di CARLO MIGNOLLI
Un "thriller comico": così è stato definito lo spettacolo "Il Settimo si Riposò", opera di Samy Fayad adattata e diretta da Benedetto Casillo, che andrà in scena al Teatro Comunale di Catanzaro e all’Auditorium Angelo Frammartino di Caulonia, rispettivamente il 19 e il 20 aprile alle ore 21. L’evento rientra nella stagione teatrale di AMA Calabria.
La trama ruota attorno al bizzarro rapporto di antipatia tra due vicini di casa, interpretati da Benedetto Casillo e Gennaro Morrone, in un condominio della città partenopea. La storia segue le vicissitudini di Antonio Orefice, un impiegato anonimo interpretato da, la cui tranquilla domenica viene improvvisamente sconvolta dall'arrivo di un pericoloso bandito evaso. Tra smargiassate, gelosie e ripicche, il protagonista si trova a dover affrontare situazioni al limite del surreale, mentre cerca in ogni modo di rovinare le feste del suo odiato vicino. Tuttavia, quando il destino gioca un brutto scherzo e il bandito si rifugia proprio nella sua abitazione, la situazione diventa fuori controllo.
Il cast diretto da Casillo, con le scene curate da Massimiliano Malavolta e i costumi di Isa Di Lena, è composto da Patrizia Capuano, Gennaro Morrone, Luciano Piccolo, Enza Barra, Teresa Manila, Marco Lanzuise, Salvatore Chiantone, Ida Anastasio, Orentia Marano e Tonia Filomena. Proprio il protagonista Benedetto Casillo, ci ha raccontato la sua esperienza nella preparazione dello spettacolo, soffermandosi anche su aspetti più personali.
Sarà a Catanzaro e Caulonia, rispettivamente 19 e 20 aprile, per la messa in scena dello spettacolo “Il settimo si riposo`”. Com’è stato lavorare all’adattamento e la regia di questo interessante progetto di Samy Fayad, con un cast di assoluto livello?
«Ho cominciato tanti anni fa a portare in scena questo spettacolo e ogni tanto lo riprendo. Per quest’opera ho lavorato con un cast molto numeroso. Oggi si tende, per tante necessità, a preferire spettacoli molto più snelli e con meno attori. Il lavoro da noi svolto ha dunque richiesto un grande impegno lavorativo specialmente dal punto di vista della regia. Non è facile mettere insieme undici caratteri con diversi modi di espressione. C’è da dire che ormai sappiamo come lavorare perché gran parte del cast c’è dall’inizio, talvolta però ci sono degli innesti. È uno spettacolo della tradizione, di quando si rideva in modo più semplice e genuino, ma sicuramente senza volgarità».
Sono ormai tanti anni che interpreta il protagonista del “thriller comico”, come è stato definito, Antonio Orefice. Cosa si prova nel presentare al pubblico questa figura nuovamente? Negli anni ha cercato di modificare alcuni tratti o resta fedele alle prime interpretazioni del personaggio?
«I caratteri di certe interpretazioni teatrali restano più o meno gli stessi, perché bisogna sentirsi impressi nelle epoche e nell’atmosfera in cui viene proiettato lo spettacolo. Il protagonista Antonio Orefice ha tutte le caratteristiche, malinconie, invidie e gelosie che, purtroppo, si incontrano ancora oggi in questo mondo così cinico e privo di sensibilità. Posso dire quindi che rappresenta un uomo, sì del passato, ma con dei risvolti attuali. È bello scoprire che la gente si diverte guardando delle situazioni fanciullesche. Questo significa che, nonostante ci troviamo in un’epoca gelida, ogni tanto viene fuori il bambino che è dentro ognuno di noi».
Cosa pensa che il pubblico possa trarre dall'esperienza di assistere a questo spettacolo? Quali messaggi o tematiche ritiene siano particolarmente rilevanti o significative?
«Lo spettacolo è molto semplice e sobrio. Alla fine il personaggio, dopo aver passato tanti guai, dice: “Forse cerchiamo lontano quello che ogni giorno teniamo a portata di mano”. Penso sia un messaggio semplice, ma assolutamente profondo. È una verità che possiamo toccare tutti quanti, non ci accorgiamo che la nostra felicità potrebbe essere a portata di mano».
Non è la prima volta che si esibisce in Calabria. Torna volentieri nella nostra terra? Come risponde ai suoi spettacoli il pubblico calabrese?
«Sono stato tante volte in Calabria, a Catanzaro giusto due anni fa per la messa in scena di “Così parlò Bellavista” di Luciano De Crescenzo. Anche in questo caso porto uno spettacolo che ha degli squarci di napoletanità. Penso che noi del sud ci apparteniamo, come territori, sensibilità, umanità. C’è qualcosa che ci accomuna. Il napoletano, da un punto di vista teatrale, ha un linguaggio universale - pensiamo ad Eduardo De Filippo, rappresentato e tradotto in tutto il mondo - che viene quindi apprezzato da tutti. Dunque quando torno in Calabria è sempre bello perché sento che c’è un qualcosa che ci accomuna».
Quanto è importante avvicinare i giovani, a partire dalla scuola, al mondo del teatro?
«È importantissimo. Il teatro è una forma di cultura antichissima e portarla nelle scuole potrebbe essere interessante. Incontro spesso ragazzi delle scuole medie e di istituti superiori e noto che oggi c’è un incremento di scuole di teatro, questo cosa significa? Penso ci sia un equivoco: i genitori spesso intravedono nei loro figli la possibilità di una loro rivalsa. Questo è sbagliato. Il teatro richiede costanza, passione e, a mio avviso, è una necessità di vita. Questo aumento di scuole, non solo di teatro, per esempio anche di calcio, stanno deviando i ragazzi dai concetti fondamentali della cultura, impegno e dello stare sul palcoscenico. L’obiettivo non deve essere il successo, se arriva ben venga, ma è fondamentale coltivare la passione a livello personale».
Quali sono i suoi progetti futuri? Ci sono altri generi o tipi di ruoli che vorrebbe esplorare in futuro?
«Io alterno spesso vari generi: dal comico passo alla nuova drammaturgia, ma il teatro è sempre teatro. Ho cominciato con quello tradizionale per poi passare al cabaret degli anni ‘70: facevo parte del gruppo “I Sadici Piangenti” e abbiamo fatto la storia del genere. Mi sono poi dedicato completamente alla tradizione, con i grandi del teatro napoletano e negli ultimi 15 anni mi sono avvicinato alla nuova drammaturgia - da Beckett a Moscato, ultimo grande maestro del teatro napoletano. Ultimamente sto lavorando a un progetto tratto dal testo di Pirandello, “L’uomo dal fiore in bocca” e la seconda parte, tratta dal teatro napoletano, intitolata “Fiori di palco”. Sono testi ancora attuali, pensiamo a Viviani, che già cento anni fa parlava di morti sul lavoro. È incredibile come il teatro sappia essere precursore di avvenimenti».
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