raccontano con chiarezza il fascino di una epopea intrigante. Le numerose attestazioni del successo delle cosiddette “canzoni di gesta” presso strati di pubblico molto diversi, della sua capacità di penetrare anche in ambiti non specificamente cortigiani mostrano peraltro che la sua elevazione a epopea non era soltanto il frutto di un deliberato processo di “canonizzazione”.
"Giusta osservazione. La peculiarità delle “canzoni di gesta” era quella di consentire l’introduzione nei propri versi (o nelle proprie trame) di storie, luoghi, personaggi, appartenenti ai popoli nel cui territorio esse venivano diffuse. E questo certifica la loro estrema popolarità in quel preciso periodo storico. Senza entrare nei dettagli di alcune questioni filologiche (che vengono sviscerate in maniera approfondita nel libro), il ricorso alle cosiddette “gionte”, ossia le aggiunte da una canzone all’altra, faceva in modo che si creassero dinastie di personaggi assolutamente riconoscibili in tutti gli strati della popolazione. Faccio un esempio, senza dilungarmi troppo: nella Chanson de Roland – considerata come il poema fondante dell’epica carolingia – il paladino Orlando e` un eroe che muore suonando l’olifante con grande slancio di valoroso coraggio; nella calabrese Chanson d’Aspremont, Orlando e` giovane, non e` ancora diventato un paladino e deve ultimare il suo percorso per dimostrare il suo valore, difendere la cristianità e assurgere al ruolo di tutore dell’Occidente. E si potrebbe continuare all’infinito: nella Geste Francor, complesso di opere carolingie appartenenti alla letteratura franco-veneta, esistono dei veri e propri “prelievi” (sia da un punto di vista narratologico che testuale) di interi gruppi di versi della Chanson d’Aspremont rivisitati e innestati in forme diverse. I richiami e le allusioni (addirittura le citazioni letterali) esistenti tra canzoni di gesta scritte in contesti geografici, e soprattutto temporali, molto lontani fra di loro, suggeriscono l’esistenza di un canone epico di riferimento ideale che consentiva ai personaggi, ai luoghi, alle vicende raccontate, di essere perfettamente riconoscibili dal pubblico".
La forza prorompente dei cantari e dei loro racconti è sopravvissuta al tempo e alle distanze, giungendo sino ai giorni nostri, in differenti zone e in specifici contesti geografici del territorio calabrese, ognuno di essi con un suo personalissimo mito legato alle avventure del paladino Orlando. Tu ne racconti diversi con precisione, ti va di svelarcene uno in particolare?
"Esatto, mi hai offerto un ottimo spunto: occorre precisare come questo immenso patrimonio culturale, in Calabria, non si limiti esclusivamente alla manifestazione letteraria. Nel libro, infatti, ho provato a inseguire anche le tracce dei miti popolari e dei racconti orali. E sono veramente tante. Potrei per esempio riferirti di una tradizione rimasta a lungo come patrimonio orale di nicchia tra gli anziani e gli artigiani dei borghi grecanici: qui, nell’area dell’Aspromonte, non si può non citare la straordinaria testimonianza dei cantastorie della Bovesi`a, nota anche come area grecofona nel comprensorio di Reggio Calabria. Dalle parti della Presila Catanzarese, invece, esistono straordinarie corrispondenze geografiche e toponomastiche con i nomi dei protagonisti di alcuni racconti orali. In questa zona, la tradizione popolare racconta le avventure del prode Orlando, accompagnato da altri paladini per liberare il territorio dal giogo dei Saraceni guidati da una affascinante e malefica lamia, che si serve di vari incantesimi per eliminare i cavalieri di Francia. Il fatto curioso è che, al giorno d’oggi, per ogni singola entità geografica ricadente nella zona e` associato il nome di un cavaliere: tale modello e` peculiare visto che per ogni colle, fossato, altura, dirupo, esiste una narrazione popolare di un combattimento in cui, di volta in volta, a seconda delle versioni locali, un eroe perde la vita durante una battaglia. Tutti questi racconti (ricordiamo, tramandati solo in forma orale) trovano una serie di riscontri davvero suggestivi con alcune forme scritte della Chanson d’Aspremont originaria, in lingua franco-normanna".
È interessante notare come nella tua opera si spazi dalla letteratura alla storia, dall’antropologia al folklore, dai miti popolari alla geografia del territorio. Hai citato la Chanson d’Aspremont: ti va di raccontarci qualcosa su questo appassionante filone narrativo?
"Per darti una risposta, faccio nuovamente appello al dono (che non ho) della sintesi: esistono più di venti codici manoscritti della Chanson d’Aspremont, in sei lingue diverse, che ne testimoniano il successo che ebbe in quel periodo. Sono tante le ragioni politiche e storiche che portarono alla sua estrema diffusione, ma davvero non è questa la sede per raccontarle: basti pensare che una sua versione fu accolta persino nella Karlamagnus Saga in lingua norrena. Della Chanson d’Aspremont (la cui prima stesura in forma scritta è attribuibile al 1190) esiste una versione imponente, composta da ben 11.376 versi decasillabi strutturati in 533 lasse monorime, di lunghezza variabile (si deve al romanista francese Luis Brandin l’edizione principale del poema). Si segnalano anche le redazioni in ottava rima (una conservata in un manoscritto della Nazionale di Firenze), più volte ristampate alla fine del secolo XV. E non si può non menzionare il popolare autore dei Reali di Francia, Andrea da Barberino, che ne trasse la materia per un romanzo in prosa, con intrusione di nuovi personaggi e motivi che furono d’ispirazione (nel mio libro si spiegano i motivi) per Matteo Maria Boiardo e Ludovico Ariosto nella creazione dei loro rispettivi capolavori: “Orlando Innamorato” e “Orlando Furioso”.
Dalle tue parole si evince come la scrittura sia un dono che, con passione, impegno e competenza, hai sempre alimentato. Possiamo attendere un prossimo libro?
"Penso di si. Attualmente sto lavorando su due progetti: il primo è un saggio, in cui si approfondisce un altro tipo di materia (o “filone”) – sempre tramite l’utilizzo della contestualizzazione in Calabria – che attualmente sto accogliendo, raccogliendo e organizzando. Il secondo è una cosa completamente diversa, più intimista, un tipo di scrittura che tocca corde molto personali, un romanzo che prima o poi troverò il coraggio (per adesso c’è la sostanza ma devo ancora raggiungere la forma) di mettere alla luce. Ci vorrà un po’ di tempo, prima di vederli entrambi".
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