di FRANCO CIMINO
È morta Raffaella Carrá, quanti anni avesse poco importa, lei è stata sempre della stessa età. Sempre giovane, sempre nuova, sempre avanti. Perché da sempre ferma. Su se stessa, sulla donna che era, sulla persona che era. Di dinamico-immobile ( mi si lasci passare l’espressione) c’era il personaggio che ha portato in giro per il mondo. Quello che ha costruito da se stessa, nonostante avesse a fianco, da sempre, quel geniaccio di Gianni Boncompagni, suo primo amore e suo primo mentore, grande inventore di programmi e personaggi dello spettacolo. Un personaggio originale, Raffaella, tecnicamente perfetto per la serietà e meticolosità con cui preparava i suoi spettacoli. Una specialistica di tipo teatrale, la sua, applicata con un rigore disinvolto, come solo le persone di gran classe e gli artisti veri possiedono. Questo personaggio era davvero speciale, perché conteneva tutte insieme e la donna e la persona e l’artista.
E pure tutte le età della vita, per il solo fatto di aver saputo interpretare tutte le generazioni. Passavano i decenni, e lei era green( come usa dire oggi). Passavano le stagioni e le mode, e lei era attuale. Passavano le culture e lei era contemporanea. Si alternavano forze politiche e sistemi politici, e di lei non si capiva per chi per chi parteggiasse. Come si spiegano tutte queste attualizzazione di un personaggio assolutamente unico, irripetibile, inimitabile? La ragione è semplice: lei era Raffaella Carrà, se ne pronunciavi il nome tutto d’un fiato come se si scrivesse per intero. Anzi, lei era soltanto Raffaella, la donna più amata dagli italiani. Ma anche dagli spagnoli e di gran parte degli europei come degli americani. Quelli degli States, parimenti a quelli che stanno a nord e a sud degli USA. Raffaella era sempre al passo con i tempi, divenendone preziosa per tutti i diversi passaggi di tempo, perché le culture le conservava tutte, attualizzandole con finezza artistica e culturale.
Dentro di sé conservava i volti e i corpi dei diversi tipi di donne che si sono susseguite, in una contraddittoria continuità, dal dopoguerra ad oggi. Nel suo volto bellissimo c’era la donna della pianura padana degli anni cinquanta e quella del nord progredito del boom economico come la donna umile e combattiva del sud. Quella che stava a casa a crescere i figli e ad attendere il marito al ritorno dal lavoro, e la donna colta , curiosa, coraggiosa, nuova, libera, che indicava la via della libertà nella emancipazione della donna e anche dell’uomo “ padronale” e ignorante. Emancipazione dei costumi e delle culture. E della sua politica non conoscevi nulla, perché a lei per essere la donna che era, l’attivista discreta e vellutata che era e, di più, per essere l’artista che era, non aveva bisogno di “politicizzarsi”.
Lei si bastava e nel palcoscenico sovrabbondava. Un’altra sua rarità, era data dall’amore che la circondava. I colleghi la stimavano e la rispettavano. Tutti, perché ne rinascevano la bravura irraggiungibile e la serietà con cui la esercitava. Ne riconoscevano la bontà e la gentilezza e quel suo modo di non essere pettegola e invidiosa o cattiva nel rubare il posto a qualcuno. Era amata dai registi e programmatori, perché sapeva farsi dirigere offrendo a ciascuno di loro la più facile delle possibilità: dirigere senza la fatica di cambiare. Insomma, lavoravano sul velluto.
Raffaella era già un programma. Anzi, il programma. Di sicuro successo, come lo sono stati quei suoi tanti spettacoli che hanno tenuto incollati davanti al televisore milioni di italiani. Lo spettacolo era lei. Bastava inventare una canzone, un motivetto semplice, metterle attorno un un po’ di ballerini e il programma andava che era una meraviglia. E questo perché? Perché Raffaella non era una ballerina, anche se ballava benissimo. Non era una cantante, anche se cantava benissimo. Non era una presentatrice, anche se presentava benissimo. Non era una anchorgerl da salotto, anche se intratteneva gli ospiti come nessuno. Non era una giornalista, anche se le sue conversazioni su temi di attualità o di cronaca, erano stimolanti come poche. Non era un’attrice, anche se recitava magnificamente. Raffaella era se stessa, un unicum nella storia dello spettacolo. Una specie di Gigi Proietti in gonna. E in pantaloni anche, essendo il pantalone un elemento del suo vestire elegante, anzi“ accattivante” . Il suo muoversi, che ballasse o no, che parlasse o no, che ridesse o piangesse, la rendevano molto sensuale. Era una donna desiderata da tutti gli uomini di qualsiasi età senza che mai si mostrasse volgare o soltanto leggermente osé. Lo era in modo talmente pulito ed elegante che invece che essere odiata dalle mogli di quegli uomini disturbati nei sogni e nei pensieri, veniva amata da loro.
Raffaella Carrà è stata la televisione, non solo per essere cresciuta dentro quella scatola magica, ma perché aveva inventato una certa televisione. Prima di lei e dopo di lei la televisione è stata un’altra cosa. Da quando le luci si sono spente su di lei, infatti tutte le Tv, nei loro molteplici canali di intrattenimento, sono scese molto in basso sotto ogni aspetto. Ora che luci sulla sua vita si sono spente, verrebbe voglia di spegnerle tutte insieme. È andata via una icona dello spettacolo, una donna della televisione, una persona bella. Una vera artista dal cuore italiano aperto sull’Europa e sul mondo. E sulla vita tanto amata e rispettata.
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