Secondo gli investigatori, che hanno raccolto numerose intercettazioni ambientali e telefoniche, i Piromalli puntavano a chiudere la fase dello scontro armato con i cugini Molè riprendendo “il partenariato criminale” con gli ‘scissionisti’ per potere efficientare i traffici illeciti e mandare un messaggio inequivocabile alle altre cosche della Piana di Gioia Tauro sulla ritrovata unità.
L’occasione per far ripartire il dialogo, dopo decenni di rottura contrassegnata da eclatanti omicidi, come quello di Rocco Molè, è il controllo del mercato ittico di Gioia Tauro. Lo spunto investigativo è fornito da una ritorsione – l’incendio di un peschereccio nella vicina Palmi – messo in atto dai Molè poiché il proprietario aveva disatteso le imposizioni mafiose relative alla gestione dell’intero settore nella Piana di Gioia Tauro. “La distruzione del peschereccio, reso inutilizzabile, ha innescato una dinamica criminale di estremo interesse, in quanto la vittima – si legge nell’ordinanza del gip - invece di ricorrere alle strutture preposte, ha ritenuto utile cercare la copertura mafiosa dei componenti della cosca Piromalli.
Una richiesta che, dietro lauti compensi, è stata concessa dai vertici della consorteria. In buona sostanza, una dinamica trasversale che ha reso necessario un dialogo tra le due anime criminali di Gioia Tauro, il cui punto apicale è stato rappresentato da un summit effettuato all’interno dell’area cimiteriale di Gioia Tauro.
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