Calabresi fuori sede. Daniele Armellino alla Santelli: "Abbiamo patito per non far patire. Ora abbiamo il diritto di tornare a casa"

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images Calabresi fuori sede. Daniele Armellino alla Santelli: "Abbiamo patito per non far patire. Ora abbiamo il diritto di tornare a casa"
Daniele Armellino
  30 aprile 2020 17:03

di DANIELE ARMELLINO

Il primo maggio di questo 2020 avrebbe dovuto segnare un momento importante della mia vita: il sessantesimo giorno dall’inizio del mio nuovo lavoro. Un lavoro precario, intendiamoci, tuttavia dignitoso e potenzialmente stimolante per me, che sono uno storico dell’età contemporanea. Avrei dovuto infatti prendere servizio in un’istituzione museale romana.

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Le cose però si sono evolute diversamente da quelle che erano le previsioni iniziali, per me così come per tanti altri lavoratori e studenti fuorisede. Essendo giunto tra noi il CoViD-19, la scelta che mi si poneva dinnanzi era tra due opzioni: rimanere a Roma e affrontare il lockdown lontano da casa oppure scendere, tornare a Vibo, sperando di non portare con me il virus.

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Decisi di rimanere a Roma, momentaneamente disoccupato, senza uno scopo e con un trasloco da fare. Certo, permaneva forte in me quel desiderio, quella spinta, quella flebile ma accecante speranza di tornare giù nonostante tutti i divieti governativi, e di sfangarla, riuscendo a evitare di un soffio la tempesta e potendo stare comodo e tranquillo a casa di Mamma e Papà.

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Tuttavia, mi sforzai di reprimere in me quella speranza, quel pericoloso tarlo, ripetendo la massima secondo la quale chi di speranza vive, disperato muore! E in questo caso rischiava di far morire anche gli altri! Ecco, ritengo che a bloccarmi fu la paura di provocare sofferenza e morte, non altro. La paura di contribuire con le mie mani, col mio respiro alla distruzione di ciò che ho di più caro: la mia famiglia, i miei amici, la mia Città. Senso di responsabilità.

Paura e senso di responsabilità che non tutti hanno condiviso con me. Sono state decine di migliaia le persone che, tra la fine di febbraio e la prima metà di marzo, hanno pensato bene di far vela a Sud, di sperare per sé sottraendo salute e magari anche la vita agli altri. Che fossero miei amici o semplici conoscenti, che fossero a me sconosciuti, che fossero calabresi o in generale meridionali, queste persone hanno fatto prevalere il loro interesse personale e le loro esigenze rispetto all’interesse, alle esigenze, al bene della Comunità.

Vediamo di chiarirci: ci sono stati uomini, donne che hanno avuto davvero la necessità, l’urgenza di scendere, che hanno avuto certamente validi e seri motivi per prendere una decisione così controversa; sarebbe sciocco da parte mia fare di tutta l’erba un fascio oppure voler utilizzare questa lettera per imbastire una polemica sterile e inutile contro noti o ignoti.
Nondimeno, le cose sono andate così. Per queste ragioni, essendo ormai agli sgoccioli della famosa fase 1, dopo sessanta giorni di quarantena, vorrei che fosse permesso a tutti noi, che abbiamo rispettato la Legge, che abbiamo
scelto di mettere al primo posto il bene della Comunità, che abbiamo fatto sacrifici enormi pur non avendo la possibilità di lavorare o studiare, vorrei che a tutti noi fosse permesso adesso di scendere giù. E di poterlo fare in sicurezza, senza dover ricorrere a sotterfugi, furbizie, senza pericoli per noi e per gli altri.

Abbiamo il diritto di tornare a casa, di poter riabbracciare (da lontano!) i nostri genitori, i nostri congiunti, i nostri cari, di poter tornare a vivere le nostre città. NOI ce lo siamo guadagnato questo diritto! Lo abbiamo pagato a caro prezzo!
Un prezzo non soltanto economico, ma anche psicologico. Questo diritto ce lo siamo guadagnato perché prima abbiamo compiuto il nostro dovere di cittadini. Anche perché qui si rischia, ancora una volta, di avvalorare la tesi secondo la quale vanno avanti soltanto i furbi, vanno avanti soltanto i dritti, a scapito di chi rispetta regole e leggi.

Io chiedo, senza rancore e senza volontà polemica, chiedo alla Presidente Santelli, alla Giunta e al Consiglio regionali di prendersi cura di noi, figli che abbiamo patito per non far patire. Anche perché non ci potrà essere cambiamento se non daremo prova adesso di poter cambiare mentalità, di volerlo fare. Lo chiedo senza pretendere, lo chiedo perché ne ho diritto.

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