Bruno Gualtieri: "Infrazioni europee senza fine, Calabria condannata a pagare per l'acqua che non arriva"

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Bruno Gualtieri

Almeno due anni per uscire dalle procedure UE, sei mesi basterebbero per le reti fognarie: ma nessuno muove un dito mentre i cittadini dovranno saldare il conto

  05 giugno 2025 16:43

di BRUNO GUALTIERI*

 

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Che in Calabria ci sia un'emergenza idrica non è una novità. Che questa emergenza si aggravi ogni anno, neppure. Ma ciò che colpisce — e indigna — è ancora la lentezza con cui si traducono in opere concrete gli investimenti già stanziati, pur in presenza di una situazione arcinota e ben documentata.

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Lo avevo già segnalato in articoli precedenti, come "Quando la politica corre e la burocrazia frena", dove denunciavo l'incapacità della macchina amministrativa di tenere il passo con la volontà politica. O ancora in "Verso un futuro sostenibile o un altro decennio di attese?", dove richiamavo l'urgenza di uscire da logiche emergenziali e attuare una vera riforma gestionale del sistema idrico regionale. Le stesse criticità sono state approfondite in "Calabria e depurazione: una battaglia da vincere, oggi", dove la frammentazione delle competenze e la paralisi decisionale venivano collegate direttamente al perpetuarsi delle infrazioni comunitarie.

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Questa denuncia oggi trova ulteriore riscontro nel documento n. 6 – aprile 2025 del Servizio Studi della Camera dei deputati, che fornisce un'analisi dettagliata del cosiddetto water service divide, ovvero del profondo squilibrio tra Nord e Sud nella gestione delle risorse idriche. In molte aree del Mezzogiorno si registrano perdite idriche superiori al 50%, reti colabrodo risalenti in gran parte a oltre trent'anni fa, e una capacità di investimento largamente insufficiente, aggravata dalla prevalenza di gestioni "in economia" scarsamente efficaci. Il Sud investe in media meno della metà del Nord per abitante, con punte minime di appena 11 euro pro capite. A questo si sommano frequenti irregolarità nell'erogazione, ampia sfiducia nell'acqua del rubinetto e una struttura frammentata del servizio che ostacola ogni tentativo di riforma. Un quadro che riflette non solo un problema infrastrutturale, ma un vero e proprio ritardo sistemico nella garanzia di un diritto essenziale.

In Calabria, a queste criticità si aggiunge una disfunzione specifica: la governance del Servizio Idrico Integrato è stata riorganizzata nel 2022 con l'istituzione di ARRICAL come Autorità unica, mentre Sorical S.p.A. è gestore unico. Tuttavia, come già osservato nella mia recente analisi sui quotidiani, il Dipartimento regionale Ambiente e Territorio continua ad agire come se detenesse ancora competenze gestionali. Questo atteggiamento genera un cortocircuito amministrativo che impedisce la stipula delle convenzioni necessarie tra ARRICAL e gli enti locali, in alternativa a Sorical — ancora in fase di riorganizzazione interna come società in house. E senza queste convenzioni, Sorical non può esercitare nemmeno il ruolo di supervisione tecnica previsto dalla normativa, né attuare concretamente alcuni degli interventi programmati.

Il Piano d'Ambito approvato da ARRICAL il 16 settembre 2024 contiene un articolato programma di interventi per la modernizzazione del sistema idrico integrato, coerente con le direttive europee e il principio del full cost recovery previsto dal Codice dell'Ambiente. Ma finché gli enti locali non vengono messi nelle condizioni operative di attuare tali interventi, e finché il Dipartimento continua a occupare spazi che non gli competono più, gli investimenti restano bloccati.

Non si comprende — o forse si comprende fin troppo bene — perché il Dipartimento continui a ostacolare il passaggio delle competenze necessarie per attuare interventi già finanziati. Forse perché troppo legato a quelli previsti dalla delibera CIPES n. 79/2021, che si sovrappongono ad altri più datati, generando un doppio stallo: opere non realizzate, fondi inutilizzati e nuove sanzioni europee che gravano sui cittadini. Oppure perché alcuni dei progetti inclusi in graduatoria grazie a quella deliberazione non trovano spazio nel Piano d'Ambito, che assegna le priorità seguendo criteri oggettivi come il carico generato. E se si andasse più a fondo, non si escluderebbe che alcuni interventi "fuorilegge" siano già stati progettati da soggetti in stretto rapporto con lo stesso Dipartimento. O forse, più semplicemente, si attende il momento giusto per rimescolare le carte e riportare in gioco, per vie traverse, ciò che era stato escluso dalle regole europee.

In questo scenario, resta sconcertante un altro aspetto troppo spesso taciuto: l'omesso avvio delle azioni necessarie a risolvere le infrazioni europee. Il dossier della Camera evidenzia come le non conformità degli agglomerati per la depurazione delle acque reflue si registrino in prevalenza nelle aree meridionali. A livello nazionale, nel 2022, ben 6,6 milioni di residenti non erano allacciati alla rete fognaria comunale. È possibile che nessuno si accorga che per uscire da una procedura d'infrazione — come quella in corso sulla depurazione — sono necessari almeno due anni di conformità dimostrabile? E che, nei casi più semplici, dove l'infrazione riguarda solo reti e collettori fognari, basterebbero sei mesi per ottenere l'archiviazione, purché si attivino subito i cantieri e si dimostri l'effettiva esecuzione degli interventi? Eppure, non si muove nulla. Né una comunicazione formale all'Unione Europea, né una azione attuativa concreta.

Nel frattempo, i cittadini calabresi pagano il prezzo più alto: servizi inadeguati, carenza d'acqua, frequenti interruzioni, sfiducia nell'acqua di rubinetto, mari inquinati, divieti di balneazione, danni al turismo e alla salute pubblica. Non è solo una questione ambientale, ma di sviluppo, di credibilità istituzionale, di civiltà.

Ma non perdiamo la speranza! Perché si sa: al peggio non c'è mai fine — e noi calabresi, con il cornetto rosso sempre in tasca e lo spirito saldo, continuiamo a incrociare le dita. Prima o poi, al Dipartimento Ambiente e Territorio si accorgeranno che manca ancora un tassello: la nomina del Dirigente del Ciclo Integrato delle Acque. E magari, con un pizzico di fortuna (o di coerenza), sceglieranno qualcuno che conosce davvero la materia. O forse no. Forse toccherà a chi ha già mostrato il meglio di sé distribuendo collaudi a pioggia agli amici degli amici, o a chi si è prodigato per sabotare, con zelo invidiabile, la redazione del Piano d'Ambito. Oppure, perché no, a chi ha orchestrato con puntiglio gli interventi della famigerata delibera CIPES n. 79/2021, la cui eredità, ancora oggi, genera più ostacoli che soluzioni.

Insomma, una nomina strategica, come si dice. Da essa dipende se continueremo a salutare i nostri figli alla stazione, valigia alla mano, destinazione Nord — come abbiamo fatto per decenni — o se finalmente potremo sperare in un futuro qui, nella nostra terra. Ma se anche stavolta dovesse prevalere l'usato sicuro dell'inconcludenza o, peggio ancora, del clientelismo, ci resterà solo un ultimo treno. Quello che parte senza ritorno.

Perché, diciamocelo con un sorriso amaro: in Calabria il futuro esiste. È solo che si ostina a restare virtuale. O mitologico. Come la chimera.

Il quadro, dunque, è chiaro. Tocca ora ai decisori politici e amministrativi cambiare passo, con atti concreti e immediati: avviare i cantieri, sbloccare le convenzioni, semplificare le procedure e garantire trasparenza. Solo così si potrà restituire fiducia ai cittadini e voltare pagina. Il Servizio Studi della Camera lo riassume in termini netti: "l'effettiva attuazione della riforma del SII è ostacolata da una governance ancora segmentata e dalla mancata chiarezza nei ruoli istituzionali, con particolare criticità nelle Regioni del Sud" (pag. 58 del dossier, citando il PNIISSI e il PNRR come tentativi di indirizzare risorse al Sud). L'ARERA (Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente) stessa, pur rilevando un miglioramento medio nazionale degli indicatori di qualità tecnica del servizio idrico tra il 2016 e il 2023, sottolinea che a ciò "non corrisponde una riduzione significativa delle ampie differenziazioni territoriali nei livelli di qualità dei servizi (water service divide)".

Serve un cambio di passo immediato. Serve responsabilità istituzionale, chiarezza nei ruoli, coraggio decisionale. Serve che ciascun attore faccia la propria parte, con trasparenza e rigore. Solo così la Calabria potrà recuperare il tempo perduto e guardare avanti. Dobbiamo liberare la gestione dell'acqua dalla palude burocratica e dagli interessi particolari.

Perché l'acqua è un bene vitale. Ma in Calabria, finché la politica correrà e la burocrazia continuerà a frenare o, peggio, a remare contro, resterà solo una promessa che non disseta nessuno.

(*) Già Commissario Straordinario dell'Autorità Rifiuti e Risorse Idriche della Calabria (ARRICAL)

 

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