di AGAZIO LOIERO
Lo storico Galli della Loggia ha scritto in questa settimana sul Corriere della Sera un articolo critico nei confronti della legge costituzionale del 2001 varata dalla maggioranza di centrosinistra con pochi voti di scarto. Si tratta del testo che ha permesso al ministro Calderoli di avanzare la sua pericolosa proposta di autonomia differenziata. Lo storico ha ragione di criticare il centrosinistra perché, alla luce dei fatti, quell’approvazione avvenuta sul finire della legislatura 1996-2001 resta un indiscutibile errore politico. Una legge, come vedremo, approvata, probabilmente a fini nobili, per scongiurare il rischio della frantumazione dell’Italia che, grazie alla perfidia del caso, si trasforma, alla luce dei fatti, nel suo contrario.
La politica è il terreno più propizio per l’applicazione di un noto principio filosofico, secondo cui le azioni umane possono portare al conseguimento di obiettivi diversi da quelli prestabiliti. Talvolta contrari. Si chiama, com’è noto, eterogenesi dei fini ed è una locuzione spesso utilizzata dai politici, anche da quelli che con la filosofia hanno poca dimestichezza.
Due parole sul clima politico del tempo. Alle elezioni nazionali del 1996 la Lega di Bossi, pur presentandosi agli elettori priva di alleanze, consegue un risultato notevole, il più alto della sua ancora breve storia: il 10,7 per cento. Per di più conseguito solo nell’Italia del Nord, dove notoriamente per una legge non scritta, i voti pesano di più che nel resto d’Italia. Bossi all’epoca utilizza, quasi in forma monotematica, il suo prediletto spauracchio delle origini: la secessione. Quel rischio all’epoca si respira pesantemente nell’aria.
Nell’estate di quell’anno il capo della Lega sale con i suoi, come dire, “seguaci” sul Monviso riempie un’ampolla di acqua sorgente, la alza simbolicamente al cielo per poi riversarla, dopo una lunga marcia, nella Laguna di Venezia. In tutta evidenza una sfida eversiva alle istituzioni e alla stessa identità culturale della Repubblica, che in alcune parti dell’Italia fa una certa presa.
Nessuna meraviglia se alcuni esponenti di rilievo del centrosinistra che conoscono la particolare storia del nostro Paese in cui il tema dell’unità ha svolto, fin dal Risorgimento, una funzione dominante, si prodighino, attraverso discreti contatti informali, nel tentativo di evitare una prospettiva tanto funesta. Non voglio farla lunga ma ho motivo di ritenere che Il messaggio preliminare della Lega per avviare la trattativa sia la richiesta di una maggiore dose di autonomia a vantaggio dei territori. Diventa dunque questo il toccasana per tranquillizzare l’inquietudine di una parte minoritaria della coalizione di governo di centrosinistra, guidata da Giuliano Amato.
Si dimentica corrivamente, da parte dei fautori della trattativa, che Bossi, che fino a qualche mese prima intendeva fermare le barche dei migranti con colpi di cannone, resta un personaggio che ha sempre fatto della spregiudicatezza politica la sua fede. Per dirla tutta, non mi sento di escludere che negli intenti del centrosinistra possa all’epoca aver fatto capolino anche una prospettiva di tornaconto, quella di stipulare con il movimento leghista una solida alleanza. D’altra parte il giudizio, non semplicemente critico ma violento che il capo della Lega offre ai media per circa cinque anni di Berlusconi, fa apparire non più sanabile la rottura tra i due.
Si dà il caso però che mentre qualcuno nel centrosinistra tenta l’alleanza con Bossi, questi sta trattando, auspice Tremonti, con Berlusconi. Una trattativa sommersa, lunga un paio di anni alla presenza, a dimostrazione di quanto l’uno si fidi dell’altro, di un notaio milanese, rimasto per molto tempo sconosciuto, che sfocia in un patto di ferro tra i due protagonisti. Non interessa qui approfondire i termini dell’intesa. Quelli scritti e quelli non scritti, probabilmente più onerosi. Interessa solo ricordare la parte eminentemente politica imposta dalla Lega, che si compendia nel seguente assioma: “Le risorse del Nord devono restare nel territorio che le produce e non possono essere dissipate in regioni parassitarie del nostro paese, come è avvenuto nei passati decenni, attraverso il circuito della solidarietà ai territori svantaggiati”.
Lo strumento per compiere tale operazione, che Bossi vede come un sistema di riequilibrio territoriale capovolto, è il federalismo, l’autonomia, “le competenze esclusive” da assegnare alle regioni. Sono passati oltre venti anni da quel patto, la Lega è passata dalla guida di Bossi a quella di Salvini, la parola Nord è scomparsa dal loro simbolo, la devolution è diventata autonomia differenziata, ma le pretese di disfarsi del Mezzogiorno sono rimaste inalterate.
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