Relazione dell’avvocato Valerio Murgano, presidente della Camera Penale “A. Cantàfora” di Catanzaro, all'inaugurazione dell'anno giudiziario 2022.
“Tutelare la libertà del difensore per garantire l’indipendenza del Giudice”
La Camera Penale di Catanzaro “A. Cantàfora” porge vivo e sentito ringraziamento a Sua Eccellenza, il Presidente della Corte d’Appello di Catanzaro, Dottor Domenico Introcaso, per l’invito rivoltole a partecipare all’inaugurazione dell’anno giudiziario del nostro Distretto di Corte d’Appello.
Al Presidente Introcaso e al Presidente del Tribunale di Catanzaro, Dott. Rodolfo Palermo, va tutta la nostra gratitudine per avere, unitamente alla magistratura tutta, all’avvocatura, ai dirigenti amministrativi e al personale di cancelleria, impiegato al meglio le risorse umane e organizzative, garantendo il regolare svolgimento delle attività giudiziarie nonostante il grave stato pandemico che continua a imperversare nel nostro Paese.
Ciò posto, l’analisi sullo stato della giurisdizione nel Distretto di Catanzaro non può non prendere le mosse dalla constatazione che gli auspici e le speranze che avevamo riposto lo scorso anno siano stati vani.
Cosa sta avvenendo
Sarebbe semplice catalogare le ragioni di un disastro annunciato; basterebbe ricordare come, ancora una volta, siamo in cima alla classifica degli indennizzi per l’ingiusta detenzione; il dato certifica come nel nostro Distretto, più che altrove, la privazione della libertà sia il frutto di valutazioni approssimative e del mancato impiego della carcerazione preventiva come extrema ratio. Ma a noi preme ricordare come dietro le fredde statistiche ci siano individui, famiglie, comunità, le cui vite vengono falcidiate da chi è istituzionalmente deputato a tutelarle e a proteggerle.
Le cause di questo meccanismo patologico di regolazione della fase cautelare sono state più volte denunciate dai penalisti italiani; ciò che davvero non riusciamo a comprendere sono le ragioni della recrudescenza del fenomeno, alla quale non sembra si riesca a porre rimedio, dal momento che, gli effetti tossici prodotti dagli accenti autoritari, inarrestabili in detta fase, rivelano un sovvertimento ideologico e culturale che ribalta il principio di presunzione di innocenza, tradendo la nuova concezione illiberale del rapporto tra autorità e libertà, nella quale l’in dubio pro reo è convertito nell’in dubio pro republica.
Lo scorso anno, nel documento depositato in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario del Distretto, avevamo evidenziato la grave sproporzione esistente tra i componenti l’Ufficio di Procura (ben 27 tra Sostituti, Procuratore aggiunto e Procuratore Capo) e quello sott’organico dell’Ufficio GIP-GUP (appena 11), con inevitabili riflessi che la quantità della domanda produce sulla qualità della risposta.
Il dato, a nostro avviso, rappresenta(va) un elemento ulteriormente rivelatore dell’erosione della garanzia di effettiva autonomia e possibilità di valutazione da parte della magistratura giudicante rispetto alle richieste e all’operato degli inquirenti.
Nel corso della cerimonia avevamo avuto modo di apprendere dalla relazione del rappresentante del CSM, il Dott. Stefano Cavanna, che la criticità era stata avvertita anche dall’organo di autogoverno della magistratura e, per questa ragione, prospettava l’imminente potenziamento dell’ufficio GIP-GUP, implementando il numero di magistrati.
Purtroppo, però, il proposito è stato disatteso e lo sbilanciamento denunciato è rimasto inalterato, con ricadute facilmente intuibili sulla qualità dei provvedimenti cautelari e, in genere, sulle “finestre” giurisdizionali in una fase procedimentale delicatissima qual è quella delle indagini preliminari.
Non a caso, nel corso dell’ultima audizione alla Commissione Parlamentare Antimafia il Presidente del Tribunale, Dott. Rodolfo Palermo, ha evidenziato che a fronte di una Procura Distrettuale “molto attiva”, la carenza di circa 12 unità all’ufficio GIP-GUP determina sproporzione e la costante violazione delle circolari del CSM in materia di formazione delle tabelle; il Presidente ha evidenziato, inoltre, che a fonte degli 80 Procuratori del Distretto, il Tribunale del riesame (istituzionalmente deputato a vagliare la legittimità dei provvedimenti cautelari) è costituito da appena 8 giudici compreso il presidente di sezione.
Siamo al cospetto di un disequilibrio interno alla giurisdizione che ha assunto connotazioni sistemiche, cui si aggiungono (come se non bastasse) tutte le aporie applicative generate da una sterilizzazione del diritto di difesa (nei fatti è così) che, chi opera nella prassi, registra nella quotidianità.
Al male supremo del crimine organizzato e delle forme più pervasive di criminalità, fa da contraltare una giurisdizione che, nel combattere la guerra, troppo spesso miete vittime tra i civili, dimostrando, ancora una volta se ve ne fosse bisogno, l’irrinunciabilità degli argini assicurati dallo statuto (minimo) delle garanzie costituzionali.
Uso ipertrofico delle misure cautelari - acuito dallo strumento della carcerazione fuori regione anche quando il destinatario è un soggetto incensurato in attesa del primo grado di giudizio - delegittimazione mediatica e sociale del soggetto indagato (sorda anche alle severe censure europee), distorsione e parcellizzazione dei risultati captativi, mancata ostensione all’indagato/imputato dei risultati integrali delle intercettazioni, previa selezione unilateralmente da parte degli inquirenti di quelle utili alle indagini (rectius: all’accusa), contrazione del diritto di difesa, assimilazione del ruolo del difensore alle ragioni del proprio assistito, costo sproporzionato del diritto di copia degli atti del processo: in sintesi, la contraddizione in termini del giusto processo e dei principi regolatori del diritto penale liberale.
Come penalisti, giuristi e operatori del diritto, non avvertiamo il bisogno di difenderci dalle accuse becere di chi ci vorrebbe miopi rispetto alle esigenze di sicurezza sociale o, peggio, al soldo di interessi particolari, essendo troppo evidente che la funzione che ci è assegnata dalla Costituzione (garantire l’effettività del diritto di difesa del cittadino e l’equilibrio del sistema giustizia) ci affranca da una simile infamia.
L’abbiamo detto più volte, le responsabilità dei singoli, a prescindere dal ruolo rivestito, avvocato, magistrato, consulente, non potranno mai screditare un’intera categoria.
Difendere il diritto, la legge, la Costituzione, la libertà è la nostra missione e rispetto a questo non ci fermeremo mai, senza paura, anche quando, ed è questo il caso, il rischio di essere avversati è più che concreto.
Consegnare una società migliore ai cittadini è obiettivo comune a tutti gli attori della giurisdizione. In tale direzione, però, non possiamo ammettere flessioni sui diritti fondamentali di libertà. Per conseguire ogni risultato di giustizia, anche quello più arduo e condiviso della lotta alle mafie, è necessario che ciascuno operi nel proprio ruolo, non solo con lealtà, ma anche nel pieno rispetto della legge e della cornice di valori disegnati dai nostri padri costituenti.
Quanto sta avvenendo nel Distretto è sotto gli occhi di tutti, ma il timore di esporsi per rappresentare l’esondazione dal corredo assiologico di matrice liberale induce i più ad accettare supinamente lo status quo.
Gli accadimenti
La Camera Penale di Catanzaro da sempre contribuisce con lealtà e spirito di collaborazione all’organizzazione e all’esercizio dell’attività giudiziaria, con la consapevolezza che il contributo dell’avvocatura sia determinante per le sorti della stessa.
Continueremo a farlo, astraendoci da prese di posizione faziose, coscienti che prima e più in alto delle sorti processuali dei nostri assistiti ci sia la Legge. Quando, però, fatti e circostanze particolari destano allarme e sbigottimento, è nostro compito denunciarli, anche in occasioni come questa.
Analizziamo alcuni fatti esemplificativi, nella loro oggettività: in questo Distretto il Tribunale del Riesame è stato decapitato del suo Presidente, il Dott. Giuseppe Valea, il quale, dopo quarant’anni di onorata e prestigiosa carriera, si sarebbe reso responsabile di aver monopolizzato le camere di consiglio per motivi non meglio esplicitati nella contestazione provvisoria; l’avvocato Giancarlo Pittelli, tra i più noti e stimati penalisti della città, imputato in un maxi processo unitamente a 380 persone, dopo oltre quarant’anni di successi professionali e incarichi parlamentari, alle soglie dei settanta anni, in una logica manichea, è diventato il simbolo della lotta al male, al punto tale da doverlo spedire, prima, in Sardegna nel carcere più duro d’Italia e sottoporlo, poi, ad un drammatico Valzer di provvedimenti cautelari, ancora fuori regione, l’ultimo dei quali originato dal grido di disperazione contenuto nella missiva indirizzata ad un Ministro della Repubblica.
Certo, all’esito dei rispettivi giudizi (loro come tantissimi altri incolpati), saranno dichiarati o meno estranei alle contestazioni; ma intanto, ci stiamo interrogando, tutti e per davvero, cosa sarà stato se dovessero emergere (ancora una volta) errori di valutazione?
E’ allora evidente che qui, più che altrove, è in gioco la sopravvivenza stessa della Democrazia.
Cosa auspicare
Noi desideriamo una magistratura requirente che, al pari di quella catanzarese, sia forte, organizzata, dotata di uomini e mezzi, capace di combattere e sconfiggere la multinazionale del crimine denominata ndrangheta e tutte le manifestazioni di illegalità particolarmente diffuse sul nostro territorio. Auspichiamo che questa operi nel rispetto dei principi costituzionali, che rifugga dall’idea che il raggiungimento dell’obiettivo possa tollerare il rischio di generare vittime innocenti, e che desideri contribuire, in modo equivalente con gli altri attori della giurisdizione ad un modello di società in cui l’equilibrio dei diritti e dei doveri sia uguale per tutti. L’assenza di questo equilibrio determina la mancanza di fiducia nei confronti della giurisdizione e delegittima il rispetto dell’autorità statale.
Segnalare le quotidiane distorsioni delle prassi applicative del diritto del nostro Distretto di Corte D’Appello ci costa molto, ma siamo persuasi che uno “Stato di Diritto” può definirsi tale solo ove riconosca e garantisca ai suoi cittadini i diritti fondamentali di libertà e uguaglianza, i quali non possono vivere in assenza di un diritto di difesa effettivo e del principio basilare di civiltà giuridica che considera il soggetto incolpato come un presunto innocente fino alla definitività del giudizio.
Cosa fare e come farlo
Se a tutti noi stanno a cuore le sorti della Giustizia, la qualità della democrazia e la libertà dei cittadini, bisogna avere il coraggio di ricercare le cause vere di questa crisi e affrontarne gli effetti perversi attraverso un rapporto dialogico leale e costruttivo tra tutti gli attori della giurisdizione!
L’avvocatura penalista è ontologicamente portatrice dei valori di libertà e tutela dei diritti e delle garanzie dei cittadini e, per questo motivo, continuerà a farsene carico avendo come obiettivo la tutela del proprio assistito (incolpato o vittima che sia) nel rispetto delle regole e del proprio ruolo.
Nondimeno, compete alla Pubblica Accusa indagare e perseguire ogni forma di crimine che lede pervicacemente il sereno svolgimento della vita economica e sociale del Paese, preservando sempre la dignità degli individui incolpati, garantendo le istanze di giustizia che provengono dalle vittime; ciò deve necessariamente avvenire, soprattutto nella nostra amata e vituperata terra, attraverso percorsi investigativi virtuosi, tesi sempre a ricercare la verità senza pregiudizi, nel rispetto della presunzione di innocenza. La magistratura Giudicante deve riappropriarsi del proprio ruolo e della propria autonomia, senza turbamento, attraverso il recupero (anche culturale) dei valori che ispirano il diritto penale liberale e il quadro assiologico del giusto processo scolpito dalla nostra Costituzione.
Il rifiuto degli interessi particolari
La verità la dobbiamo ai cittadini, senza infingimenti e indulgenze verso nessuno. E’ nota a tutti gli operatori del settore penale che all’assenza di politiche economiche, sociali e culturali, come forme alternative di lotta alla mafia, fa da eco la dirompente, e a volte indiscriminata, applicazione di misure interdittive antimafia che paralizzano realtà imprenditoriali sane - vittime due volte dei soprusi della criminalità e della prepotenza di uno Stato draconiano incapace di distinguere le vittime dai carnefici – determinando l’aggravamento dell’endemica crisi economica della nostra Regione. Nel contempo, si assiste disarmati al profitto sproporzionato dei professionisti dell’antimafia: amministratori, custodi e controllori giudiziari che il più delle volte portano a dissesto quelle stesse attività economiche che vengono loro assegnate, ricevendo come premio compensi da capogiro. All’esito del giro di giostra, le aziende falliscono, i dipendenti perdono lavoro e stipendio, interi settori economici ne subiscono le conseguenze e, così, si consuma un’eterogenesi dei fini, dal momento che mafie e usurai costruiscono nuovi profitti sulle macerie abbandonate dallo Stato. Il tutto senza che il più delle volte l’imprenditore colpito sia stato sottoposto a un procedimento penale.
Ed allora, siamo sempre più convinti che i principi costitutivi del nostro patto sociale siano (soprattutto) nel nostro Distretto violati, come puntualmente la nostra quotidiana esperienza professionale ci conferma ogni qual volta il cittadino vive sulla propria pelle i contraccolpi di una giustizia troppo e troppo spesso punitiva.
Mi congedo da voi con l’auspicio che l’apertura dell’anno giudiziario segni l’avvio di un nuovo corso e, in tale direzione, credo che per tutti noi possano costituire un faro le riflessioni che l’Avv. Armando Veneto ha consegnato ad Enzo Biagi in una famosa intervista passata alla storia: “realizzare attraverso l’amministrazione della Giustizia il principio dell’autorevolezza dello Stato, della non violenza, del rispetto di tutti e condannare solo quando si siano raggiunte veramente le prove; è l’unico sistema affinché lo Stato insegni ai suoi amministrati che non è la violenza e la prepotenza che conta nel fare la storia di un uomo e della collettività, ma la non violenza e il rispetto del singolo”.
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