di MARCELLO FURRIOLO
Il 37 per cento degli italiani ha nostalgia della Democrazia Cristiana.
Secondo il Rapporto curato da Quorum per Demos, un soggetto politico che orbita nell’area del centrosinistra, il cui segretario è Paolo Ciani molto vicino a Elly Schlein e alla comunità di Sant’Egidio, emerge la mancanza di un Partito che sostenga i valori cristiani e cattolici, come pensa addirittura un elettore su due di FdI. Ecco perché sarebbe un errore regalare il voto cattolico a destra o astensionismo.
Matteo Pucciarelli su Repubblica sostiene che “Ci vorrebbe un partito di cattolici o forse, a pensarci bene, ci vorrebbe la Democrazia Cristiana.” Ma quale Democrazia Cristiana?
Domani si celebreranno nella sua adorata Chiaravalle i funerali di Angelo Donato, un uomo per bene. Un democratico cristiano autentico. Fino alla fine la figura che ha meglio rappresentato i valori umani e politici del Partito di Sturzo, De Gasperi e Moro nella sua realistica interpretazione della complessa società calabrese.
Angelo Donato ha attraversato con grande dignità e intelligenza il ventennio difficile tra i ’70 e gli ’80 del secolo breve, fino alla falsa rivoluzione di Tangentopoli e alla inopinata fine dello Scudo crociato. Ha svolto ruoli impegnativi e di prestigio in tutte le istituzioni, dal Comune di Chiaravalle, alla Regione Calabria, alla guida della città Capoluogo di regione, al Senato della Repubblica rappresentando in ogni circostanza un punto riferimento di equilibrio, buon senso e spirito di servizio.
Nel 1985, quando il partito della Democrazia Cristiana aveva la fiducia della larghissima maggioranza degli elettori, realizzammo una sorta di “staffetta” politica e amministrativa nella carica di Sindaco di Catanzaro, che garantì continuità e solidità nella realizzazione degli ultimi grandi progetti che hanno avviato il vero cambiamento, rimasto poi in parte bloccato e risucchiato dall’onda montante del declino e del populismo.
La collocazione di Angelo Donato all’interno del caleidoscopio democristiano era vicina alle posizioni del Presidente Moro, rappresentate a Catanzaro dal compianto senatore Elio Tiriolo, ma la sensibilità umana e politica di Angelo trovò la sua naturale confluenza nell’area di Arnaldo Forlani, il grande tessitore, l’uomo che garantì gli equilibri più delicati della vita politica italiana mediando con intelligenza tra due giganti come Giulio Andreotti e Bettino Craxi. E Angelo Donato riuscì a declinare con altrettanta intelligenza e flessibilità la lezione forlaniana nella difficile e complessa realtà della Democrazia Cristiana calabrese, dove si confrontavano personalità di notevole caratura, ma di diversa formazione sociale, umana e culturale come Riccardo Misasi e Carmelo Pujia.
Eppure molto spesso era la saggezza e l’empirismo illuminato di Angelo Donato a suggerire la strada per uscire dai momenti più duri del confronto tra i due leader di Cosenza e Catanzaro, che coinvolgeva non solo la supremazia all’interno del Partito, ma riguardava la visione del futuro della Calabria. Perché quella Democrazia Cristiana sapeva accantonare anche le più accese dispute per la conquista degli spazi di potere, dinanzi alle scelte per lo sviluppo e la crescita economica e sociale del territorio, affrontando con forza e unità d’intenti il confronto con il governo nazionale. Cercando di fare della specificità della Calabria un un punto di forza e non di emarginazione. In questa difficile congiuntura il ruolo di Angelo Donato era oscuro, ma decisivo specie nel tradurre in risorse le peculiarità caratteriali di Riccardo Misasi e Carmelo Pujia sul tavolo del Segretario nazionale del Partito Arnaldo Forlani.
Si può dire che Donato riuscì con pazienza e tenacia a realizzare in Calabria, nel rapporto con Carmelo Pujia, rappresentante indiscusso della corrente andreottiana, il modello politico e operativo romano dell’asse Forlani-Andretti, garantendo stabilità e concretezza nella guida del partito calabrese e grande credibilità ed efficienza nella gestione degli enti locali. Anche nel rapporto spesso concorrenziale con un forte Partito Socialista dei Mancini, Principe e Casalinuovo, ma principalmente nello scontro duro e conflittuale con il Partito Comunista arroccato acriticamente nel più ruvido dogmatismo berlingueriano della presunta diversità morale e politica.
Tanto era immediato e fulmineo il pensiero vivace di Carmelo Pujia tanto era riflessivo, apparentemente flemmatico il ragionare di Angelo Donato, che mirava sempre a raffreddare e indirizzare anche lo scontro nell’alveo della mediazione, convinto che in politica non esistono le vittorie facili e non giova a nessuno passare sul cadavere dell’avversario. Carmelino, che aveva un rapporto di grande affetto e di stima sincera nei confronti di Angelo, dei cui consigli non riusciva più a fare a meno, amava dire che il ragionare di Angelo Donato era sempre “tondo”, non presentava mai asperità e impuntature.
In questo senso egli ha rappresentato fino alla fine, non raccogliendo il canto delle sirene del trasformismo e il paracadute della sinistra verso i profughi democristiani dopo la bufera di Mani Pulite, mantenendo con estrema dignità e riservatezza il suo inconfondibile profilo di democristiano perbene.
Quel profilo a cui ancora oggi si ispira il 37 per cento degli italiani.
E che rimpiangono con commozione e profondo rispetto quanti hanno avuto il privilegio di condividere un pezzo di cammino con Angelo Donato.
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