di CLAUDIA FISCILETTI
Tra Luigi Pirandello e Sebastiano Lo Monaco vi è un legame naturale, che va oltre i natali siciliani in comune e oltre l'amore per il teatro. Tra Pirandello e Lo Monaco scorre l'essenza del teatro, quella più pura, fatta di storia e arte, di radici e sentimenti. Sarà più facile comprendere questo legame quando si assisterà alla rappresentazione dell''Enrico IV', in scena il 16 dicembre al Teatro Grandinetti di Lamezia Terme, e il 17 dicembre al Teatro Comunale di Catanzaro. Doppia data inserita nel cartellone della stagione teatrale di AMA Calabria, ideata e diretta da Francescantonio Pollice, per questo spettacolo che, come dichiarato da Lo Monaco nell'intervista rilasciata a La Nuova Calabria: "Sta avendo un grandissimo successo, ovunque è stato accolto con gli applausi di un pubblico entusiasta, ma anche commosso perché sente empatia per il dolore del personaggio". Uno spettacolo, 'Enrico IV', che vede alla regia Yannis Kokkos, e che sino ad ora è stato accolto positivamente a Palermo, Catania, Siracusa e Modica, fino ad arrivare alle tappe calabresi. Un 'Enrico IV' fedele a ciò che è stato scritto da Pirandello, anche grazie al lavoro della drammaturga Anne Blanchard, frutto della sintonia professionale nata tra lo stesso Kokkos e Lo Monaco, che hanno già lavorato insieme nel 2018 per l'Edipo a Colono: "Kokkos conosceva la mia carriera e la mia predilezione pirandelliana, quindi ci siamo ritrovati in questo progetto". Un attore, Sebastiano Lo Monaco, che può vantare più di 40 anni di carriera trascorsi sul palcoscenico, tra interpretazioni di Cyrano de Bergerac, del teatro greco e del teatro pirandelliano. Conosciutissimo il suo Ciampa de "Il berretto a sonagli", ma non solo, nel 1980 il suo primo approccio a Pirandello con "Come tu mi vuoi" e, ancora, l'Enrico IV del 2003 con la regia di Roberto Guicciardini. Tanto Kokkos quanto Lo Monaco sono particolarmente entusiasti di portare in scena quest'opera che è "il teatro per eccellenza. L'essenza del teatro, nel teatro, nel teatro".
Ha interpretato tante volte, tante opere di Pirandello. Con l’Enrico IV qual è la particolarità su cui si è concentrato per dare un’interpretazione che lo distinguesse dagli altri personaggi pirandelliani da lei impersonati?
“Con Enrico IV non ho, aihmè, in comune la follia con la quale lui convive per circa 12 anni. Ho convissuto, però, per tanti anni della mia vita con una forte depressione che ho combattuto. Enrico IV, quando guarisce dalla vera pazzia, è un uomo che in qualche modo è un antesignano della depressione anche se nel 1921, quando Pirandello l’ha scritto, non era stato ancora definito questo male oscuro. Ma è un uomo che si autoesclude dal mondo, decide di non essere più capace di vivere nel mondo perché in fondo trova che tutti gli altri sono maschere, nella vita tutti portano maschere che ridono che lui definisce “insopportabili” per un uomo che è tornato a una sua verità, una sua essenza dell’essere. E’ un uomo quasi disadattato allo stare in mezzo agli altri. Questo riguardo la mia predilezione per Enrico IV, anche se ho interpretato molto di più Il berretto a sonagli, Ciampa è un personaggio che mi ha dato moltissimo. Ma quello che mi si addice è l’Enrico IV, in definitiva, lo giudico l’Amleto italiano. Nell’Enrico IV, ad un certo punto, c’è una frase 'sono o non sono' che ricorda 'essere o non essere' di Amleto. Per me è l'Amleto italiano, un capolavoro assoluto".
Le maschere pirandelliane possono essere metafora del mestiere dell'attore?
"Per Pirandello, credo, che siano più metafora della vita. C'è una frase che Pirandello dice ed è 'Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti'. Nella vita tutti hanno una maschera, incontrare un volto vuol dire incontrare la verità, incontrare una persona vera e autentica. Questo per Pirandello era raro, nella vita tutti portano una maschera".
Oggi abbiamo tutti quel pizzico di follia che ci distacca dalla realtà, un po' come capita con Enrico IV?
"Grazie a Dio si. Pirandello dice che la follia è contenuta nei sogni che ti portano un po' a 'svariare' col cervello. Se non avessimo quella parte di sogno che rasenta un pizzico di follia, la vita sarebbe una cosa piatta quasi da automi, quasi da robot. Menomale che ci sono i sogni che Pirandello chiama un po' deliri, ma che ci portano quel pizzico di follia che ci consente di essere tutti diversi, perché ognuno ha il suo sogno, altrimenti saremmo tutt uguali, tutti dei replicanti".
Lei e Pirandello siete accomunati da questa 'sicilianità' che influenza, in qualche modo, il suo modo di interpretare i personaggi pirandelliani?
"Andando anche contro me stesso, devo dire che ho visto grandissimi attori non siciliani, interpretare benissimo Pirandello, come Alberto Lionello (milanese ndr.), Giorgio Albertazzi (toscano ndr.). Non credo che sia il mio essere nato in Sicilia quanto la cultura che abbiamo respirato entrambi con Pirandello, nascendo in questa terra. E' una cultura che affonda le radici nella grecità, nella filosofia, nel platonismo, nel sincretismo religioso perché Pirandello è nato sotto i templi di Agrigento ed io sono nato sulle pietre del teatro greco di Siracusa, dove nel giugno del 1958, mia madre incinta del sottoscritto, ha visto Salvo Randone che faceva l'Edipo Re. Sono andato a teatro tre mesi prima di nascere. L'aver respirato la cultura classica, la filosofia greca, i tragici greci, gli apporti che ancor prima gli arabi avevano portato alla nostra cultura, alla matematica, alle scienze, alla poesia. Ecco, credo che ci accomuni l'essere nati in una terra dove si respira una cultura vastissima che copre tutta l'aria del mediterraneo e dei paesi che si affacciano. Come se la Sicilia fosse un tabernacolo di una grande vastità di culture diverse che qui si amalgamano e diventano un'originalità culturale".
Ha alle spalle più di 40 anni di carriera teatrale, cos'è che le piace tanto dello stare in scena da non riuscire mai ad annoiarsi?
"Non ci si puo' annoiare. Recitare non è mai una replica, ma ogni sera è un'interpretazione nuova. Se le parole vengono dette a memoria, allora è una replica noiosa, ma quando un attore cerca le parole e le fa nascere ogni sera,pur essendo molto faticoso lavorare così, perché ci si stanca e si suda in teatro anche senza muoversi, se si fa questo esercizio di pensiero è riuscire ad interpretare al meglio il personaggio. Nel primo atto dell'Enrico IV faccio 15 minuti, ma esco distrutto e sudato, perché se fai nascere le parole da un pensiero, da una sofferenza di quel momento, non è recitare, ma è vivere il palcoscenico, essere. Si diventa tutt'uno con la scrittura, col pensiero dell'autore".
In questa osmosi tra attore e autore, che ruolo ha il pubblico?
"Il pubblico, in uno spettacolo come l'Enrico IV in cui Pirandello abbatte la quarta parete scendendo tra la platea, gli spettatori vengono portati sul palcoscenico, sono quasi dentro alla commedia. Vediamo che il pubblico partecipa con piccoli sorrisetti quando Pirandello fa dell'ironia, e sentiamo la commozione quando i personaggi in scena esprimono dolore ed emozionalità. Si abbatte la quarta parete, pubblico e attori sono tutti il palcoscenico".
Con i suoi ruoli ricoperti nel cinema e nella televisione è conosciuto dal grande pubblico soprattutto per le sue interpretazioni da antagonista.
"Sempre il cattivo, si. Al teatro, per fortuna, già a 29 anni ero attore protagonista quindi ho avuto una carriera esplosa molto presto in cui mi sono potuto sfogare scegliendo i ruoli e non accettando tutto ciò che mi veniva offerto. In televisione e cinema, invece, a seconda della fisiognomica ti viene affibbiato un ruolo e quello è per tutta la vita. Sono sempre cattivo, killer, mafioso, ma va bene così perché la televisione, quando avevo dai 35 ai 40 anni, mi ha dato molta popolarità con 'La Piovra', 'Don Matteo', film dei Vanzina, 'Bodyguards' con De Sica, Boldi e Cindy Crawford. Tutti lavori che non rinnego, ma di cui sono fiero perché mi hanno dato la possibilità di essere conosciuto al grande pubblico. La commedia italiana del cinema ha una grande tradizione".
Sicilia e Calabria sono divise dallo Stretto, ma non so se percepisce delle differenze con cui ci si rapporta al teatro. Non è la prima volta che viene in Calabria quindi avrà una percezione di come reagiscono qui gli spettatori.
"Il pubblico calabrese è fra i più calorosi d'Italia. Lamezia, Catanzaro, prima si andava anche molto a Reggio Calabria. Vibo Valentia, Castrovillari, sono stato un po' dappertutto in Calabria. Il pubblico è molto appassionato di teatro. Ho fatto l'Otello di Shakespeare, nel 2006 circa, che è nato proprio a Lamezia Terme dove vi ho vissuto per circa un mese. Recite più 21 giorni di prove, e siamo stati amatissimi dalla città".
Dopo le tappe calabresi come procederà col lavoro?
"Ci fermeremo per il periodo natalizio, io raggiungerò mia madre e mio fratello a Floridia, in provincia di Siracusa. Ci ritroveremo subito dopo il 6 gennaio per continuare con altre date fino ad Aprile. Siccome è nato questo bel matrimonio intellettuale fra me e Kokkos, abbiamo entrambi il desiderio di continuare questa progettualità quindi, probabilmente, ci incontreremo anche nel periodo natalizio, io per proporgli delle idee e lui per fare altrettanto".
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