di EDOARDO CORASANITI
E' il primo grado, ma il processo per la bomba di Limbadi arriva ad una prima verità processuale: la Corte d'Assise di Catanzaro ha condannato all’ergastolo (e un anno dì isolamento diurno) Vito Barbàra (31 anni, difeso dagli avvocati Fabrizio Costarella e Giovanni Vecchio) e Rosaria Mancuso (65 anni, difeso dagli avvocati Francesco Capria e Mario Santambrogio), sorella dei boss Giuseppe, Diego, Francesco e Pantaleone Mancuso, mentre 10 anni per Domenico Di Grillo (difeso dall'avvocato Gianfranco Giunta) e marito della Mancuso, 73 anni, e 3 anni e 6 mesi per la figlia Lucia Di Grillo (difesa dall'avvocato Stefania Rania). Tutti e quattro sono imputati nel processo per la morte di Matteo Vinci, 42enne biologo, ucciso con una autobomba il 9 aprile 2018 a Limbadi (Vibo Valentia) e per il ferimento del padre, Francesco Antonio. Il presidente del collegio, Alessandro Bravin, ha fissato una provvisionale di 150mila euro per ogni parte civile costituita. Assolti per l'estorsione e dall'aggravante mafiosa.
Al sesto piano del Tribunale di Catanzaro, in un'aula dove la tensione si taglia a fette, oggi ci sono i parenti e i genitori di Matteo Vinci, ed in particolare la mamma Rosaria Scarpulla e Francesco Antonio Vinci, parti offese del processo, rappresentate in giudizio dall'avvocato Giuseppe De Pace. Alla fine, la madre scoppia in un pianto liberatorio.
Il pm Andrea Mancuso aveva chiesto la condanna all'ergastolo (con isolamento diurno di 18 mesi) per Barbàra e Rosaria Mancuso, , mentre 20 anni di reclusione è la richiesta per Domenico Di Grillo e 12 anni per la figlia Lucia Di Grillo .
Nelle scorse udienze, la procura aveva riassunto il lavoro emerso durante il processo nato dall’indagine “Demetra” della Dda guidata da Nicola Gratteri, facendo leva sulle minacce, le tensioni fortissime, le violenze subite dai coniugi Vinci iniziate molto prima dell’esplosione. E non solo parole o lite tra vicini per i confini, ma anche un tentato omicidio ai danni di Francesco Vinci. Un piano costruito ed elaborato, che avrebbe avuto come ambientazione la forza e la determinazione mafiosa, e culminato il 9 aprile 2018: esplode una bomba, piazza dentro ad una macchina, che uccide Matteo Vinci.
Durante il processo sono stati analizzati a lungo i rapporti tra Antonio Criniti, Filippo De Marco e Vito Barbàra: i primi due sono indagati in un altro processo denominato “Demetra 2”, con l’accusa di essere gli esecutori materiali della bomba. A novembre scorso il Tribunale del Riesame di Catanzaro ha confermato la misura cautelare detentiva ma ha annullato ad entrambi due capi di imputazione: l'omicidio e l'estorsione.
Nel dibattimento hanno trovato spazio le difese degli imputati, convinti dell'estraneità dell'aggravate mafiosa e della lontananza dei loro clienti con le accuse, e in particolare quella più grave: l'omicidio.
Processo finito, adesso: la palla passa a pochi passi dal sesto piano del Tribunale. Dopo i 90 giorni per le motivazioni, le parti avranno la possibilità di presentare ricorso in Appello. E lì si aprirà un'altra partita.
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