AMA Calabria, a tu per tu con Lorenzo Glejieses: l'attore amante delle sfide
23 ottobre 2023 11:48di CARLO MIGNOLLI
“Uomo e Galantuomo”: questo il titolo della commedia scritta da Eduardo De Filippo nel 1922 che darà il via alla stagione teatrale di Ama Calabria il 24 ottobre alle ore 21 al Teatro Grandinetti di Lamezia Terme e il giorno successivo, sempre alla stessa ora, al Teatro Comunale di Catanzaro. La commedia narra la storia di una compagnia di guitti scritturati per una serie di recite in uno stabilimento balneare. Proverbiale la scena delle prove di "Mala nova" di Libero Bovio, in cui un suggeritore maldestro, continuamente frainteso dagli attori, ne combina di tutti i colori. Poi gli intrecci amorosi si mescolano alla finta pazzia, unica via per evitare duelli e galera. Tra i protagonisti dello spettacolo ci saranno, tra gli altri, Geppy Glejieses, allievo di Eduardo De Filippo, dal quale ricevette il permesso di rappresentare le sue opere, e il figlio, Lorenzo Glejieses. Proprio quest’ultimo, attraverso un’interessante intervista, ci ha raccontato la sua storia, dall’inizio della sua carriera ad oggi.
Sarà a Catanzaro e Lamezia, rispettivamente il 24 e 25 ottobre, per presentare al pubblico calabrese lo spettacolo “Uomo e Galantuomo” di Eduardo De Filippo che aprirà la stagione teatrale di Ama Calabria. Com’è stato lavorare a questo impegnativo progetto con il regista Armando Pugliese insieme ad un cast di assoluto livello?
“È stata una bellissima esperienza, Armando è cresciuto confrontandosi ciclicamente sulle regie degli spettacoli di Eduardo De Filippo, ha lavorato nella compagnia di suo figlio Luca, dunque si vede che è un vero conoscitore di quel tipo di drammaturgia. Come diceva anche lei, ho avuto l’opportunità di lavorare con attori di assoluto livello ed esperti del teatro napoletano come Ciro Capano, uno dei principali interpreti di “È stata la mano di Dio” di Paolo Sorrentino. Penso anche a mio padre Geppy, cresciuto confrontandosi con Eduardo, di cui è anche allievo. Mi sono trovato a lavorare con una compagnia di altissimo livello, che si è trovava a lavorare su dei testi di drammaturgia napoletana e siamo felice di aver realizzato un qualcosa sulla nostra città e tradizione”.
Suo padre Geppy è stato allievo proprio del grande Eduardo De Filippo, ci sono delle qualità che il maestro napoletano ha trasmesso proprio a suo padre e che a sua volta ha trasmesso a lei? Cosa ammirava maggiormente del modo di fare teatro di De Filippo?
“Di Eduardo ammiro tutto, era una mosca bianca proprio perché riusciva a fare qualsiasi cosa, ed è molto difficile. Era un drammaturgo unico al mondo e soltanto il nominarlo mi induce ad inchinarmi. Anche a livello attoriale a mio parere era uno dei migliori in Italia e nel mondo. In più possedeva una mente imprenditoriale applicata al teatro ed era un grande capocomico: sapeva capire e prevedere se un certo tipo di testo avrebbe incuriosito il pubblico o meno. Essendo io un attore, sono proprio quelle sue qualità che mi intrigano ed affascinano maggiormente ed è molto difficile oggi incontrare attori di tale livello, extra ordinari. Mio padre, invece, ha avuto con lui un confronto per lo più sui testi, sull’acquisizione dei diritti, infatti è stato uno dei pochissimi a cui fu dato il permesso di mettere in scena le opere di Eduardo e questo ha fatto crescere molto Geppy sotto tutti i punti di vista, ma soprattutto sugli aspetti imprenditoriali ed organizzativi”.
La sua figura, oltre ad essere accostata al mondo del teatro, è legata anche a quello del cinema, grazie alla sua presenza in film di straordinario successo come “Il giovane favoloso” e “Il Primo Re”, film che ha guadagnato addirittura 15 nomination ai David di Donatello. Possiamo dire che è un attore che ama le sfide. Com’è nata la sua passione per la recitazione e quali sono le maggiori differenze che ha incontrato tra cinema e teatro?
“Più che una passione per la recitazione, è stato un automatismo nel seguire quella che era la quotidianità. Mio padre mi ha messo in scena per la prima volta quando avevo nove anni, quando per me era più come un gioco. Ho trascorso tutta l’adolescenza confrontandomi ciclicamente con il lavoro dell’attore e da ragazzo ho avuto l’opportunità di lavorare con esponenti di quel mondo che mi hanno insegnato tanto, come Regina Bianchi. A diciott’anni, quando dovevo scegliere cosa fare della mia vita, avevo optato di studiare per diventare regista e proprio in quel momento la vita ha scelto per me: sono stato chiamato per dei ruoli da protagonista a teatro, in serie televisive e film. Oggi sono felice di aver fatto questa scelta perché ho una grande passione per il mio lavoro, ma non la considero propriamente come una scelta perché sono nato e cresciuto vivendo in questo mondo: mi sono trovato in un meccanismo, l’ho seguito ed assecondato. Per questo stimo molto chi, non trovandosi in quel meccanismo, ha deciso di intraprendere questa difficile strada”.
Possiamo dire che la sua figura è legata alla nostra regione grazie alla collaborazione con il Teatro Stabile di Calabria, con sede a Crotone e fondato proprio da suo padre nel 1999. Quali sono gli aspetti da migliorare nel nostro territorio, o più in generale nelle regioni del sud Italia, per cercare di avvicinare sempre più persone al mondo del teatro?
“Sono molto legato alla realtà calabrese e ho tanti bei ricordi. Il problema del sud, ma a mio parere dell’Italia intera, è la progettualità teatrale: non vedo dei passi in avanti nella formazione di nuovi talenti, nell’investimento produttivo di nuove realtà. Penso che per i giovani, più passa il tempo e più sia complicato trovare uno spazio che gli dia semplicemente delle sale per provare. Sono sempre meno le realtà che nascono ed è un peccato perché non capiamo di avere una miniera d’oro, potremmo avere i migliori talenti del mondo. Quando portiamo i nostri spettacoli fuori dall’Italia la gente resta a bocca aperta, ma noi non ce ne rendiamo conto. L’investimento nel teatro è sempre minore, non c’è interesse nelle nostre riuscite o nei nostri fallimenti. Non sappiamo cosa significhi attuare una politica culturale, si continua a tagliare sugli investimenti, così come lo si fa anche in molti altri campi. La realtà teatrale italiana rispecchia perfettamente quella della nazione. Quando invece si decide di investire i risultati inevitabilmente arrivano: ho insegnato in una scuola a Scampia da dove sono usciti tanti attori importanti del panorama artistico nazionale”.
Oggi viviamo in un periodo storico caratterizzato da conflitti e quindi violenza. Quanto è importante secondo lei avvicinare i giovani al mondo del teatro e cosa il teatro può restituire?
“Il teatro è stato utilizzato in realtà disparate e molto diverse tra loro e si sono ottenuti grandissimi risultati. Potrebbe essere una soluzione indicata rispetto a situazioni difficili e delicate, ma anche un mezzo per arrivare molto lontano, non soltanto per diventare attori affermati. Il problema è capire se c’è un interesse generale nel risolvere determinate problematiche oppure sfruttare l’argomento solo in campagna elettorale. Tante strutture utilizzano il teatro per aggregare delle persone con disturbi mentali, al fine di fare esprimere quello che hanno dentro. Quindi investire in questo tipo di realtà potrebbe essere molto indicato”.
Quali sono i consigli che lei darebbe proprio a dei giovani che decidono di intraprendere questa strada?
“Sono figlio di un’altra epoca, ma il consiglio che darei da attore che si è formato al sud è quello di fare esperienza fuori per vedere delle realtà diverse e poi decidere di tornare con un bagaglio artistico più ricco”.