di FRANCO CIMINO
E penso a te, che cedi la vita al primo sgambetto nella partita di pallone che non era quella desiderata.
L’ora, invece, quella, sì, di tutti i giorni del divertimento. Della preparazione. Della scuola di calcio. Il campo era, però, quello sbagliato. Il cancello dal quale sei entrato non era quello giusto. I tuoi compagni di squadra cambiati, entrando in campo, hanno indossato una maglietta diversa dalla tua, la stessa dei tuoi avversari.
Che non erano ragazzi, come te, ma una montagna informe mostruosa di muscoli che si sono abbattuti sul tuo petto.
La chiamano destino. Dicono che vinca sempre, imponendo le sue regole anche a chi non le conosce.Come i bambini appena ragazzi. Il mio pensiero va ai tuoi compagni di squadra, i calciatori belli come te.
Fermati al cancello mentre da solo tu lo varcavi.
Se fossero potuti entrare, ti avrebbero trattenuto un attimo prima che il tuo cuore si arrestasse.
Penso al loro dolore, al loro senso di impotenza.
Penso al disprezzo che per un minuto, un’ora, un giorno o tanti, proveranno per il gioco tanto amato.
Lo sport più bello, che fa giocare e sognare, divertire e studiare, rallegrarsi e faticare,correre e sudare.
Penso a tuo fratello, più grande di te di qualche anno, l’unico che hai.
Al suo terrore quando dalla “ tribuna” ti ha visto cadere a terra come un corpo agile pesante cade. Alla sua corsa velocissima verso di te, alla sua ansia affannosa di rianimarti. Al suo grido lancinante:” Alzati! Mattia alzati, ché mamma e papà ci aspettano per cena.
Svegliati, Mattia!
Ti prego, non farmi scherzi, come potrò dirlo a mamma che non tornerai con me?” Penso ai tuoi compagni di classe, attoniti alla notizia.A come faranno a entrare nella vostra aula e vedere il tuo banco vuoto.
E al tuo compagno di banco, che non ti potrà parlare subendo entrambi il richiamo della prof, ché disturbate la lezione. Penso ai tuoi compagni d’istituto, che non accetteranno mai che uno di loro non ci sia più.
Ché la Scuola non può fare a meno di uno come te.Non può perdere alcuno dei suoi ragazzi, uno solo davvero li vale tutti.
Penso ai bambini, come te, ai ragazzi, come te, che giocano a pallone.
E ai giochi in cui è richiesto lo sforzo fisico.
A tutti quelli che da oggi si sentiranno urlare dalla loro mamma di stare attenti, che, forse, non è utile giocare e ogni giorno, poi.
Penso ai papà che andranno ai campetti non per vederli giocare, ma per vigilare che non succeda nulla al proprio ragazzo.
Ché se ci loro a bordo campo o in tribuna, il figlio, ogni figlio, non potrà morire giocando.
Penso alla tua comunità, al tuo bel paese, che solo ieri piangeva una donna bellissima di novant’anni, come possa adesso piangere il figlio più piccolo di Taverna.
Penso a te, Mattia, che, stanco e sudato, con i primi freddi che arrivano dalla Sila vorresti giocare ancora, e invece dormi.
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