Accademia di Belle Arti, Politano scrive al sindaco Abramo: "Basta pellegrinaggi. Chiediamo concertazione per una soluzione definitiva"

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images Accademia di Belle Arti, Politano scrive al sindaco Abramo: "Basta pellegrinaggi. Chiediamo concertazione per una soluzione definitiva"

  20 novembre 2019 14:51

L'Accademia di Belle Arti di Catanzaro è al centro delle polemiche da giorni, il motivo è il dislocamento della sede in due immobili poco congeniali alle esigenze dei corsi teorico-pratici previsti nell'offerta formativa dell'Accademia, situati nell'ex Einaudi di Mater Domini e nell'ex Educandato del centro storico di Catanzaro. Diverse le proposte offerte per risolvere il problema, tra cui la disponibilità dell'ex Carbone, ma ad oggi non è stata ancora trovata una soluzione concreta ed idonea alle "necessità" dell'Ateneo.  Riceviamo e pubblichiamo la lettera aperta del direttore dell'Accademia, Vittorio Politano, rivolta al Sindaco Sergio Abramo.

"Caro Sindaco,

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concordo con Lei, “siamo in una città strana”, malata di amnesia, vittima di pettegolezzi e invidie, vittime noi – forse inconsapevoli – di noi stessi.

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Sono parole “taglienti” le sue, pronunciate qualche giorno fa in Consiglio Comunale, in risposta alle rimostranze sulla richiesta legittima di spazi consoni per i nostri studenti e per i nostri docenti, che da tutta Italia, hanno scelto di insegnare nel nostro Capoluogo di Regione. Sono parole che feriscono, perché quasi sembrano avere il potere di annullare i tanti sforzi fatti, i tanti sogni in cantiere. Forse siamo una piccola “Facoltà”; eppure le quattrocento persone, tra dipendenti, docenti e allievi, che frequentano l’Accademia sono volti a cui render conto; alle cui famiglie – che pagano regolarmente le tasse – io voglio rendere conto! Per rispetto! Perché io e tutti noi siamo in debito nei confronti dei giovani, per ciò che sappiamo non potremo garantire loro in termini di futuro, e per questo, per lo meno, dovremmo aiutarli a formarsi, ad acquisire gli strumenti per progettarlo da soli questo futuro, senza dover aspettare regali.

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Proprio di avvenire parlano, talvolta urlano, le nostre rimostranze! Infatti non starò qui a ricordare vicende del passato, secondo le quali l’Accademia era l’unico possibile beneficiario di una sede così prestigiosa come Palazzo Scoppa-Fiorentino, poiché i tanti fondi europei spesi per il restauro erano finalizzati alla costituzione della Fabbrica della Creatività (che a nostro avviso ha ragion d’essere solo attraverso l’unica istituzione di alta formazione artistica statale del capoluogo); né ho intenzione di negare gli indiscussi meriti della Direzione dell’arch. Anna Russo, che da donna colta e dinamica, è riuscita a restituire l’immagine e la credibilità dell’Accademia; riconosco anche la lungimiranza di un’Amministrazione Comunale che negli anni, ha investito e finanziato progetti dell’ABA.

Grati del passato, che ci ha fatto essere ciò che siamo, noi guardiamo al futuro, a partire dalle condizioni presenti. E allo stato, a dispetto di quanto possa dire o capire chi non conosce l’AFAM e l’Accademia, la bellissima sede di via Tripoli/Gelso Bianco non è sufficiente. Non l’abbiamo rifiutata; non ci sentiamo ingrati solo per aver espresso legittimamente che c’erano ritardi nella consegna dell’immobile, dovuto a lentezza burocratica, mancanze o problemi vari causati da entrambi i nostri Enti, Comune e Accademia. Responsabilità su cui non ci interessa discutere in questo contesto, se non per chiarire la spaccatura interna all’ABA, tra la Direzione e la Presidenza, la quale, non avendo mai vissuto il mondo delle Accademie, non capisce le nostre urgenze e le nostre esigenze.

Per imitare un noto magistrato, anch’io non voglio commettere un “fallo di reazione” e sorvolo sulla proprietà pubblica “regalata” e su altre cose, limitandomi come credente a fare una considerazione: se si riuscisse a togliere la maldicenza dal mondo, sparirebbero gran parte dei peccati e la cattiveria. A chi strappa ingiustamente il buon nome al prossimo, oltre al peccato di cui si grava, rimane l’obbligo di riparare in modo adeguato secondo il genere della maldicenza commessa. Nessuno può entrare in Cielo portando i beni degli altri; ora, tra tutti i beni esteriori, il più prezioso è il buon nome. La maldicenza è un vero omicidio, perché tre sono le nostre vite: la vita spirituale, con sede nella grazia di Dio; la vita corporale, con sede nell’anima; la vita civile che consiste nel buon nome. Il peccato ci sottrae la prima, la morte ci toglie la seconda, la maldicenza ci priva della terza. Il maldicente, con un sol colpo vibrato dalla lingua, compie tre delitti. uccide spiritualmente la propria anima, quella di colui che ascolta e toglie la vita civile a colui del quale sparla.

Carissimo sindaco, avendo accettato l’ex Educandato come sede di rappresentanza e per lo svolgimento di buona parte dell’attività di ricerca e didattica dell’ABA, appurato che cinque Scuole resteranno escluse dalla suddivisione degli spazi della citata sede (si pensi che le sei Scuole ovvero le sei Facoltà che costituivano l’Accademia nel 2016, quando è stato accettato l’immobile di via Gelso Bianco, sono diventate undici nel 2018), oggi chiediamo - e lo facciamo pubblicamente - di poter individuare con calma, senza la pressione di scelte repentine, una sede idonea all’Ateneo-Accademia e alle sue undici scuole. Chiariamo fin da subito che l’edifico ex Carbone, che deve essere soggetto a qualche piccolo intervento di restyling (non viene usato da anni), non è adatto, perché dotato di sole dodici aule medio-piccole, disposte su tre livelli, che dovranno ospitare cinque Scuole/Facoltà, una strumentazione tecnica ingombrante, ventisei docenti di laboratorio e dieci esperti esterni, e sperare di non avere alcun portatore di handicap.

Le chiedo, quindi ancora, di aprire un tavolo di discussione, allargato anche ai suoi referenti dell’Amministrazione Comunale e Provinciale, per progettare insieme, e in via definitiva dopo decenni di pellegrinaggi, l’avvenire dell’Accademia.

Signor Sindaco, per fortuna “siamo in una città strana”, perché a differenza dei grandi capoluoghi, le dimensioni ridotte della nostra amata città ci permetterebbero di essere vicini, di parlare de visu, di guardarci e di comprenderci, se solo volessimo".

 

                                                                                                                                           

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