Aurelio Fulciniti: "Le grandi stagioni de 'Il Piccolissimo'"

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Aurelio Fulciniti
  17 agosto 2023 11:23

di AURELIO FULCINITI

"Parlare de “Il Piccolissimo” vuol dire citare – per chi ha avuto l’onore di collaborarvi, come nel caso di chi scrive – un’impeccabile e irripetibile scuola di giornalismo, con tre maestri d’eccezione, di tre estrazioni politiche diverse, ma uniti da un temperamento forte e battagliero, ma soprattutto da un elevato tasso di professionismo e di terzietà.

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Doti che oggi sembrano in molti casi perse per strada, soprattutto in Calabria, dove tranne alcune rare eccezioni che confermano la regola e sono da riconoscere, in alcuni casi, per formazione professionale, proprio al “Piccolissimo”.

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Questo periodico ha avuto due fasi della propria esistenza: una più lunga e proficua negli anni 80 e una più breve fra il 2005 e il 2006. Ma più che sui contenuti e le vicende del giornale ad essi intrecciate, è necessario inizialmente soffermarsi sui “padri fondatori”, vale a dire, in ordine alfabetico, per rendere omaggio alla memoria, Moisè Asta, Venturino Coppoletti e Vincenzo De Virgilio, per tutti Enzo, da poco scomparso. Accomunati da un raro acume professionale e da un’imparzialità che mettevano in ogni riga, erano molto severi ma perché da loro c’era da imparare, eccome. E se da loro arrivava una lode che riguardava l’impostazione o la capacità giornalistica, chi la riceveva si poteva considerare di sicuro “promosso” e invitato a proseguire su quella strada.

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Di un’onestà intellettuale adamantina, di una cultura profonda, di una tecnica professionale senza pari e soprattutto di una calabresità rigorosa sia nel capire che nel denunciare, in perfetto stile del giornalismo d’inchiesta, questi tre fuoriclasse hanno colmato una lacuna e costruito un’alternativa. In anni nei quali l’unico quotidiano realmente letto era “La Gazzetta del Sud”, calabrese ma in realtà siciliano, obiettivamente di parte perché fin troppo neutro e democristiano, poco incline alle opinioni oltre un certo margine e al giornalismo d’inchiesta, Asta, Coppoletti e De Virgilio, offrirono un approccio empatico che era l’esatto contrario in tutto.

Il pluralismo era alla base di un periodico in cui le notizie erano presentate seguendo diverse strade e differenti punti di vista, per niente paludati, ma anzi nettamente inclini alle discussioni e alle riflessioni da parte del lettore. Fra le rubriche è rimasta celebre, per i lettori de “Il Piccolissimo”, “La colonna di Zeno”, mai firmata in apparenza, ma in realtà tutta scritta e farina del sacco di Enzo De Virgilio, con sagacia e ironia, ma soprattutto incline a far notare i fatti e i personaggi da un punto di vista sulfureo e graffiante – ovviamente dal punto di vista dialettico e linguistico – ma certamente più attinente alla realtà. Un’autentica rivelazione per quegli anni, ed anche per quelli a venire.

Oggi “Il Piccolissimo” sarebbe un progetto difficile da realizzare e non solo perché mancano i tre fuoriclasse in grado di fare scuola e guidare con mano sicura i giovani, ma soprattutto perché almeno in Calabria si va spesso verso un giornalismo meno rigoroso, con meno preparazione ed attenzione alle fonti, ma soprattutto con un discutibile concetto di imparzialità e una crescente vocazione per lo scandalismo e il sensazionalismo che lascia colpevolmente in secondo piano la qualità di fatti ed opinioni. Per tornare a collegare il giornalismo attuale con una certa tradizione innovativa ormai dimenticata, la cosa più importante da fare sarebbe davvero far conoscere ed illustrare alle nuove generazioni del settore tutti i numeri del “Piccolissimo” e testimoniarne la tecnica, le impostazioni e la capacità di approccio all’argomento. Questo servirebbe a capire che la Calabria giornalistica ha vissuto tempi migliori, per poi riflettere con attenzione sul fatto che è un paradosso dover ammettere che nell’era del pluralismo più ampio e possibile dell’informazione, se ne sia invece persa in gran parte l’essenza. È il “corpus” di una riflessione importante, che potrebbe anche rivelarsi utile".

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