di MARCELLO FURRIOLO
Ci sono persone che conquistano un posto incancellabile nelle vicende sociali e politiche di un territorio, per il carisma della propria personalità e per la determinazione con cui perseguono i loro obiettivi e le loro idee. Sia pure con alternanza di successi e di sconfitte, di grandi intuizioni, errori e contraddizioni, coraggiose strategie e ardite battaglie ideali e di potere.
Carmelo Pujia è senza dubbio uno dei protagonisti più emblematici nella storia dell’ultimo mezzo secolo di vita politica calabrese. E sicuramente il protagonista assoluto nel trentennio finale del secolo scorso. La sua parabola personale si intreccia in modo indissolubile con le vicende più significative della Democrazia Cristiana e della Calabria.
Non è mai facile esprimere un giudizio o ricostruire un profilo umano e politico di un personaggio così in vista, sopratutto quando sono ancora pulsanti le spinte delle passioni e le onde emotive dei sentimenti. Carmelo Pujia ha attraversato da primo attore le vicende complesse della Calabria e della DC, condizionandone le scelte e gli sviluppi, al di là di quanto lui stesso avesse programmato e desiderato.
Sulla Democrazia Cristiana calabrese ha avuto un’influenza decisiva a partire dai primi anni 70 del 900, allorchè alla testa di un manipolo di amici e seguaci fedeli andò alla conquista del fortilizio del partito di Via San Nicola a Catanzaro. In un convulso Congresso della Democrazia Cristiana al Teatro Comunale riuscì a ribaltare la maggioranza detenuta storicamente dall’onorevole Ernesto Pucci, con indiscussa autorevolezza. Un’operazione condotta con “inaudita violenza” e malgrado l’evidente “debolezza” della proposta politica, per come, a distanza di anni, alcuni dei protagonisti di quella vicenda avrebbero riconosciuto per “non essere stati in grado di capitalizzare e mettere a frutto il patrimonio umano e politico di una figura come Ernesto Pucci, in un grande progetto unitario e sovragenerazionale che avrebbe dato sempre maggiore forza alla DC, specialmente nel confronto sempre teso con gli alleati di governo e nella contrapposizione con un forte partito comunista”.
Ma da quel momento l’astro di Carmelo Pujia si illumina di sfolgorante luce propria e dalla Regione, prima, e dal Parlamento nazionale, poi, segnerà in modo indelebile la vita politica regionale. Oratore accattivante, dalla parola vibrante, concludeva i suoi comizi in un crescendo di appelli e di parole d’ordine che mandavano in delirio l’uditorio dei suoi innumerevoli fans e impressionavano non poco i suoi stessi avversari.
Pujia è stato uno dei più grandi professionisti della politica, nel senso migliore del termine. La politica intesa come servizio verso il territorio e la comunità, il cui impegno era diuturno, costante e totalizzante. Per Don Carmelo non era concepibile una distrazione rispetto ad un impegno di partito. Sopratutto ad un impegno di Corrente, che era la sua Chiesa, nel senso apostolico del termine. E gli amici di Corrente erano essenzialmente degli apostoli, che credevano in modo fideistico alla parola del Capo e diffondevano con totale convinzione e obbedienza il suo verbo. Carmelino aveva il controllo totale e diretto dei suoi amici e collaboratori ed era abilissimo nell’impedire che tra di essi si creassero amicizie particolari o peggio sottogruppi, all’insegna del più rigoroso e opportunistico “divide et impera”. Le sue telefonate mattutine, era notoriamente mattiniero, erano di aggiornamento e di controllo sulla massima tensione che doveva caratterizzare l’impegno delle persone a lui più vicine. Ciccio Samengo, fiduciario e consigliere molto ascoltato dal “Capo”, nel tempo Guido Mantella, Guido Rhodio, Ciccio Squillace, Cataldino Liotti, Ciccio Mirante, Franco Fiorita, Medoro Lapenna, Franco Cimino erano monitorati a vista, anche se ancora non c’era la diffusione dei cellulari, ma veniva praticato in modo scientifico il collaudato sistema del “mi hanno detto”, attraverso cui riusciva a sapere tutto di tutti.
Sicuramente una delle pagine più intricate della vicenda politica di Carmelo Pujia e della DC calabrese è legata ai rapporti contrastati con Agazio Loiero. Che agli esordi della sua attività giornalistica, in una seguita rubrica di ritratti di uomini politici, sul “Giornale di Calabria” del compianto Piero Ardenti, tracciò un profilo al vetriolo di Carmelo Pujia, già “ padre padrone ” della DC e della regione Calabria. Ironia del destino, dopo un periodo tumultuoso di rapporti, Don Carmelo affidò proprio all’amico-nemico Agazio la guida della DC di Catanzaro, a seguito della bruciante sconfitta alle elezioni europee del 1984, in cui per la prima volta il PCI prese più voti e seggi della DC, aprendo di fatto la strada alla fortunata carriera politica di Loiero, di cui ebbe ben presto a pentirsi amaramente, ritrovandoselo agguerrito concorrente nelle successive elezioni politiche e nella conduzione del partito calabrese.
Carmelo Pujia, forse più di Riccardo Misasi decisamente proiettato in una dimensione nazionale, è stato un grande conoscitore dei problemi della Calabria e un forte e strenuo difensore nei confronti di tutti i governi centrali dei diritti violati dei calabresi. Fu indomito e coraggioso sostenitore della necessità di una legge Speciale per la Calabria, per cui affermava con forza che bisognava far ripartire la locomotiva dello sviluppo ferma da anni su un binario morto. Era un politico illuminato, che non separava le sue battaglie per la conquista di posizioni di potere all’interno della Democrazia Cristiana e delle istituzioni locali dai problemi dello sviluppo dei territori, di cui sosteneva bisognava privilegiare le vocazioni sociali e culturali. Attento conoscitore delle diversità delle varie realtà calabresi, propugnava uno sviluppo economico e sociale armonico e rispettoso delle diverse peculiarità, dal Pollino all’ Aspromonte. Una visione moderna, che era l’esatto contrario dei campanilismi e delle divisioni, che hanno storicamente pesato e pesano sulla vita politica e sulla gestione dei governi regionali.
Legato alle posizioni di Andreotti e Cirino Pomicino ha avuto grandi rapporti di stima e di amicizia con Ciriaco De Mita e con Mino Martinazzoli. Ma ha goduto anche della stima e dell’apprezzamento di esponenti dell’opposizione, sopratutto del Partito Comunista, come Pio Latorre, Nicola Adamo, Costantino Fittante, Pasquale Poerio. Ma anche con autorevoli esponenti della destra come Michele Traversa, con cui condivideva i ricercati “cenacoli estivi” di Pietragrande. Ben saldo rimase sempre il rapporto personale e l’alleanza politica con Angelo Donato, che riproduceva in Calabria il forte legame tra Andreotti e Forlani. Intensa e consolidata l’amicizia anche con Pino Nisticò, già Presidente della Giunta regionale, che molto spesso sfociava in improvvise e improbabili sortite elettorali. E con Sergio Scarpino di cui apprezzava le battaglie di intelligente “oppositore” interno. Antico e conclamato il rapporto affettuoso con Nanà Veraldi, che lo teneva aggiornato sul gossip politico e non.
Ma è stato forte anche il suo rapporto con la città di Catanzaro, con un attaccamento non meno intenso della natia Polia, a cui ha legato fino alla fine gli affetti e i sentimenti più profondi e a volte struggenti, che, specie negli ultimi anni, assumevano il verso lirico in ricercati libelli.
Negli anni 80 fu molto vicino all’Amministrazione Comunale di Catanzaro, divenendo punto di riferimento a livello nazionale e regionale per il finanziamento e la realizzazione dei più importanti progetti strategici della città, come il Teatro Politeama, il Complesso monumentale del San Giovanni, il ripristino della Funicolare, il primo progetto per la metropolitana di superficie. Ad inizio degli anni 90, a seguito delle elezioni politiche del 1992, in cui per la prima volta venne introdotta la preferenza unica, si riversarono sull’amministrazione comunale le conseguenze dei risultati elettorali e dei dissidi interni alla DC, che pure guidava la città e aveva conquistato la maggioranza assoluta alle elezioni comunali, piegandola ad una logica personalistica della crescita della classe dirigente. Erano segnali evidenti dell’imminente tramonto della Democrazia Cristiana, incapace di cogliere la domanda di cambiamento e di rinnovamento della rappresentanza politica e parlamentare. Ma fu sopratutto penalizzata la città di Catanzaro, che non ebbe più una guida politica stabile, perdendo progressivamente il proprio ruolo centrale in Calabria e avviandosi al lento declino dei nostri giorni.
I tristi accadimenti familiari degli ultimi anni hanno tolto a Carmelo Pujia entusiasmi e voglia di impegno diretto nelle vicende politiche della sua terra. Rifiutandosi, malgrado le generali e pressanti sollecitazioni, di prendere parte attiva alle successive evoluzioni e cambiamenti che hanno riguardato il dopo Democrazia Cristiana. Carmelino Pujia era ed è rimasto fino alla fine autenticamente e orgogliosamente democristiano. Pur continuando ad essere un punto di riferimento imprescindibile per tanti amici, non solo nostalgici dello Scudo Crociato, ma per quanti ancora credono nel valore della buona politica, per le sue analisi lucide e argomentate su tutti i fatti di rilevanza regionale e nazionale.
Carmelo Pujia ha conquistato di diritto un posto di rilievo nel pantheon degli uomini che hanno speso fino in fondo e con coraggio il loro impegno e i loro talenti per scrivere una pagina di speranza per le generazioni future della sua amata Calabria.
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