Ama Calabria, tutto pronto per “Il Vedovo” di Dino Risi: l’intervista all’attore Massimo Ghini

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images Ama Calabria, tutto pronto per “Il Vedovo” di Dino Risi: l’intervista all’attore Massimo Ghini

  07 febbraio 2025 11:01

di CARLO MIGNOLLI

Un grande classico del cinema italiano torna a vivere sul palcoscenico. Il Vedovo”, capolavoro del regista milanese Dino Risi, si trasforma in una brillante commedia teatrale con protagonisti Massimo Ghini e Paola Tiziana Cruciani. Lo spettacolo, prodotto da “Il Parioli Teatro” e diretto da Ennio Coltorti, farà tappa al Teatro Comunale di Catanzaro il 7 febbraio e al Teatro Grandinetti di Lamezia Terme l’8 febbraio, entrambi gli appuntamenti alle ore 21:00 e targati Ama Calabria.

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Massimo Ghini e Paola Tiziana Cruciani raccolgono l’eredità di due giganti del cinema italiano, Alberto Sordi e Franca Valeri, reinterpretando i ruoli del commendatore Alberto Nardi e della sua scaltra moglie Elvira Almiraghi. La storia è quella di un industriale romano megalomane e sognatore, perennemente in crisi economica, e della sua ricchissima consorte, una donna d’affari milanese che lo tiene in pugno con ironia e intelligenza. Un rapporto fatto di tensioni, battute taglienti e una disperata ricerca di indipendenza finanziaria da parte del protagonista, il quale vede nella prematura scomparsa della moglie la possibile svolta per la sua vita.

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MASSIMO GHINI

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Uno degli attori più versatili e amati del cinema e del teatro italiano, con una carriera che spazia tra commedia, dramma e fiction televisiva, Ghini ha lavorato con alcuni dei più grandi registi italiani. Sul grande schermo è stato protagonista di svariati “cinepanettoni” di successo comeNatale a Rio” e “Natale a Miami” e tanti altri film. Ha recitato anche in pellicole di impegno sociale come Caos calmo e Una famiglia perfetta. In televisione, ha conquistato il pubblico con fiction di grande seguito: Rino Gaetano - Ma il cielo è sempre più blu”. La sua esperienza teatrale è altrettanto ricca, con ruoli importanti che hanno messo in luce il suo talento e la sua capacità di interpretare personaggi complessi e sfaccettati. In attesa dello spettacolo, Massimo Ghini ci racconta in una lunga intervista il suo rapporto con la Calabria, il confronto con il mito di Sordi, la sfida di portare in teatro un’opera tanto iconica e tanto altro.

L’INTERVISTA

“Il Vedovo” è un cult della commedia italiana. Come avete lavorato per portarlo dal grande schermo al teatro senza perdere il suo spirito originale?

«Non è la prima volta che mi capita un’esperienza di questo tipo. Ho già avuto modo di recitare in teatro storie o commedie che provenivano dal cinema. Per esempio, l’anno scorso ho recitato in “Quasi Amici” con Paolo Ruffini, e abbiamo già portato lo spettacolo in scena per due stagioni. Ancora prima avevo fatto “Vacanze Romane”, il film con Gregory Peck e Audrey Hepburn, quindi so bene cosa significhi la traduzione di una materia cinematografica in quella teatrale. Anche in questo caso, bisogna fare molta attenzione nel realizzare il progetto, perché il film ha una sua storia, un suo racconto, e in teatro non va tradito. Sembra una cosa banale da dire, ma è fondamentale. In un Paese come il nostro, pieno di artisti che vogliono sempre creare qualcosa di diverso per distinguersi, io dico: meglio scrivere qualcosa di nuovo, una commedia originale, piuttosto che prendere una storia già esistente e stravolgerla. Se si decide di adattare un film al teatro, bisogna rispettare il racconto originale. Io sono un attore di cinema, conosco i meccanismi cinematografici, ma al cinema ti puoi permettere cose che a teatro non funzionano. Il problema è mantenere vivo il filo del racconto dall’inizio alla fine, quello che si chiama il plot della storia, e tradurlo in una grammatica teatrale che non lo tradisca. Certo, non puoi avere le grandi inquadrature delle praterie del Far West o i cavalli che corrono, ma ci sono testi più intimi, legati ai personaggi e ai loro meccanismi, che si possono adattare molto bene al teatro”.

Dicevi di averlo giá sperimentato in passato?

«Si, quando abbiamo fatto “Vacanze Romane”, abbiamo girato due anni di tournée. Io, nonostante dovessi girare dei film, ho fatto sacrifici enormi per continuare, perché i teatri erano sempre pieni. Con “Quasi Amici” abbiamo fatto 145 repliche sold-out, una cosa pazzesca. Questo spettacolo, invece, è appena iniziato, ma abbiamo già fatto due serate di tutto esaurito al Teatro Rendano di Cosenza, uno dei teatri più belli che io abbia mai visto”.

A proposito del Teatro Rendano di Cosenza, ti è rimasto particolarmente impresso?

«Assolutamente sì! Ho un legame particolare con quel teatro perché ci ho lavorato anche da ragazzo, agli inizi della mia carriera. La prima volta che ci arrivai, non me lo aspettavo. Dirò una cosa stupida, ma non pensavo che a Cosenza avrei trovato un teatro così bello. È sempre per quella mentalità che esiste in Italia, per cui sembra che da un certo punto in poi ci sia civiltà, e dall’altra parte no. Io poi ho origini cosentine da parte di madre, quindi immaginate la mia sorpresa. L’ho detto anche al sindaco e a tutti quelli che ho incontrato in questi giorni: non è che devo ruffianarmi nessuno, ma voi dovete rendervi conto che avete un gioiello. Il “Rendano” non è solo un teatro, è un gioiello vero e proprio.

Molto spesso, però, i calabresi non si rendono conto delle ricchezze che hanno.

«Non solo i calabresi. Gli italiani in generale non si rendono conto di tante cose. La Calabria, poi, è spesso al centro di osservazioni che non riguardano il punto di vista culturale, e invece ha un patrimonio straordinario. Pensiamo banalmente ai Bronzi di Riace. Ci sono tante cose di valore in questa regione, ma purtroppo la politica non è stata molto attenta nel valorizzarle. Le coste calabresi sono meravigliose, il mare della Calabria è splendido, eppure questa regione non riceve ciò che meriterebbe. Questo mi fa arrabbiare, perché ci vorrebbe più attenzione e una maggiore partecipazione da parte di tutti. Noi, con il nostro spettacolo, siamo stati qui per giorni, abbiamo fatto le prove direttamente al Teatro Rendano, ed è stato meraviglioso. E poi, debuttare con due serate di tutto esaurito è stata una soddisfazione incredibile».

Credi che il pubblico del Sud abbia un modo diverso di vivere la commedia rispetto al Nord o al Centro Italia?

«Sicuramente sì. Il pubblico del Sud è diverso. Quando fai spettacoli al Nord, il pubblico è meno espansivo, forse perché vive in una situazione più rigida e fredda, anche dal punto di vista climatico. Io questo l’ho sperimentato sia al cinema che a teatro. Al Sud, invece, la gente ride di più, partecipa di più, forse perché scarica i nervi. Ma attenzione, non parlo solo della Calabria, parlo di tutto il Sud. Prenda Napoli, per esempio: io amo Napoli, è una città meravigliosa, ma lì, se non gli dai una comicità immediata, fatta di battute a raffica, il pubblico non reagisce».

Non credi che questo sia un po’ un pregiudizio culturale?

«Non è un pregiudizio, è una constatazione. Per anni si è voluto dividere l’Italia in due, dando maggiore attenzione alla comicità dialettale, che è di grande valore, ma non è l’unica espressione artistica che esiste. In realtà, il pubblico del Sud è preparato, conosce il teatro e il cinema. Pensiamo al teatro antico greco o alla Magna Grecia. Qui c’è la culla della civiltà! Mi dispiace solo che a volte la storia venga dimenticata e che i discendenti dei Longobardi siano considerati più di quelli della Grecia».

Tornando allo spettacolo, il film Il Vedovo racconta una storia che oggi potrebbe essere vista sotto un’altra luce

«Esatto. “Il Vedovo”, uscito nel 1959, è stato scritto da alcuni dei più importanti sceneggiatori italiani e diretto da Dino Risi. Se ci pensiamo, è un proto-femminicidio. La storia racconta di un uomo che cerca di uccidere la moglie per prenderne i soldi, organizzando un piano con altri tre idioti. La vuole far cadere nella tromba dell’ascensore. E come lo chiamiamo, se non un femminicidio? Alla fine, però, è lui a morire, ribaltando la situazione. Il film mostrava una dinamica di potere e dipendenza economica molto attuale, anche se all’epoca non si parlava in questi termini».

Nello spettacolo interpreti un personaggio che fu di Alberto Sordi, una vera icona del cinema italiano. Quanto è stato difficile misurarsi con un'interpretazione del genere e che ricordi hai dell’attore romano?

«Io ho avuto un rapporto particolare con Alberto Sordi. Nel 1999 ho girato una pubblicità per Illy Caffè ispirata a “Lo Sceicco Bianco”, diretta da Francis Ford Coppola. Lui aveva sentito parlare di me quando, anni prima, i critici avevano definito la mia interpretazione ne “La bella vita” di Paolo Virzì come “sordiana” e voleva conoscermi. Sul set ho avuto l’occasione di incontrarlo e scambiare qualche parola con lui. Non ho mai voluto imitarlo. Nello spettacolo io faccio appunto un’interpretazione “sordiana”, non un’imitazione, sarebbe stato sbagliato. L’unico momento in cui cito direttamente Sordi è quando dico la famosa battuta: “La mia Elvira non c’è più…” e poi nel finale con “Marchese, che fa? Spinge?”. Queste sono iconiche, impossibili da dire in altro modo. Ma per il resto, ho cercato di dare una mia interpretazione, più che un’imitazione».

Quindi il tuo è un omaggio più che un’imitazione.

«Esatto, è un omaggio. La battuta “La mia Elvira non c’è più” è entrata nel linguaggio comune. La dicevano tutti, cambiando il nome con quello della propria moglie per scherzo. Sarebbe stato assurdo non riproporla in quel modo».

Parlando del cast, com’è stato lavorare con Paola Tiziana Cruciani?

«Paola è una professionista incredibile, un’attrice straordinaria, oltre ad essere un’amica storica. Ha lavorato a tanti progetti di successo, tra gli ultimi “C'è ancora domani” di Paola Cortellesi. Abbiamo lavorato insieme in tanti film e ormai non è solo un rapporto professionale, è quasi una parentela. Sul palco c’è un’intesa totale, sappiamo sempre come aiutarci e migliorare le scene. È un piacere condividere la scena con lei, perché ha una preparazione e un’intelligenza scenica uniche».

C’è stato qualche aneddoto particolare dietro le quinte?

«Più che aneddoti, posso dirti che con Paola il lavoro è sempre una gioia. Ci capiamo al volo, possiamo correggerci a vicenda senza problemi e ridiamo tanto, anche fuori scena. Lei ha un talento unico nel far ridere il pubblico ogni volta che apre bocca, e questa è una qualità rara. Anche mio figlio Leonardo, che recita con me in questo spettacolo, ha ereditato quella capacità di far sorridere il pubblico con naturalezza. È un giovane talento e sono molto felice che faccia parte di questo progetto».

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