La procura di Reggio Calabria e i carabinieri dello speciale gruppo di Gioia Tauro, sono riusciti a ricostruire gli assetti della cosca, attualmente guidata da Giuseppe Piromalli, 78 anni, scarcerato lo scorso anno per fine pena, dopo 22 anni di reclusione, e tornato a vivere a Gioia Tauro. Dall’associazione mafiosa, al traffico di stupefacenti; dall’estorsione, al traffico d’armi. Ed ancora: turbata libertà degli incanti per l’assegnazione degli appalti pubblici, danneggiamenti gravati dalle modalità mafiose.
Due anni di indagini, pedinamenti, intercettazioni ambientali e telefoniche, che hanno anche permesso di mettere a fuoco il rapporto - documentato nell’inchiesta culminata nell'operazione "Cent’anni di Storia" – tra i Piromalli e i cugini Molè, in particolare Antonino e Girolamo Molè, nipoti per parte di madre del defunto capofamiglia ‘don’ Peppino Piromalli, fratello di ‘don’ Mommo e zio dell’attuale ‘capo in testa’ della ‘famiglia’, Giuseppe Piromalli. Come scrivono gli inquirenti, “l’indagine cattura le dinamiche della cosca dal momento nei mesi antecedenti alla scarcerazione di Giuseppe Piromalli, dopo oltre un ventennio di carcerazione. In questo senso, viene registrato il fervore dei consociati per recuperare una unità monolitica della cosca, segnata da personalismi quali la mancata condivisione degli utili, chiudendo un periodo ritenuto di transizione”.
L’impianto investigativo trova riscontro nell’elenco degli arrestati, tra cui figura Antonio Molè ‘u iancu’, figlio di Domenico e nipote di Antonio e Rocco Molè, quest’ultimo, assassinato nel 2006 a Gioia Tauro come risposta della ‘casa madre’ ad una sua volontà di autonomia.
Le estorsioni della ‘famiglia’ Piromalli nell’area di Gioia Tauro venivano applicate in maniera sistematica su tutte le attività economiche, come segno di controllo del territorio. Le indagini hanno ricostruito, anche per questo tipo di attività criminale, “la maniera pervasiva che consentiva ai mafiosi di conoscere ogni singola iniziativa economica”, e i proventi finivano in massima parte nella disponibilità della ‘casa madre’, spesso consegnati alle donne. “Tra le forme di aggressione del territorio, gli esponenti della cosca attuavano un diffuso racket, con particolare incidenza verso quello delle cosiddette ‘guardianie’, estorsioni poste in essere nei confronti dei proprietari dei fondi agricoli i quali, pagando una quota annuale alle rappresentanze della cosca competente per territorio, evitano che i terreni vengano depredati dei raccolti o danneggiati nelle colture”. Particolarmente significativa l’attenzione della cosca Piromalli sul condizionamento del mercato del lavoro nella Piana di Gioia Tauro, con l’imposizione delle assunzioni a beneficio degli appartenenti alla cosca. Gli inquirenti hanno infatti documentato la vicenda di un imprenditore costretto ad assumere un appartenente al sodalizio criminale in una fabbrica attiva nella zona industriale del porto di Gioia Tauro. “Il responsabile della ditta, oltre a non poter scegliere le maestranze da assumere, non poteva neanche sindacare sul rendimento e sull’apporto lavorativo dei malavitosi assunti”. I Piromalli, ancora, avevano interessi nei bandi per le aste giudiziarie degli immobili ricadenti nella zona industriale prospiciente il porto di Gioia Tauro, “beni banditi all’incanto verso i quali sono stati rilevati convergenti interessi per la loro aggiudicazione, dove chi non era gradito agli esponenti della malavita locale veniva preventivamente scoraggiato a partecipare”.
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