Autonomia Differenziata, Tulelli: “Un boomerang per il Sud, soprattutto per la Calabria”

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Rita Tulelli
  24 agosto 2024 18:31

di RITA TULELLI

L'autonomia differenziata, una delle riforme più discusse e controverse degli ultimi anni in Italia, sta suscitando forti preoccupazioni, in particolare nelle regioni del Sud come la Calabria. Questa riforma, che mira a concedere maggiori poteri e risorse alle regioni che ne fanno richiesta, rischia di acuire le disuguaglianze tra Nord e Sud, penalizzando ulteriormente aree già svantaggiate.

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L'autonomia differenziata nasce dalla possibilità, prevista dall'articolo 116 della Costituzione italiana, di trasferire competenze dallo Stato centrale alle Regioni. L'idea di fondo è quella di consentire alle Regioni di gestire direttamente alcune funzioni, come l'istruzione, la sanità, le infrastrutture e l'ambiente, adattandole alle specifiche esigenze locali. Le Regioni più ricche, come Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, hanno già avviato il percorso per ottenere maggiore autonomia, sostenendo che una gestione più diretta e personalizzata possa portare a una maggiore efficienza.

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Ma cosa comporta tutto questo per le regioni del Sud? Calabria, Campania, Sicilia e Puglia, già gravate da un cronico ritardo in termini di sviluppo economico e infrastrutturale, potrebbero subire un ulteriore svantaggio. Il problema principale risiede nel divario di risorse tra le diverse regioni. Le Regioni del Nord, che godono di una base fiscale più solida grazie a un tessuto economico più sviluppato, potrebbero avvantaggiarsi di questa autonomia, riuscendo a trattenere una quota maggiore delle proprie risorse fiscali per finanziare i servizi pubblici. Al contrario, le Regioni del Sud, con un minor gettito fiscale e una maggiore dipendenza dai trasferimenti statali, rischiano di vedere ridursi ulteriormente le risorse disponibili.

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La Calabria, una delle regioni più povere d'Italia, rappresenta un esempio emblematico delle possibili conseguenze negative dell'autonomia differenziata. Con un PIL pro capite ben al di sotto della media nazionale e un tasso di disoccupazione tra i più alti del Paese, la Calabria fatica già oggi a garantire servizi pubblici di qualità, specialmente in settori cruciali come la sanità e l'istruzione. La gestione autonoma di queste competenze, in assenza di adeguate risorse finanziarie, rischia di peggiorare ulteriormente la situazione.

In particolare, la sanità calabrese è già in uno stato di grave crisi, con ospedali sotto organico, mancanza di attrezzature moderne e tempi di attesa lunghissimi. In un contesto di autonomia differenziata, senza un adeguato supporto economico dallo Stato, la Regione Calabria potrebbe non essere in grado di garantire un sistema sanitario all'altezza delle necessità della popolazione. Lo stesso discorso vale per l'istruzione: le scuole calabresi, già alle prese con carenze strutturali e un alto tasso di abbandono scolastico, potrebbero essere ulteriormente penalizzate da un sistema che non redistribuisce le risorse in modo equo.

L'autonomia differenziata, così come concepita, potrebbe dunque cristallizzare le disuguaglianze territoriali esistenti, anziché ridurle. Questo scenario contrasta con il principio di solidarietà che dovrebbe guidare l'azione dello Stato in un Paese in cui il divario tra Nord e Sud è ancora una ferita aperta. Se l'Italia vuole realmente promuovere uno sviluppo armonico e inclusivo, non può permettersi di lasciare indietro le regioni meridionali.

L'autonomia differenziata potrebbe rivelarsi un boomerang per il Sud, e in particolare per la Calabria, se non accompagnata da un serio e concreto impegno a garantire un'adeguata perequazione delle risorse. Il rischio è quello di frammentare ulteriormente il Paese, creando un'Italia a due velocità, in cui alcune Regioni possono prosperare mentre altre affondano. È essenziale, dunque, che questa riforma sia accompagnata da misure correttive che assicurino una reale equità tra le diverse aree del Paese, affinché l'autonomia non si trasformi in sinonimo di abbandono per il Sud.

 

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