Bruno Gemelli: “Mammazì, l’avimu patuta”

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  11 novembre 2024 08:43

di BRUNO GEMELLI

«Mammazì, l’avimu patuta» (“Madrezia, l’abbiamo avuto il nostro dolore”) disse Angelina Mauro, rivolgendosi ad una parente prima che fosse portata all’ospedale di Crotone, ferita a un rene dalla polizia. Lei, dopo due giorni di sofferenze, fu l’ultima dei tre popolani a morire, sparata dalla polizia qualche ora prima in contrada Fragalà del Comune di Melissa il 29 ottobre 1949. Le altre due vittime furono Giovanni Zito di appena 15 anni e Francesco Nigro di 29 anni. Quest’ultimo aveva la tessera del Movimento sociale italiano, mentre Zito, non avendo fatto il militare non possedeva neppure una foto, mentre Nigro, appare nell’unica foto disponibile vestito da marinaio; un segno dell’estrema povertà in cui viveva quella gente che appunto, per mancanza di soldi, faceva la prima foto sotto la naja.

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Comandati dal tenente Luciani della PS, che già aveva guidato la repressione bracciantile a Gravina di Puglia, arrivarono sul posto cento agenti della Celere di Bari inviati dal ministro degli Interni, il democristiano Mario Scelba, il quale era stato sollecitato ad intervenire dal proprietario del fondo occupato, Giulio Berlingeri, che, possedendo 14 mila ettari nel Marchesato, si sentiva minacciato dalla sollevazione dei braccianti. E lì accadde la disgrazia.

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L’eccidio. E dire che quei poveri diavoli, alcuni dei quali persino scalzi, avevano accolto i celerini al grido: “Viva la polizia del popolo!”, “Vogliamo pane e lavoro!”. Altro che Pasolini che, vent’anni dopo, avrebbe preso la difesa dei poliziotti figli del popolo! In quei contadini, molti dei quali analfabeti, c’era un profondo senso della democrazia e dello Stato. Sul terreno caddero tre morti. Si contarono anche quattordici feriti, colpiti (alcuni alle spalle) prima dalle bombe lacrimogene e poi dalle pallottole.

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Questi i loro nomi raccolti in parte sul posto e in parte all’ospedale di Crotone: Lucia Cannata, Domenico Bevilacqua, Luciano Iocca, Carmine Masino, Antonio Cannata, Giuseppe Ferrari, Silvio Rosati, Vincenzo Pandullo, Francesco Drago, Carmine Sirleti, Francesco Drago, Francesco Bossa, Carmine Tarlesi, Michele Drago, più uno di cui non si ebbero le generalità.

La polizia ebbe un solo ferito (da corpo contundente) e, quindi, cadde subito la tesi della rivolta violenta, anche se si tentò di corrompere qualche medico, creando poi una campagna mediatica, con gli scarsi mezzi del tempo, per accreditare appunto la tesi dell’assalto dei braccianti nei confronti delle forze dell’ordine che avevano sul posto quale informatore un maresciallo dei carabinieri (tale Brezzi).

I morti e i feriti furono portati in paese a dorso di mulo.

La colonna dei celerini, rientrando, ripiegò su Cirò Marina evitando di attraversare Melissa la cui popolazione fu presa da un moto di indignazione collettiva. Il prestigioso deputato Fausto Gullo, insieme ad altri dirigenti della sinistra di allora, si recò a Melissa il giorno dopo, ma la strada si fermava a qualche centinaio di metri dal paese offrendo così all’illustre deputato un senso di profonda tristezza dentro un quadro di estrema arretratezza.

Il governo dell’epoca cercò di mettere la sordina a quei fatti ma l’Avanti! e l’Unità, rispettivamente organi del Psi e del Pci, sollevarono un caso che indignò tutta l’Italia. La comunità internazionale fu informata dell’accaduto da un memorabile articolo di Le Monde che iniziava così: “Ce n’est pas le seul point noir de l’horizont” (Questo non è il solo punto nero dell’orizzonte).

Quelle vittime, consegnate ormai alla storia come i “Fatti di Melissa”, sono ancora vive nella mente di chi ricorda le vicende drammatiche del dopoguerra, l’occupazione delle terre da parte di un popolo affamato che guardava impotente l’immobilismo del latifondo. Era il 29 ottobre 1949.

Sono passati 75 anni. Ogni anno si cerca di celebrare, nei modi sobri e riservati che una parte intellettuale e una piccola comunità “osa” riproporre, il canonico anniversario ben sapendo che il ricordo si va via via affievolendo. Su quei fatti molto si è detto e scritto, moltissimo il racconto orale passato di generazione in generazione. Certo le biblioteche e le emeroteche sono sufficientemente coperte da volumi e ritagli di giornali, ma è parere diffuso che ci sarebbe ancora da scavare rispetto al contesto in cui si collocò il dramma e sui retroscena politici che l’accompagnarono in un clima di nascente guerra fredda tra i due blocchi.

Un approfondimento sarebbe potuto venire dai ricordi del senatore Pasquale Poerio che visse direttamente quegli avvenimenti (fu anche sindaco di Casabona e Isola Capo Rizzuto oltre che dirigente comunista e agitatore nell’”Alleanza contadina”), non perdendo un solo anniversario a Melissa. Egli non fece in tempo a scrivere le sue memorie perché raggiunto improvvisamente dalla morte alcuni anni fa.

Le giovani generazioni potranno forse agganciare quell’evento guardando i quadri di un affermato artista milanese, Ernesto Treccani, che si recò ripetutamente a Melissa, nell’immediatezza dei fatti e anche dopo, per dipingere e disegnare decine di oli, acquarelli, schizzi, tra cui la grande tela che campeggia nella sala consiliare del Municipio di Crotone. In Calabria ci sono tante strade dedicate a quella strage, è possibile che si facciano ancora tesi di laurea in qualche facoltà di lettere, ma il tragico evento è stato tirato fuori dall’oblio da due cineasti calabresi, Eugenio Attanasio e Giovanni Scarfò, che girarono tempo fa il film per “Melissa ‘49-‘99”.

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