"La sproporzione e l’utilizzo eccessivo dei provvedimenti cautelari (non solo in ambito processuale penale). L’erosione delle garanzie difensive poste a presidio del diritto penale liberale e del giusto processo; l’assenza (soprattutto in Calabria) di politiche sociali e culturali come forme alternative di lotta alla mafia e di recupero degli individui detenuti al termine del percorso carcerario".
Sono gli argomenti principali con i quali ieri la Camera Penale di Catanzaro ha interloquito con la Commissione parlamentare antimafia venuta a Vibo Valentia (LEGGI QUI).
A rappresentare quelle che sono le criticità calabresi sono il presidente della Camera Penale, Valerio Murgano, e il vicepresidente, Dario Gareri.
Prima di relazionare, i due penalisti hanno consegnato alla Commissione Il Manifesto del diritto penale liberale e del giusto processo.
Partendo dal primo punto, l’avvocato Murgano ha evidenziato come “da anni la Corte d’Appello di Catanzaro e, a seguire, quella di Reggio Calabria, detengono il record (nell’ordine di prima e seconda) di risarcimenti effettuati per riparazione derivante da ingiusta detenzione. Il tema centrale, però, è l’abuso e l’utilizzo massiccio delle misure cautelari, troppo spesso dispensate per finalità repressive non di singoli comportamenti antigiuridici, ma come strumento di lotta di un fenomeno sociale. Misure cautelari gravemente afflittive della libertà personale ed economica di individui, i quali subiscono contestualmente l’onta derivante da una campagna di disinformazione giudiziaria che, in spregio alla presunzione di non colpevolezza, sovrappone la figura dell’indagato a quella del condannato; una gogna mediatica che nessuna sentenza di assoluzione potrà mai neutralizzare. Quando tutto questo accade, lo Stato perde due volte; massacra il cittadino e fomenta logiche e culture antistatali”. Visione che non cambia nemmeno “nel campo delle misure cautelari reali, delle misure di prevenzione patrimoniale e delle interdittive antimafia, purtroppo, l’analisi non muta.
Un cittadino incolpevole, mutilato della propria libertà, dei propri beni e dei propri affetti, diviene vittima esso stesso di una forza illegittima che lo trasforma in un suddito oppresso”.
Per quanto riguarda l’erosione delle garanzie difensive poste a presidio del diritto penale liberale e del giusto processo, il presidente della Camera Penale sottolinea che “avvertiamo come avvocatura sempre più forte il pericolo, nell’esercizio della funzione difensiva, che la libertà e l’autonomia dell’esercizio della professione vengano definitivamente compresse (e compromesse). Occorre scongiurare il pericolo che chiunque rifiuti la visione populista del processo come strumento di lotta sociale e si batta, invece, per l’affermazione del giusto processo scolpito nella Costituzione- deputato all’accertamento della penale responsabilità del singolo, nel contraddittorio tra le parti, davanti a un giudice effettivamente terzo e imparziale - non sia avvertito come un soggetto estraneo al corpo sociale, bensì come il garante della tenuta democratica e liberale del nostro sistema giudiziario”.
Alla Commissione parlamentare gli avvocati penalisti hanno fissato alcuni paletti: “L’eccezionalità della misure coercitive rispetto alla inviolabilità della libertà personale, il diritto di difesa, la legalità sostanziale e processuale nelle sue vari declinazioni, la presunzione di non colpevolezza, la personalità della responsabilità penale, la finalità rieducativa delle pene e la ragionevole durata del processo, costituiscono per l’avvocatura valori inderogabili, rispetto ai quali la stessa è chiamata funzionalmente ad assicurarne l’effettivo rispetto e, al contempo, ad assumere il ruolo di “sentinella” ogni qual volta ne riscontri la messa in pericolo”.
Ultimo tema trattato è l’assenza (soprattutto in Calabria) di politiche sociali e culturali come forme alternative di lotta alla mafia e di recupero degli individui detenuti al termine del percorso carcerario: “Ed allora, è importante ribadire che le operazioni antimafia, da sole, non sconfiggono la mafia - sono certamente necessarie e indispensabili per dare un segnale - ma bisogna creare le condizioni affinché i giovani non si avvicinino alla criminalità e, soprattutto, affinché possano avere un’alternativa di vita lecita. Politica e amministrazione dello Stato devono creare quelle condizioni, partendo dalle famiglie e dalle scuole (rafforzando la formazione e l’educazione al senso civico e alla legalità), soprattutto nei territori in cui storicamente le mafie hanno per troppo tempo scandito l’evolversi della vita sociale ed economica. Investire, ancora, su forme di recupero e di sostegno al lavoro dei soggetti fuoriusciti dal sistema carcerario, incoraggiando e irrobustendo il sistema delle misure alternative (statisticamente in grado di abbattere significativamente i tassi di recidiva)- ha concluso Valerio Murgano- avere il coraggio di “scommettere” su forme alternative di espiazione della pena, attingendo all’esperienza feconda della giustizia riparativa, in prossimità della fase terminale di espiazione della pena detentiva quando il periodo di osservazione in carcere ha dato esito positivo e consente di elaborare una prognosi favorevole di reinserimento nel tessuto sociale del condannato”.
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