AMA Calabria, Maurizio Casagrande in scena con “Il viaggio del papà”: l’intervista

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Maurizio Casagrande
  02 aprile 2025 12:13

di CARLO MIGNOLLI

Maurizio Casagrande torna sul palco con Il viaggio del papà”, commedia scritta insieme a Francesco Velonà, che andrà in scena giovedì 3 aprile al Teatro Comunale di Catanzaro e venerdì 4 aprile al Teatro Grandinetti di Lamezia Terme. Lo spettacolo segna il gran finale della stagione teatrale di AMA Calabria e offrirà al pubblico un racconto intenso e originale sul rapporto tra un padre e un figlio divisi da differenze insanabili.

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Attraverso un viaggio inaspettato e surreale, i due protagonisti saranno costretti a confrontarsi e a riscoprirsi in un’avventura che mescola realtà e fantasia. Durante il loro viaggio accadrà un evento straordinario che li porterà a cambiare la loro visione del mondo. Come novelli Robinson Crusoe si ritroveranno naufraghi su di un’isola sconosciuta, costretti a cooperare e aiutarsi a vicenda per sopravvivere. Scopriranno che quell’isola non è come tutte le altre. È fatta di plastica e tutto quello che troveranno in quel luogo non è quello che sembra. Questo li porterà ad un incontro con un essere sovrannaturale che, attraverso il linguaggio universale della musica, chiederà il loro aiuto per non morire.

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In attesa di vederlo sul palco, Maurizio Casagrande ha raccontato ai nostri microfoni la genesi dello spettacolo, quello che ha voluto comunicare e il suo rapporto speciale con il teatro.

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L’INTERVISTA

Sarai in scena a Catanzaro e Lamezia con Il viaggio del papà. Ti chiedo innanzitutto cosa ti ha ispirato a scrivere questa storia. Naturalmente il conflitto intergenerazionale è un tema universale, ma cosa ti ha spinto in particolare a raccontarlo in questo modo?

«Alla base c’è qualcosa che appartiene al mio modo di stare in scena, un aspetto che si affina e si approfondisce nel tempo. Mi piace utilizzare la comicità, il divertimento e la spensieratezza per far arrivare dei pensieri. Non dico messaggi, ma pensieri più sentiti, più vicini a me. Nel tempo ho costruito un teatro che mi rappresenta in questo senso. Mi affascinava l’idea del contrasto tra giovani e vecchi che non si capiscono più. È sempre stato così, ma oggi c’è una differenza in più: i giovani non sono più disposti ad ascoltare gli adulti. Questo tipo di rapporto mi divertiva. Nella commedia ci sono un padre e un figlio. Il padre è un uomo di grande successo, ma anche arido e opportunista. Per ottenere ciò che vuole, è disposto a tutto. Il figlio, invece, è un sognatore, pieno di ideali ma poco concreto, quindi inconcludente. Questi due mondi opposti si scontrano: nessuno dei due piace all’altro, anche se il figlio vorrebbe piacere al padre, pur sapendo di non riuscirci. Tutto questo, in realtà, è un pretesto per raccontare il contrasto tra il vecchio e il nuovo del mondo: da un lato c’è la parte giovane, che ha un futuro, e dall’altro la parte vecchia, che ha un passato. Devono imparare a convivere tra di loro e con il pianeta. Lo spettacolo ha una vena ecologica molto forte: possiamo discutere, amarci, cercare di capirci, ma se non conserviamo il posto in cui viviamo, tutto il resto diventa inutile».

A proposito di questo, il tuo spettacolo è anche un’occasione per affrontare il tema ambientale. Sei particolarmente legato a questa tematica?

«Sì, profondamente. Anzi, a tratti sono angosciato. Trovo che oggi abbiamo un governo in Italia - e in questo momento anche negli Stati Uniti - che considera il problema ambientale marginale. Trump, per esempio, è arrivato a dire che il problema non esiste e che bisogna tornare a usare il carbone. Siamo alla follia totale. Il problema è che certe persone, pur essendo capaci di cose grandiose, non hanno la fantasia di proiettare le proprie azioni nel futuro. Sono troppo egoisti per farlo. E questa è una delle ragioni per cui l’uomo è tra le creature più devastanti per l’ambiente, da sempre».

Un altro tema centrale dello spettacolo è il viaggio, che nella letteratura e nel teatro è spesso una metafora di crescita e cambiamento. Come mai hai scelto proprio questo espediente narrativo per raccontare il rapporto tra padre e figlio?

«Non ci può essere crescita e cambiamento senza viaggio. Il viaggio presuppone uno spostamento: chi è fermo, chi è troppo radicato, non cresce. Io credo che le radici siano fondamentali, ma devono essere la base da cui partire, non l’ancora che ti tiene fermo. Il titolo Il viaggio del papà non è casuale. È la mia parafrasi di Il viaggio dell’eroe, il celebre libro di Christopher Vogler. Lui spiega che tutte le storie umane si possono ricondurre a un unico schema: un uomo parte dalla sua tribù per una ricerca, affronta ostacoli, incontra mentori e, dopo un percorso di crescita, ritorna con una nuova conoscenza. Se restiamo fermi, non succede nulla. Se ci muoviamo, invece, possiamo vivere qualcosa di straordinario. E a volte il cambiamento nasce anche da eventi negativi: nel mio spettacolo, per esempio, c’è un naufragio. Non è un evento positivo in sé, ma porta con sé una trasformazione».

Senza fare troppi spoiler, qual è stata la sfida più grande nel mettere in scena questa storia? C’è una scena particolarmente impegnativa dal punto di vista emotivo o visivo?

«Lo spettacolo ha diverse sfaccettature. La parte più difficile è stata far funzionare il lato comico, che è predominante. Ci tengo a dirlo: i miei spettacoli sono prima di tutto divertenti. Mi piace che ci sia anche un pensiero dietro, ma il divertimento è la mia priorità assoluta. Divertire significa far ridere, certo, ma anche divertere, ovvero allontanare dalla quotidianità, rompere la routine. Per questo nello spettacolo ho inserito dei video che ho realizzato io stesso, per creare l’atmosfera giusta. Un altro elemento chiave è la protagonista femminile, un personaggio sovrannaturale. Non voglio svelare troppo, ma è interpretata da un’attrice che è anche cantautrice. Ha fatto un lavoro straordinario sulle musiche dello spettacolo».

Quindi anche la musica avrà un ruolo fondamentale?

«La musica per me è importante: spesso la uso come sintesi emotiva. Ci sono cose che a parole richiederebbero venti minuti di spiegazione, mentre con una canzone ben scritta si possono raccontare in tre minuti. In particolare, il brano finale dello spettacolo riesce a racchiudere perfettamente tutto il senso della storia».

Hai una lunga carriera tra teatro, cinema e televisione. In che modo il teatro continua ad affascinarti? E sei d’accordo con chi sostiene che dovrebbe essere insegnato nelle scuole?

«Assolutamente sì. Non solo lo penso, ma lo sto già facendo. Sono il direttore artistico di una scuola a Napoli, l’Istituto Pontano, e sto lavorando affinché il teatro diventi parte integrante del percorso formativo, sin dalle elementari. Il teatro ti insegna a vedere le cose da diversi punti di vista. Senza questa capacità, si diventa unilaterali, incapaci di comprendere gli altri. Recitare significa dare voce a parole scritte da qualcun altro, e per farlo devi capirne il pensiero. È un esercizio che apre la mente»

Per concludere, non è la prima volta che porti i tuoi spettacoli in Calabria. Cosa speri di trovare questa volta?

«Spero di trovare lo stesso calore che ho già ricevuto in passato. Ma soprattutto, mi auguro che questo spettacolo venga apprezzato non solo per il divertimento, ma anche per la profondità del suo messaggio. Dopo lo spettacolo, spesso il pubblico viene da me e mi dice: “Non mi aspettavo che un messaggio così importante potesse arrivare in maniera così semplice”. Ecco, spero che accada anche in Calabria. Anzi, ne sono quasi sicuro. Spero solo di non rimanere deluso».

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