di FRANCO CIMINO
Una delle questioni morali che attengono alla qualità della Politica in Italia e che rappresenta, in qualche modo, una sorta di spirito maligno della corruzione, è la lottizzazione. Essa c’è sempre stata. A volte in forma eccessiva da essere compresa fra le istituzioni non formali, ma più attive di quelle democratiche. Uso il termine democratiche per distinguerle, e differenziarle, più fortemente, considerando che ogni atto di potere incontrollato dalla gente o esercitato al di fuori delle regole, è appunto antidemocratico. Chi ha più anni sulle spalle, ricorderà che la lottizzazione è stata, nelle cosiddette prima e seconda Repubblica( siamo alla terza?), un male cronico della nostra Democrazia. Io c’ero e ne sono testimone. Brutta cosa, quella di ieri. Assai più brutta è quella odierna. Lo è per le differenze di cui dirò qui. Lo è per l’inganno esercitato da chi è andato al potere, con altri dal potere provenendo, promettendo agli elettori, come prima atto riformare, un cambiamento radicale ( i Cinque Stelle ci avevano provato sullo stesso tema poco prima) della condotta morale nell’agire politico e nella cultura e nei metodi di utilizzo del potere.
La differenza: nella lunga fase politica passata, che per gli anni sulla nuova sta per essere eguagliata nella durata( di questa cosiddetta nuova, son già trent’anni), la lottizzazione riguardava i posti di potere e, tramite questi, i progetti e le opere pubbliche. Quelle che sono state alimento della grande corruzione fatta passare, come se la qualità cambiasse, per necessità di finanziamento dei partiti. Questa lottizzazione evidentemente è stata pesante e grave, avendo agito duramente sul processo di indebolimento delle istituzioni e di peggioramento della qualità, anche intellettuale, della classe dirigente. La lottizzazione del “nuovismo” è, invece, più grave perché assomma alla precedente un’altra più deleteria ancora. La spartizione cioè delle leggi più significative e più emblematiche della vera strategia politica, questa sì segreta, di stravolgimento dell’assetto democratico del Paese e dello spirito della Costituzione che l’alimenta. L’ultima lottizzazione riguarda tre aspetti fondamentali della struttura dello Stato e delle funzioni di suoi gangli vitali. Si trovano nelle tre leggi appena approvate dal Parlamento. “Una legge a me, una legge a te, una legge a lui, e siam accontentati tutt’e tre. Vedi che bello è?” Ne farei una filastrocca per i bambini, che capiranno meglio ciò che noi non abbiamo capito affatto. Anche perché, dormendo sull’indifferenza o soffocando sotto i problemi più urgenti, delle questioni politiche vere, noi cittadini non ce ne occupiamo. E chiamiamole pure riforme.
Riforma uno, l’Autonomia differenziata, completamento di un antico disegno scissionista, targato Lega, da una scempiaggine di vent’anni fa firmata “ centrosinistra”, per dirla con gentilezza. Riforma due, la cosiddetta “premierato”, punto fermo ed iniziale dell’idea di Stato della Destra classica e di quella nuova dalla prima partorita. Per dirla semplice, legge voluta da Fratelli d’Italia. Riforma tre, arrivata per ultima a garanzia delle due precedenti. È la legge, corredata da altre più piccole apparentemente, che ha cancellato il reato di abuso d’ufficio. Questa è assegnata dalla logica spartitoria a Forza Italia, in onore di Silvio Berlusconi che l’aveva presa come un chiodo fisso. Una sorta di rivincita nei confronti dei suoi “ nemici” storici, i magistrati. Ovvero, una gran parte di questi, come egli stesso furbamente correggeva. Delle due riforme abbiamo detto in altre due occasioni. Di quest’ultima dico solo di due preoccupazioni, a fronte delle grida di giubilo di quanti trasversalmente tra le forze politiche, di maggioranza e di “ opposizione”, ne hanno gioito. Ad aiutarli in questo pensiero negativo e “ nell’incolpazione” della Magistratura, si sono impegnati, e non poco, costruendo un giudizio negativo verso la Giurisdizione, pure quei magistrati che hanno sbagliato pesantemente nell’esercizio della loro funzione. E anche le carcerazioni sbagliate, quelle “ preventive” lunghissime e i ritardi inconcepibili nella celebrazione dei processi, non sempre per colpa della Giurisdizione. Detto questo, considero un errore la cancellazione del reato di abuso d’ufficio. Avvenuta, tra l’altro, a colpi pesanti di maggioranza, pure trasversalmente allargata.
L’abuso d’ufficio non è un reato generico, di incerta natura, dai meccanismi complessi, dalla interpretazione difficile, dalla logica contraddittoria e dall’applicazione impossibile. Non è una cosetta da nulla, una “briga” tra comare, che non finisce mai. Non è una contorsione mentale da azzeccagarbugli che appesantisce i ritardi della Giustizia e le fatiche dei funzionari prima che dei giudici che devono giudicare gli indagati inizialmente e gli imputati successivamente. Il fatto che su migliaia di procedimenti solo pochi amministratori vengano condannati, non è una dirimente negativa, piuttosto il contrario. Ovvero, la spia luminosa che, come per altri processi più pesanti, qualcosa non vada nel lungo percorso che l’accertamento di un reato compie per giungere alla verità della Giustizia. Non occorre essere un giurista, di studi o di professione, per capirlo. Basta leggere l’articolo di riferimento, a mio avviso( di semplice prof di ben altre discipline), tra i più chiari e leggibili. È sbagliata l’abolizione di quella legge proprio perché, nascondendo un intento squisitamente ideologico e non solo, il termine che viene pubblicamente usato è cancellazione. Ciò fa chiaramente intendere che più precisamente si tratti non della norma formale, ma del reato sostanziale. Si stabilisce, cioè, per via strettamente politica e ideologica, che alcuni comportamenti non siano più delittuosi, che compiere quell’atto non sia più un reato. E siccome la questione sollevata dalla politica riguarda i politici, segnatamente coloro i quali detengono un certo non ridotto potere (gli amministratori degli enti locali), l’impressione che se ne ricava è cha la politica invece di contrastare la corruzione o l’errore colpevole in danno della Pubblica Amministrazione, li alimenti legittimandoli come atti leciti.
Durante questo contraddittorio trentennio, questa logica ha preso corpo in coloro i quali hanno teorizzato due cose. La prima, chi vince le elezioni prende tutto, come nella partita a carta con l’asso. La seconda, che se quella data legge impedisce a chi comanda un troppo libero e troppo leggero esercizio del proprio mandato, basterà cambiarla. Tanto gli obbedienti parlamentari sono quelli che con questa legge elettorale, che, guarda caso, non si vuol cambiare, nominati e riconfermabili dai padroni dei falsi partiti. È già avvenuto, se ricorderete, con il falso in bilancio ed altri reati, cosiddetti minori, che qui non elenco. Succederà ancora con leggi riguardanti temi molto sensibili, molti dei quali sono sospesi nel “ dibattito” politico odierno. La Costituzione, che finora le ha blindate, sarà cambiata con lo stesso giochetto di quella logica della maggioranza di cui ha magistralmente detto Sergio Mattarella, il Presidente, il garante della Carta fondamentale.
L’altro errore sospetto è che non mai rassicurante il gesto, pur se parlamentare, della “ cancellazione” di una legge e della sostanza che ne tratta, senza un’altra che immediatamente la sostituisca, rimuovendo magari quei punti di criticità sui quali il Parlamento nella quasi sua interezza concorderebbe. Infine, l’errore dal sospetto più pericoloso. Quest’ultima “trionfale” decisione parlamentare sta procedendo, a pizzichi e a mozzichi, nell’opera lungamente pensata, di ridimensionamento del ruolo, modificandone la funzione, della Magistratura. Che avvenga, tra poco con i colpi finali, per spirito di vendetta, per la promessa fatta a chi questo percorso ha iniziato, o per cautelare i politici più leggeri e liberarli tutti nel libero utilizzo del potere, che avvenga per concezioni ideologiche di tipo autoritario o per supportare il nuovo ipotizzato assetto del potere di governo, il fatto certo è che sarà gravemente compromesso il principio costituzionale su cui si regge l’impalcatura dello Stato democratico. È la divisione dei tre “ poteri”, impropriamente detti.
Lo ricordo a me stesso, il potere politico, che è del Parlamento, il potere esecutivo, che è del Governo, e quello giudiziario, che è della Magistratura. Ridurre quest’ultima a soggetto di condizionata autonomia quando non dipendente, in qualche modo, dal potere esecutivo, è attentato alla Costituzione, per la costruzione sempre più visibile di un nuovo sistema politico più che tendenzialmente autoritario. Si chiamerà con il neologismo più brutto, democratura” o democrazia illiberale o in altro modo egualmente antipatico, poco importa. Importa molto che la nostra Costituzione, la più bella del mondo per la Democrazia più autentica del mondo, venga“ cancellata”. Non trovare autentiche opposizioni a questo progetto inquieta più delle intenzioni dei promotori.
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