di PAOLO CRISTOFARO
Un dibattito si è sviluppato, questo pomeriggio, nella saletta della libreria Ubik di Catanzaro Lido, che ha ospitato il giornalista di Reggio Calabria, Claudio Cordova, per presentare il suo libro "Gotha. Il legame indicibile tra ‘ndrangheta, massoneria e servizi deviati" (Paper First). Introdotto da Nunzio Belcaro, Cordova ha dialogato con Marcello Barillà e Nicola Fiorita, passando poi ad una coinvolgente interazione con il pubblico in sala, che si è sviluppata abbracciando analisi sulla situazione attuale della Calabria, della giustizia e della lotta alla criminalità organizzata.
"Mi accusano spesso di essere giustizialista. Io guardo ai fatti. So che oltre alle sentenze dei tribunali, oltre alle evoluzioni puramente giuridiche delle vicende, esistono fatti storici che rimangono al di là di tutto. Credo che il giornalista debba raccontare alla gente anche i fatti, anche ciò che non diventa sentenza - positiva o negativa che sia - perché la gente ha diritto di conoscere, specialmente se quei fatti storici, di vita, di legami relazionali, riguardano persone che aspirano ad affacciarsi (o sono già avviate) nel panorama politico regionale e non solo", ha dichiarato Cordova.
"Il libro di Claudio è un libro scritto per approfondire tematiche difficili. E' un libro per chi non si accontenta del pettegolezzo online, dei titoli a volte sensazionalistici dei giornali, che spesso a dismisura estendono le vicende giudiziarie, è un libro che raccoglie fatti - come ha detto Claudio - che non sempre sono diventati sentenze, storie che non sempre sono inchieste, ma che sono esistite ed esistono. E' un libro coraggioso", ha esordito Barillà descrivendo il lavoro di Cordova. "Rimango un po' scettico rispetto a ciò che potrebbe intaccare le libertà individuali, mi spaventano quei processi, anche mediatici, che fanno passare innocenti per colpevoli, quando un'indagine non è che l'inizio di una vicenda giudiziaria, non la fine. E' sempre preferibile un criminale libero che un innocente in galera", ha aggiunto Marcello Barillà.
"Concordo sulla delicatezza e sull'attenzione con cui queste vicende vanno trattate", ha detto ancora Cordova. "Ma le inchieste recenti - e più in generale la situazione della nostra regione, dove nelle liste per il 26 gennaio continuano a comparire impresentabili - ci spingono a riflettere e ad analizzare, da vari punti di vista, quello che si è verificato negli anni in Calabria. In questo libro ho parlato di personaggi molto noti, di un vecchio modo di fare politica, di un sistema mafioso che spesso - e sicuramente più che nella Sicilia di Cosa Nostra - è una vera piovra, che estende i suoi tentacoli nei più svariati settori della società civile e della vita politica ed economica. La Ndrangheta è senso si appartenenza, è rituale, è quasi una setta ed è soprattutto sostenuta da rapporti sociali, da relazioni. Questa è la sua forza, più di quella di Cosa Nostra o della stessa Camorra; quest'ultima fatico persino a definirla mafia vera e propria", ha sottolineato l'autore e giornalista.
"Questo libro è importante per ricostruire un intero spaccato della nostra regione. Claudio per me è un punto di riferimento. Il suo lavoro consente di sapere, di informarsi, di conoscere. In effetti gli ndranghetisti non sono solo esperti di violenza, sono espertissimi di relazioni sociali", ha spiegato invece Nicola Fiorita.
L'autore del libro ha poi fatto riferimenti diretti ad alcune figure politiche note, come Falcomatà, "che è morto con diverse inchieste rimaste in sospeso a suo carico", e Paolo Romeo, "persona di finissima cultura e ricchissime relazioni, ma che aveva contatti ad alti livelli con le organizzazioni criminali" e ad alcune organizzazioni ndranghetiste del reggino, soffermandosi sui rapporti tra queste e i clan di Vibo e del catanzarese.
"L'arma che oggi si usa contro noi giornalisti non è più la minaccia, la lettera minatoria, l'attentato. Contro di noi si impiega l'isolamento, l'indifferenza, la tendenza a screditare. Contro di noi, ormai, le vere lettere minatorie sono quelle su carta intestata degli avvocati, per le querele, per le cause che non ci fanno dormire la notte, che non ci danno stabilità, che ci spaventano. Col mio legale abbiamo contato oltre 2 milioni di euro di risarcimenti che ci sono stati chiesti. Per tapparci la bocca e per non farci scrivere, oggi, si usano le azioni giudiziarie", ha sottolineato Cordova.
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