di EDOARDO CORASANITI
Il Tribunale della libertà di Catanzaro circoscrive l'intero ragionamento dell'ordinanza di annullamento della misura cautelare in una frase: "Il dubbio in ordine alla consapevolezza di Guglielmo non può che condurre all'esclusione dei gravi indizi di colpevolezza a suo carico". E' il dubbio dunque per i giudici del Riesame quello che circonda e aleggia le accuse rivolte al notaio catanzarese Rocco Guglielmo, indagato e sottoposto al divieto di dimora dal 21 gennaio al 19 febbraio 2021 nell'ambito dell'operazione "Basso profilo", il blitz della Procura di Catanzaro che ha portato all'emissione di 50 misure cautelari. Coinvolti criminalità organizzata, politica, imprenditori e presunti colletti bianchi di Catanzaro e Crotone. Dall'inizio dell'indagine per 19 indagati è caduta l'aggravante mafiosa: annullata dal Tribunale della libertà, chiamato a vagliare sulla legittimità delle misure cautelari adottate. Per la Procura di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri, il notaio Guglielmo, accusato di intestazione fittizia e falso ideologico, sarebbe stato il trait d'union per concretizzare il passaggio di quote societarie a cittadini albanesi che, prelevati a Bari provenienti da Durazzo sono stati ospitati a Catanzaro, dotandoli di codice fiscale italiano. Insomma: per gli investigatori, consapevole delle operazioni sospette tanto da non verificare la correttezza dei documenti e la conoscenza della lingua italiana.
Al Tdl di Catanzaro il 18 febbraio ha rilasciato dichiarazioni spontanee e si lascia andare ad uno sfogo: "Ho sempre rispettato la legge notarile e il diritto civile". E' difeso dagli avvocati Salvatore Staiano e Filippo Giunchedi (compongono il collegio di difesa anche i legali Vincenzo Cicino, Antonello Talerico, Giuseppe Mussari, Vincenzo Maiolo Staiano, Alice Piperissa), i quali ai giudici hanno discusso e depositato un'ampia documentazione. Il giorno dopo il Tdl annulla la misura cautelare e restituisce la libertà al professionista di Catanzaro.
Ora i giudici del spiegano e dettano le ragioni del provvedimento. In un'ordinanza lunga 18 pagine che mette a fuoco come ci sia un aspetto probabilistico attorno alle accuse. Il Tdl, composto dai giudici Michele Cappai, Gabriella Pede e Sara Mazzotta, effettua una serie di ipotesi sulla possibilità che Glenda Giglio, imprenditrice agli arresti domiciliari per la vicenda e cliente del notaio, avesse reso partecipe il professionista della cessione delle quote societarie e i presunti affaire legato. Come però può averlo non fatto o semplicemente manifestato interesse alle operazioni. Ipotesi, non gravi indizi di colpevolezza. Probabilità, quindi, che richiamano al dubbio. Ma il dubbio è troppo poco per supportare la sussistenza e ipotesi di una misura cautelare. Nella richiesta di misura cautelare, la Procura di Gratteri al Gip ha chiesto gli arresti domiciliari e il riconoscimento dell'aggravante mafiosa. Il Gip applicò il divieto di dimora escludendo anche l'aggravante.
Anche nuove conversazioni inizialmente non riportate al Gip vengono messe in luce dai giudici del Tdl. Rispetto al quadro indiziario iniziale infatti sono stati acquisiti ulteriori elementi. In particolare, un'integrazione di una serie di conversazioni, alcune delle quali non figuranti nell'informativa di Pg che ha preceduto l'adozione della misura cautelare.
Alcune di queste conversazioni, in particolare quelle intercettate il pomeriggio del 30 maggio 2018 nell'automobile in uso all'imprenditore Antonio Gallo (in carcere per l'indagine Basso profilo"), ove era presente il coindagato Baci Henrik, assumono "indubbio rilievo in quanto hanno per oggetto commenti degli indagati rispetto a quanto avvenuto quella stessa mattina presso lo studio del notaio Guglielmo, con il Baci, presente dal notaio, che ha raccontato al Gallo quello che era successo. Si tratta di conversazioni che non erano state portate all'attenzione del GIP, e che riguardano avvenimenti - situati nell'arco temporale coincidente alla stipula degli atti del 30 maggio 2018 - rispetto ai quali lo stesso GIP aveva potuto svolgere valutazioni di carattere solamente presuntivo".
In base a quanto raccontato dal narrato di uno degli indagati, Henrik Baci, il notaio ha richiesto ai soggetti presenti nel suo studio se comprendessero la lingua: “Ma capite?.. Intendete?” La risposta: "Si… capiamo tutto, ma parliamo poco”.
Il lavoro preliminare svolto dal professionista diventa fondamentale: ha formalmente espletato l’indagine sulla comprensione della lingua italiana degli stranieri: “La risposta ricevuta appare proporzionata al tipo di indagine che il notaio avrebbe dovuto svolgere e che consiste nell’accertamento della volontà negoziale, trattandosi di un atto che non presenta anche, per l’uomo comune, particolari difficoltà di comprensione", scrive il Tdl. E ancora: "Ritiene il Collegio che gli elementi di novità introdotti dalle riportate conversazioni siano idonei ad innestare più di un dubbio sulla complicità del notaio rispetto all'iniziativa delittuosa riferibile agli altri Se, infatti, il precedente compendio indiziario autorizzava a ritenere che i soggetti albanesi non comprendessero minimamente la lingua italiana e che il notaio - su espressa sollecitazione in tal senso di Glenda Giglio - avesse volutamente omesso di rilevare tale circostanza e di assumere le conseguenti determinazioni, le nuove emergenze indiziarie consegnano una realtà significativamente diversa, inducendo a differenti considerazioni".
Nella parte finale del provvedimento del Riesame, i giudici mettono i puntini sui due titolo di reato. Con riferimento alla contestazione del delitto di trasferimento fraudolento di valori, viene rivelato che "l'assenza di elementi univoci nel senso della consapevolezza del notaio in ordine alla fittizietà dell'intestazione della società ai cittadini albanesi esclude l'addebitabilità del fatto sul piano soggettivo".
Mentre sulla contestazione di falso ideologico i giudici del Tdl fanno notare che “le incertezze emerse in ordine all'effettivo livello di comprensione della lingua italiana da parte dei soggetti albanesi renda già di per sé non chiaramente configurabile il reato sul piano obiettivo. Se pure si volesse ritenere che anche solo alcuni dei cittadini albanesi recatisi al cospetto del notaio non conoscessero la lingua e non avessero compreso il senso degli atti che erano andati a stipulare, difetterebbe comunque, alla luce di quanto si è detto, la dimostrazione che il notaio avesse avuto consapevolezza di tale circostanza. Tanto, evidentemente, non escluderebbe la configurabilità del reato a carico dei coindagati, laddove il falso ben potrebbe individuarsi nella attestazione della comprensione dell'atto da parte del soggetto di nazionalità albanese , circostanza, questa, rispetto alla quale il notaio potrebbe considerarsi indotto in errore, tramite inganno".
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