di ANTONIO BEVACQUA
Ho letto con grande interesse ed ho apprezzato l’appello rivolto nei giorni scorsi, assieme ad altri suoi Colleghi, dalla Senatrice del Movimento 5 stelle Bianca Lauro Granato ai Ministri per il Sud, per gli Affari regionali e per le Infrastrutture e i trasporti.
L’interrogazione parlamentare era finalizzata a conoscere le modalità di applicazione della cosiddetta “clausola del 34%”, ossia la percentuale di finanziamento statale che deve essere obbligatoriamente destinata agli investimenti nel Mezzogiorno in ragione del peso della popolazione ivi residente.
Tale percentuale di finanziamento pubblico, come ha correttamente evidenziato la Senatrice catanzarese, serve a recuperare il gap creatosi in questi anni a sfavore del Sud, una parte del Paese che nel triennio scorso ha visto destinare alla propria spesa per investimenti appena il 20% delle risorse ordinarie nazionali.
La stessa attenzione mi auguro sia posta dalla Senatrice Granato e da parte di tutti i parlamentari meridionali su quella che sarà la destinazione del “Next Generation EU”, il cosiddetto “Recovery fund”, quella montagna di denaro, in parte a fondo perduto, in parte a prestito, che l’Europa erogherà all’Italia in misura di oltre 200 miliardi. E mi auguro sia un’attenzione doppia perché l’impiego di quelle straordinarie risorse potrà contribuire, una volta per tutte, a colmare i grandi e gravi divari esistenti tra le diverse aree dela Nazione.
Infine, dopo i complimenti e gli inviti, un’esertazione, ancora per la Senatrice Granato: quella di gettare il cuore oltre l’ostacolo. Mi riferisco alla ineludibile problematica del Mes-sanità, sulla quale riesco anche comprendere il “no” opposto dai partiti filo-privati-nordisti ma mi viene difficile capire il diniego, per la verità mai tecnicamente spiegato, avanzato dai pentastellati.
Ricordo, nella confusione mediatica che sul Mes si è generata, che l’unica “condizione“ prevista per la concessione dell’ingente prestito europeo, circa 37 miliardi all’Italia, è quella che i fondi vengano interamente investiti nel comparto sanitario. Senza contare, poi, che il tasso d’interesse sullo stesso prestito sarebbe addirittura negativo -l’Italia, cioè, dovrebbe rimborsare meno di quanto prenderebbe- con un risparmio di quasi 5 miliardi in dieci anni rispetto a un’emissione di titoli di Stato.
Nessuna “sorveglianza rafforzata”, perciò, da parte della Commissione Europea, quella tanto temuta tipologia di controlli che il meccanismo del Mes prevede per gli ordinari prestiti agli Stati, che può sfociare nell’intervento della Troika (i creditori: Commissione, BCE e FMI), con conseguente richiesta di politiche di austerità (come tristemente avvenuto in Grecia).
E tuttavia mi piace osservare che temere che le Istituzioni europee esercitino controlli sull’utilizzo di circa 37 miliardi di euro “esclusivamente nella sanità” rappresenta un vero paradosso, posto che l’emergenza Covid-19 ha inequivocabilmente dimostrato che l’Italia ha urgentemente e straordinariamente bisogno di investimenti nella propria sanità e particolarmente, come è stato da tutti sottolineato, nella sanità del Mezzogiorno.
A tal proposito desidero fare una riflessione proprio da meridionale. Non può sfuggire a nessuno quali siano gli enormi interessi che ruotano attorno alla sanità. Intere regioni del Nord Italia hanno costruito le proprie fortune (vi sono anche inchieste in corso) privilegiando il sistema sanitario privato a danno di quello pubblico, quest’ultimo poi sfavorito dallo Stato nelle regioni del Sud.
Tale perverso meccanismo ha prodotto un enorme drenaggio di risorse, pubbliche e private, dai territori meridionali verso quelli settentrionali, plasticamente rappresentato dalla cosiddetta emigrazione sanitaria: i tanti viaggi della speranza di cui sono testimoni i milioni di pazienti che ogni anno percorrono migliaia di chilometri, affrontando indicibili sacrifici economici ed umani, diretti nei grandi ospedali, soprattutto privati, della Lombardia e non solo, dove, oltre ai non esigui costi delle cure, sono costretti a subìre i salassi delle spese logistiche e di mantenimento.
Ecco perché occorrerebbe guardare con occhio non ideologico e con favore al Mes: le somme che si otterrebbero in prestito giungerebbero col “vincolo di utilizzo sanitario” e sarebbero destinate a riportare in situazione di omogeneità territoriale l’intero sistema sanitario.
A meno che, come chiosa Antonio Polito, dietro il no a Mes si nasconda la volontà di avere le “mani libere”, cioè di poter spendere gli altri fondi che arriveranno dell’Europa senza dover rendicontare. Ma io a questo non voglio credere, almeno nella volontà dei parlamentari meridionali e dei partiti al Governo.
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