di MARCELLO FURRIOLO
Non è facile tracciare un profilo umano, politico, professionale di una figura come Don Peppino Chiaravalloti, soprattutto quando sono coinvolti sentimenti di profondo apprezzamento della sua vicenda terrena.
In queste ore, ovviamente, si susseguono le testimonianze di quanti lo ricordano, lo hanno conosciuto e hanno avuto modo di coglierne gli aspetti più salienti del suo carattere spontaneamente empatico, che qualcuno, in modo fuorviante, ha definito “goliardico”.
Peppino Chiaravalloti ha lasciato una traccia estremamente positiva e indelebile della sua esistenza, che ha regalato ad amici e conoscenti, a semplici interlocutori occasionali pezzi di saggezza, di raffinata cultura, di intelligenza pura, di arguzia incontenibile, di etica mai bigotta.
Don Peppino era un Uomo profondamente laico nell’accezione più completa e moderna del termine.
C’è una parte della vita di Chiaravalloti che si esaurisce proprio con l’avvento del terzo millennio in cui fa la scelta di candidarsi alla guida della Regione Calabria e, quasi a sorpresa, supera al fotofinish il candidato della sinistra il giornalista della RAI Nuccio Fava.
Fino a quel momento è stato uno dei massimi esponenti della magistratura calabrese, avendo svolto una carriera brillantissima e folgorante, da Pretore a Procuratore Generale della Corte d’Appello di Catanzaro e poi Presidente della Corte d’Appello di Reggio Calabria. Di questo cammino rimangono non solo la lucidità, la competenza, la serenità intellettuale con cui amministra giustizia, difendendo l’autonomia e l’indipendenza del magistrato, ma anche lottando contro qualsiasi forma di ideologismo, di fondamentalismo etico che cominciavano ad attraversare anche il mondo giudiziario calabrese. Il ruolo del magistrato non è una missione, ma una funzione che lo stato democratico attribuisce in nome del popolo italiano per realizzare il principio di giustizia e di difesa dei diritti dei cittadini, così come delineati dalla Costituzione. Garantismo come cultura suprema dell’essere. Chiaravalloti vive questa lunga e prestigiosa esperienza, con spirito autenticamente laico, lontano dalle guerre partigiane e correntizie e sempre con la battuta distensiva, anche se a volte dissacrante. Il suo racconto di un giorno in Pretura a Crotone, con la puntuale ed esilarante descrizione delle figure, dei tic, delle magagne, delle riverenze e salamelecchi ipocriti di personaggi memorabili, l’avvocato, l’usciere, il cancelliere, il collega di fuori rappresentano uno spaccato indimenticabile di varia umanità, che ricorda con umorismo straripante l’epopea cinematografica di “Un giorno in Pretura” di Steno, con un incontenibile Alberto Sordi e Peppino De Filippo proprio nei panni del Pretore.
Ma Don Peppino è uomo di grande e ricercata cultura, che, sostenuta da una memoria fuori dal comune, gli consente di spaziare con grande padronanza e raffinatezza dai classici latini e greci ai grandi romanzi americani, attraversando con eleganza voltairiana l’enciclopedismo letterario e pandettistico. Una serata con Don Peppino può riservare emozioni e piaceri dello spirito assolutamente inimmaginabili.
Nel 2000 il grande salto in quel mondo che aveva sempre sfiorato, ma mai conosciuto dal di dentro. Silvio Berlusconi lo convince a candidarsi alla Presidenza della Giunta regionale della Calabria sperimentando per la prima volta l’elezione diretta.
Si apre per lui e per la Calabria una parentesi durata cinque anni in cui, sia pure con lo spirito inflessibilmente laico e con la grande capacità di sdrammatizzare ogni situazione riportandola entro i confini dell’umana razionalità, affronta la difficile prova della Politica.
Ovviamente Chiaravalloti è troppo intelligente per non sapere che egli è un corpo estraneo rispetto ad un mondo, che tra l’altro ha subito l’assurdo rivolgimento di Tangentopoli con l’annientamento dei Partiti tradizionali, Democrazia Cristiana, Partito Socialista Partito Repubblicano, Liberale e Socialdemocratico ai quali il Presidente Chiaravalloti ha sempre guardato con sicuro rispetto. Chiaravalloti sa che dovrà confrontarsi con logiche politiche che ancora pretendono di interpretare il pensiero e le prassi di figure mitiche, ma ingombranti come Carmelo Pujia, Riccardo Misasi e Giacomo Mancini. I democristiani e i socialisti non ci sono più, ma i corridoi della Regione sono affollati da quelli che millantano di esserne gli eredi. Cercherà di limitarne l’invadenza con fatica e con grande impegno del suo carattere assai determinato, dietro il volto bonario e il sorriso sornione, e soprattutto della sua autorevolezza. Ma tutto questo farà perdere smalto, progettualità ed efficacia alla difficile azione di governo. Sono cinque anni in cui la Calabria ha il privilegio di avere una guida prestigiosa, di assoluto spessore culturale e morale, ma che appare a volte permeabile alla mediocrità dell’ entourage, dalla Giunta alla burocrazia spesso arroccata a difesa dei suoi privilegi piuttosto che dei bisogni dei calabresi.
Chiaravalloti, in questa sua, comunque significativa esperienza politico-amministrativa, non ha fatto i conti con l’onda anomala proprio del mondo da cui proviene, la Magistratura, verso cui ha indirizzato con grande successo la figlia Katia e oggi la nipote Denise e che, all’epoca, anche in Calabria ha avviato dure campagne inquisitorie nei confronti della pubblica amministrazione e della politica. In alcuni casi straripando dall’alveo legittimo della persecuzione dei reati e inseguendo la ricerca di alcune figure di imputati a prova di ampia visibilità su una stampa che, proprio in questa regione, ha vissuto una stagione di contiguità al potere giudiziario.
Chiaravalloti ovviamente, come era giusto, uscirà totalmente indenne da tutte le indagini che cercano di sconvolgere gli assetti politico istituzionali e sociali, i cui effetti non sono del tutto esauriti.
Don Peppino è stato un punto di riferimento ineguagliabile e insostituibile nella vita sociale della comunità catanzarese e calabrese. E’ stato l’indimenticabile animatore e guida del Circolo di Catanzaro, in cui dal 1871 si ritrova la buona e a volte illuminata borghesia della città capoluogo di regione, che gli ha sempre tributato l’onore e il merito di essere l’espressione più alta dell’intelligenza e della tradizione culturale calabrese.
Don Peppino Chiaravalloti appartiene alla categoria più nobile e apprezzata degli uomini di legge catanzaresi, che si richiamano a figure come Salvatore Blasco, Roberto Trovato, Benito Pudia e a principi del foro come Enzo Zimatore, Aldo Casalinuovo, Nino Gimigliano, Alfredo Cantafora.
Un mondo che con la scomparsa di Peppino Chiaravalloti si ritrova inesorabilmente più povero di riferimenti umani, civili e culturali in una città, che, anche per questo, rischia di smarrire la sua identità e la sua memoria.
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