di CARLO MIGNOLLI
C’è qualcosa di profondamente intimo e universale nelle parole di Maddalena Crippa, mentre racconta “Un sogno a Istanbul”, lo spettacolo organizzato da Ama Calabria che andrà in scena venerdì 6 dicembre al Teatro Comunale di Catanzaro alle ore 21. Tratto dal poema in endecasillabi “La Cotogna di Istanbul” di Paolo Rumiz, il progetto teatrale, con la regia di Alessio Pizzech e la produzione de La Contrada Teatro Stabile di Trieste insieme ad Arca Azzurra, è una ballata che intreccia amori, guerra e destini sospesi, unendo il fascino della letteratura alla potenza del palcoscenico.
Per Maddalena Crippa, interpretare “Un sogno a Istanbul” è un’esperienza che intreccia profondamente il teatro e la vita, portando in scena una storia di amore, guerra e rinascita tratta dal poema di Paolo Rumiz. “Il romanzo di Rumiz non è un semplice romanzo”, spiega l’attrice, “ma un poema scritto in endecasillabi, una struttura poetica che lo rende tanto affascinante quanto difficile da tradurre per il teatro. Tuttavia, grazie alla drammaturgia di Alberto Bassetti, l’adattamento riesce a concentrarsi sui protagonisti principali e sui personaggi che ruotano intorno a Masha, la donna al centro della vicenda”.
Masha, infatti, è accompagnata da tre figure maschili che segnano la sua vita: Vuk, il primo grande amore; Dusko, l’uomo che sposa per diventare madre; e Max, l’ingegnere austriaco con cui vive una passione intensa e matura. “L’autore stesso definisce la storia una ballata per tre uomini e una donna, sottolineando come siano la musica e Masha a tenere tutto insieme,” osserva Crippa.
Il racconto di Masha è un intreccio di amori, tragedie e scelte difficili: “Vuk, è l’uomo della sua vita, ma il loro destino si infrange poco prima delle nozze, quando lui uccide una donna con cui aveva avuto una relazione. Condannato a 15 anni di carcere, Vuk lascia Masha con una promessa: “Io ti aspetterò,” gli dice lei, “ma voglio dei figli. Voglio che l’albero dia frutto”. Così, pur mantenendo fede a quella promessa, sposa Dusko Todorovic, un professore di fisica, e da lui ha due figlie, Nadira e Amra”.
La guerra dei Balcani sconvolge tutto. Vuk viene rilasciato dopo dieci anni e decide di combattere. Masha, a quel punto, prende una decisione radicale: “Torna da lui, ma dice a Dusko di portare le bambine lontano, perché la guerra sarebbe durata a lungo,” racconta l’attrice. “Quando Vuk muore, colpito da una scheggia di granata, Masha si ritrova sola. Anni dopo, conosce Max, con cui vive un’attrazione fortissima che però resta sospesa fino a tre anni dopo, quando è lei a cercarlo. Nonostante la malattia che nel frattempo l’ha colpita, insieme trovano un modo per vivere un amore pieno e appassionato, anche nel dolore”.
“Questo spettacolo ha una dimensione catartica”, riflette Crippa. “Viviamo in una società che tende a nascondere la sofferenza, ma la verità è che tutti, prima o poi, ci scontriamo con fallimenti, malattie, morte. Il teatro ci offre un modo per vivere queste esperienze e trasformarle in qualcosa di significativo”. La storia di Masha non è solo un racconto d’amore, ma anche una riflessione sul dolore e sulla capacità umana di resistere, trovare forza e rinascere.
Crippa lega anche il contesto della guerra dei Balcani al valore della diversità culturale. Sarajevo, città dove musulmani e serbo-ortodossi convivevano pacificamente prima del conflitto, è per lei un simbolo della ricchezza della coesistenza: “Oggi viviamo circondati da una follia di sopraffazione e negazione. Ma dobbiamo recuperare la capacità di accogliere ogni sfumatura dell’umanità, come ci insegnano le diverse tradizioni religiose e culturali”.
Per l’attrice, il viaggio di Masha è anche il suo: “Il mio mestiere è essere in viaggio, sempre”, racconta. “Il teatro è un continuo processo di scoperta. Non metto mai il mio ego davanti al personaggio, ma mi considero uno strumento per far arrivare emozioni al pubblico”. Questo personaggio, in particolare, le ha offerto l’opportunità di esplorare una femminilità che non aveva mai vissuto pienamente: “Nella mia vita ho dato più spazio alla forza e alla grinta, ma Masha mi ha permesso di scoprire una dimensione fatta di morbidezza, grazia e umanità”.
E aggiunge commossa: “Un uomo che aveva perso la moglie per un cancro, dopo aver visto lo spettacolo, ci ha ringraziato. All’inizio voleva andarsene, ma è rimasto e ne è uscito sollevato. È questo il potere del teatro: trasformare il dolore in qualcosa di condivisibile, dicibile, sopportabile”.
Con “Un sogno a Istanbul”, Maddalena Crippa invita il pubblico a riflettere sull’amore e sul dolore, mostrando che anche nelle esperienze più difficili si può trovare una straordinaria ricchezza. “L’amore non è solo quello giovanile”, conclude. “Può essere altrettanto potente e straordinario nella maturità, persino di fronte alla malattia e alla morte”. Un insegnamento che, grazie alla forza del teatro, arriva dritto al cuore.
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