Bilotti: “Istituto per minori Cesare Beccaria, alienazione e libertà”

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Domenico Bilotti
  27 dicembre 2022 08:02

 
di DOMENICO BIOTTI
 
 
Ha fatto scalpore l'evasione di massa, riuscita a metà, organizzata da alcuni ragazzi che erano ristretti nell'Istituto penale per minori Cesare Beccaria di Milano. Come sempre quando avvengono fenomeni del genere, nonostante essi espongano chi li mette in opera quanto chi li subisce a rischi seri per la propria incolumità, nascono moti spontanei di simpatia presso l'opinione pubblica: ieri i muri, oggi le pagine social o gli striscioni, si riempiono di inviti bonari al non farsi "riacciuffare". Sono attestazioni che ovviamente hanno un tono declamativo, ma che forse afferrano alcuni concetti sostanziali. La fuga dei minori trattenuti presso l'istituto milanese ha avuto sicuramente degli effetti altamente pericolosi: manovre azzardate, barriere scavalcate, intossicazioni, irreperibilità improbabili e complicate. La vicenda singola si concluderà probabilmente come immaginava il cappellano della struttura meneghina: privi di alternative territoriali, ricercati da un sistema di sorveglianza e sicurezza che sa far pressione su soggettività fragili o impaurite o scollegate da agganci logistici, i ragazzi torneranno tutti, o costituendosi o diversamente intercettati dalla forza pubblica. Di là dal gesto singolo, perciò, ci interessa mettere a verbale riflessioni di altra natura. Delle carceri minorili si parla pochissimo. In esse, tuttavia, sono riprodotte (o addirittura amplificate) alcune delle circostanze negative che riguardano tutto il circuito penitenziario italiano: dipendenze (su alcool e sostanze peraltro già allarmantemente diffuse presso i giovanissimi in libertà), abuso di psicofarmaci, deficit ambientali, poche possibilità concrete di riscatto nell'istruzione e nel lavoro, istituti che ricevono un numero di persone superiore ai servizi e spesso alle stesse capienze, senso di alienazione, abbandono e smarrimento. Questo mix è deleterio per soggetti già formati, addirittura se instradati in organizzazioni criminali vere e proprie, figurarsi quanto lo possa essere per giovanissimi che nell'esperienza della detenzione percepiscono l'idea che essa apra a una spirale senza via d'uscita verso nuove detenzioni, nuovi procedimenti, nuovi adempimenti, nuove restrizioni, altre inquisizioni - come direbbe Borges. Riteniamo perciò giusto dire che il gesto, per quanto sconsiderato o affrettato o vandalico, degli evasi dell'Istituto Cesare Beccaria denunci e additi condizioni di alta problematicità di cui dovremmo finalmente e definitivamente renderci conto. La criminalità utilizza i minori offrendo loro, coerentemente allo spirito dei tempi, infami stage non retribuiti. I minori sono utilizzati come sicari perché la loro situazione soggettiva teoricamente apre o dovrebbe aprire a forme e tipi di pena meno prolungati e ultimativi di quelli riservati agli adulti. Abbiamo anzi esempi giudiziari di minori infraquattordicenni lanciati come carne da cannone in alcune delle faide italiane più efferate: li abbiamo visti nel Nisseno al tempo della guerra tra la Cosa Nostra e scissionisti della Stidda; killer ragazzini, sedicenni o suppergiù, erano impiegati nei primi scontri armati in seno alla Sacra Corona Unita, li abbiamo visti pure nei decenni e in vari ruoli nella società foggiana o nella camorra casertana. E non è più rassicurante quando i ragazzini non sono usati dalle mafie: s'accollano sul groppone ipotesi di reato gravi spacciando droghe che consumano, effettuando vandalismi, realizzando violente condotte da branco dove le vittime sono riconosciute come tali in ritardo grave e dove peraltro l'individuazione di responsabilità individuali specifiche e da provare in giudizio è complessa, a volte eventuale, alle altre improvvida o sbrigativa. E poco si dice sulla situazione delle ragazze ristrette, quantitativamente di meno, ma costrette a un'esplorazione del corpo in crescita e dei suoi desideri ancora più tormentata e accidentata. Finito il "soggiorno" al minorile, poi, le politiche sociali sanno sin qui offrire poco e ci ricordiamo di quei giovanissimi "coatti" se fanno i tornei di pallone, il teatro o i laboratori di cucina: nulla sappiamo di tutti gli altri, dei tanti che non ce la fanno a costruirsi un'alternativa, di quelli ai quali un'alternativa i loro contesti negano. Insomma, se su Facebook qua e là si leggono le solite astrazioni draconiane ("riprendeteli e buttate la chiave") non stupisce nemmeno che compaiano inviti a correre e a correre e a correre. Il tema non è non far finire la loro evasione; il tema piuttosto è mettere definitivamente in questione il minorile, abolirlo per come è e soprattutto storicamente diventato, pensare modi differenti e più efficaci di gestire il disagio. Da questo punto di vista, "teppistelli", "untori", "bravi" o come li si chiamerà, chiamerà, stanno sciaguratamente e a modo loro correndo per tutti. Sperando che dall'altro capo della corsa possa esistere vita e non quel suo antifrastico simulacro che è gli anni plumbei di detenzione, privazione e sottrazione. Che non ti si indichi una via d'uscita a diciassette anni è probabilmente un crimine peggiore di quello che hai commesso. 

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