di MARCELLO FURRIOLO
Ho voluto rivedere più volte le immagini del vile attentato agli automezzi della Guglielmo Spa. Immagini sconvolgenti di fiamme che divorano giganti inermi e inanimati, grandi lingue di fuoco che cercano di inghiottire lo strumento del lavoro, della creatività, dell’impegno di un uomo comune che, nel tempo, è riuscito a realizzare un piccolo impero di dimensioni nazionali e non solo. Un colosso intriso di passione catanzarese e che, caso quasi unico, ha identificato il brand con il nome di battesimo del fondatore.
Ancora una volta, quando la stoltezza e la codardia dell’uomo non riesce ad avere il sopravvento sulla ragione, sulla giustizia, sulla cultura, sul lavoro onesto, affida al fuoco, il più inesorabile dei mezzi di distruzione, il compito di eliminare o danneggiare il nemico o quello che viene ritenuto tale. Così fece Nerone con l’amata odiata Roma, così fecero i russi con Mosca per contrastare l’avanzata di Napoleone, così fecero i nazisti a Berlino, a Bebel Platz il 10 maggio del 1933, con il rogo dei libri, colpevoli di rappresentare l’aspirazione dell’uomo alla libertà di pensiero e alla civiltà. Così fa la criminalità con ciò che rappresenta il frutto o lo strumento del lavoro pulito, che vuole essere e significa emancipazione, libertà dal bisogno e dalla sottomissione a qualsiasi forma di oppressione sociale, economica, politica o culturale. Ancora una volta il fuoco, che mai come quest’anno è stato protagonista assoluto di un’estate violenta e dissennata.
In queste ore, ovviamente, sono straripati i fiumi della retorica e gli attestati di solidarietà nei confronti della Guglielmo Spa e dei suoi attuali proprietari, apprezzati eredi di Guglielmo Papaleo. Riguardando quelle fiamme, che avevano quasi difficoltà a portare a compimento il miserabile disegno, mi scorrevano davanti le immagini e le emozioni dei tanti straordinari momenti passati accanto e con Don Guglielmo.
Qualcuno ha affermato che con quell’attentato si è voluto colpire, abbattere un simbolo. Guglielmo, appunto. Ma purtroppo, Guglielmo non c’è più.
"Guglielmo apparteneva ad una generazione di imprenditori catanzaresi, che, maledettamente, non c’è più. Tanto per intenderci alla generazione di Raffaele Amato, Alfredo e Gioacchino Carrozza, Giovanni Colosimo. Amici di tante bonarie zingarate, l’immancabile tressette, cene a base di insalata di pomodoro e cipolla di Tropea, vermituri o morzello accompagnati da tante risate e un purissimo bicchiere di vino color rubino. E poi tanto instancabile lavoro. Una generazione di operatori economici che ha creato il mito della catanzaresità, un insieme di sentimenti, di amore per questa città in tutte le sue componenti sociali, prima che economiche, dal calcio al turismo, alla solidarietà umana in tutte le sue più intime, popolari e a volte umili sfaccettature e in cui si riconoscevano tutti i cittadini senza distinzione di ceto o di credo politico.
Appartenevano a questa generazione, sia pure con diverse collocazioni, uomini come Vittorio Procopio, Vincenzo Gatto o Tony Boemi, mentre per fortuna resta ancora come orgoglioso simbolo di quel mondo e di quella cultura del lavoro il solo Giovanni Colosimo.
E non sarà un caso se insieme a quel mondo è scomparsa una certa idea di città fatta di amore autentico e di rispetto per ogni pietra, per i profumi di gelsomino e di gardenia provenienti dai cortili delle vecchie, nobili o dignitosamente povere, case di quello che era il centro storico. E non è neanche un caso se con quel mondo è crollata anche una certa idea di politica, vissuta quasi sempre come passione e confronto tra opposte concezioni del bene comune e che con quel mondo imprenditoriale aveva un rapporto di reciproca stima e rispetto.
Il fuoco che ha accompagnato questo orrido gesto criminale ha acceso, in una notte di fine agosto, nella mitica Copanello, una luce sinistra non sull’immagine di una grande Azienda, ma sul dramma di una città quasi irrimediabilmente devastata dall’incapacità della sua classe dirigente a custodirne la memoria e in cui stanno bruciando, giorno dopo giorno, le speranze residue del suo riscatto assieme all’amore giocoso di Don Guglielmo e i suoi amici.”
Questa nota non è stata scritta ieri, all’indomani dell’inquietante incendio che ha colpito lo stabilimento di Caffè Guglielmo a Copanello. Purtroppo l’ho scritta il 4 settembre 2012 e l’ho ripubblicata recentemente nel mio libro “Catanzaro città perduta”.
Sono passati dieci anni, ma nulla è cambiato. In Calabria, ma soprattutto nella città di Catanzaro. Dove la sicurezza dei cittadini e la libertà d’impresa continuano ad essere sottoposte alla più vile aggressione, probabilmente da parte delle stesse consorterie criminali. Sembrerebbe quasi una sconfitta per lo Stato e le sue istituzioni democratiche. Ma soprattutto per la politica che continua a perpetuare se stessa nei riti bizantini, che l’hanno allontanata sempre più dai problemi reali della gente.
Testata giornalistica registrata presso il tribunale di Catanzaro n. 4 del Registro Stampa del 05/07/2019.
Direttore responsabile: Enzo Cosentino. Direttore editoriale: Stefania Papaleo.
Redazione centrale: Via Cardatori, 9 88100 Catanzaro (CZ).
LaNuovaCalabria | P.Iva 03698240797
Service Provider Aruba S.p.a.
Contattaci: redazione@lanuovacalabria.it
Tel. 0961 873736