di BIAGIO MERANDI
"Occorre persuadere molta gente che anche lo studio è un mestiere, e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio, oltre che intellettuale, anche muscolare-nervoso: è un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo, la noia e anche la sofferenza. La partecipazione di più larghe masse alla scuola media porta con sé la tendenza a rallentare la disciplina dello studio, a domandare «facilitazioni». Molti pensano addirittura che le difficoltà siano artificiose, perché sono abituati a considerare lavoro e fatica solo il lavoro manuale".
Così scriveva Antonio Gramsci in un bel passo dei suoi Quaderni dal carcere.
La scuola è un lavoro a tutti gli effetti, così come lo studio, e le ore di studio non vanno alternate ad altri lavori.
Mi chiedo spesso il motivo per cui Antonio Gramsci sia ancora poco conosciuto e studiato nelle scuole italiane, nonostante sia inconfutabile il contributo dato dal suo pensiero alla formazione di una coscienza di classe libera e più consapevole.
Antonio Gramsci già più di un secolo fa poneva il problema di una forte cesura tra intellettuali e classi subalterne, ritenendo infatti il popolo stesso come intellettuale, in quanto ogni individuo, attraverso la scuola e la formazione può essere in grado di plasmare una intima e profonda concezione degli eventi. La sua accusa agli intellettuali del tempo muoveva proprio in questa direzione, ossia li si accusava di non comprendere e avallare il "pensiero del popolo".
Purtroppo sono trascorsi molti decenni da quando il pensiero pragmatico di Gramsci è stato abbandonato, e, molto onestamente (ma ciò riflette una mia personale opinione), il modello di scuola e di conoscenza sorto a partire dagli anni 60, e che molto fa riferimento alla figura di Don Lorenzo Milani, non mi entusiasma molto.
Il sapere non è mai da ritenersi "reazionario ", e la formazione va intesa come uno tra i percorsi di vita più importanti, anzi fondamentale.
Ritengo sia giunto il tempo che larga schiera di intellettuali di sinistra rifuggano da un certo imbarazzo generato dal ruolo della cultura e del sapere, che debbono invece riacquistare quella centralità nel mondo della scuola in modo maggiore.
È un compito molto delicato, che presenta difficoltà abnormi, ma che è necessario affrontare con la serietà che esso pretende, perchè, a cercare di rendere facile e confortevole ciò che non lo è, si rischia di cadere nella "sguaiataggine", come lo stesso Gramsci asseriva.
E non possiamo permetterci un errore così grave, non più oggi, in giorni in cui perdono la vita giovani studenti nello svolgimento del proprio "lavoro".
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