Caporalato e agromafie. Lo studio empirico sulla comunità sikh pontina del prof. Marco Omizzolo

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Marco Omizzolo

Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, lo ha fatto infiltrandosi tra i braccianti indiani, sotto caporale indiano e padrone italiano e seguendo per diversi mesi un trafficante di esseri umani indiano in Punjab

  07 luglio 2020 17:25

di DILETTA AURORA DELLA ROCCA  

Il caporalato ha origini antiche e tanti sono gli interrogativi che gravitano intorno a questo argomento. Da Nord a Sud dello stivale, le cronache ci riportano un dato drammatico e in continua crescita, quello dello sfruttamento illegale della manodopera italiana e straniera. Parliamo di un fenomeno che nel tempo si è modificato e ha visto differenti forme di sfruttamento adeguarsi alla natura della globalizzazione economica e alle relative ideologie d'ispirazione a partire dalla riformulazione del relativo mercato del lavoro e delle norme e prassi nazionali e internazionali che lo governano sia sul piano formale che informale.

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Un fenomeno sociale e antropologico che oggi è materia di studio e approfondimento da parte di istituti di ricerca come Eurispes, organizzazioni internazionali come Amnesty, università e anche le Nazioni Unite.

Marco Omizzolo, è autore di numerosi saggi e ricerche nazionali ed internazionali, in particolare sullo sfruttamento in agricoltura dei lavoratori stranieri. Sociologo, giornalista e ricercatore Eurispes, presidente della coop. In Migrazione e di Tempi Moderni, si occupa di studi e ricerche sui servizi sociali, sulle migrazioni e sulla criminalità organizzata. 

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Ha studiato da vicino il caporalato, in particolare nella zona dell’Agri Pontino, suo territorio di vita e di lavoro. Si è finto bracciante tra i Sikh lavorando con i Punjabi e ha potuto quindi osservare la vita delle comunità indiane, arrivando a scoprire che dietro questo sfruttamento lavorativo vi è un giro di tratta internazionale di esseri umani.

Nel dicembre 2018 ha ricevuto l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana: “Per la sua coraggiosa opera in difesa della legalità attraverso il contrasto al fenomeno del caporalato”. 

Prof. Omizzolo, il Caporalato ha origini storiche antiche ed è un fenomeno diffuso e capillare soprattutto al Sud. Perché oggi lo sfruttamento lavorativo è quasi un “male” necessario?

“Nel corso degli ultimi venti anni, abbiamo riformulato le regole fondamentali che caratterizzano il mercato del lavoro in Italia, in occidente e più in generale nel mondo, nella direzione di agevolare espressioni capitalistiche neoliberiste che hanno di fatto cancellato diritti, soprattutto in capo ai più fragili e ai più deboli, determinando processi di sfruttamento che sono diventati addirittura ufficiali. Abbiamo sempre più una classe lavoratrice che non ha la possibilità di emanciparsi da condizioni di sfruttamento e disagio, sulle quali pesa poi un sistema di sviluppo che produce anche criminalità organizzata. Ricordo che, secondo l’Eurispes e solo in agricoltura, le agromafie sviluppano un business annuale di circa 25 miliardi di euro. La nostra finanziaria è di circa 30 miliardi euro, questo ci fa capire quanto il fenomeno sia diffuso, capillare e sistemico, come denunciamo da anni, e comprende forme di grave sfruttamento lavorativo nel sud come nel resto dell’Italia e in altri paesi europei. Ci sono circa 110- 130 mila persone, ogni anno e solo in agricoltura, che vivono condizioni para schiavistiche. Questo lo sostiene non solo la Flai Cgil, ma anche l’università italiana con le sue ricerche, addirittura le Nazioni Unite e in particolar modo l’Alto Commissariato sulle Nuove Forme di Schiavitù che proprio un mese e mezzo fa circa, a Ginevra, ha presentato uno studio internazionale durato tre anni, che ha denunciato in Italia nuove e gravissime forme di sfruttamento lavorativo e schiavitù, focalizzando il tema anche sull’Agro Pontino, territorio poco fuori Roma.”

In quanto sociologo e ricercatore, segue da anni il fenomeno dei braccianti nell’Agro Pontino: ha descritto la rete dei caporali, raccontato le condizioni di vita, i problemi di salute e lo stato delle abitazioni di questi lavoratori. Cosa le ha lasciato questa esperienza sul campo?

“L’Agro Pontino è il mio territorio sia di vita che di impegno e di analisi. Mi sono infiltrato come bracciante nelle campagne pontine, dove ho lavorato sotto caporale indiano e sotto padrone italiano per tre mesi d’estate, per osservare, capire e studiare tridimensionalmente cosa significa lavorare sotto caporale essendo straniero, quindi fragile, in un sistema così determinato. Ho trovato condizioni terribili e di grave sfruttamento. Ho seguito anche un trafficante di esseri umani in India, per capire come funziona la tratta internazionale a scopo di sfruttamento lavorativo. Questa esperienza da osservatore partecipato, l’ho replicata nell’estate 2019, cercando di comprendere e di studiare gli effetti sui corpi e sull’ambiente delle agromafie, esperienza ancora più difficile, che ha portato ad analizzare e denunciare l’utilizzo di fitofarmaci clandestini, tossici e cancerogeni che hanno particolare peso e che producono gravissime conseguenze sulla salute dei lavoratori e nel territorio".

Una forma di sfruttamento caporale è quella delle nuove cooperative e delle agenzie interinali che permettono ai braccianti, soprattutto donne, di lavorare per molte ore a pochi euro sotto il sole rovente. Questa non è una vera e propria disumanizzazione?

“Assolutamente sì. Però è una forma di disumanizzazione che ha radici profonde e molto solide. La disumanizzazione è un processo che storicamente in occidente, ha conosciuto come sua espressione massima il nazismo e fascismo, regimi totalitari, ma parte dall’indifferenza che definisco strumentale da parte della cittadinanza nei confronti di queste persone fragili e deboli, identificati come braccia utili all’agricoltura, spalle da piegare su cui erigere castelli economici e di potere politico straordinario, da non considerare e da non ascoltare. Il processo di disumanizzazione strappa identità alle persone, riconoscendogli solo la loro funzione produttiva. E questo vale nelle nostre campagne, negli uffici, nel commercio e nel dettaglio. È un fenomeno molto ampio. L’Inps ci dice che il 30 % degli Italiani neo assunti, vive in condizioni di povertà. Ecco la povertà lavorativa è l’anticamera di un processo di disumanizzazione in cui non puoi costruire il tuo legittimo futuro e progetto di vita perché, pur lavorando, vive condizioni di marginalità”.

Possiamo sostenere che esistono differenze sostanziali tra il caporalato del passato e quello attuale, che risente anche del fenomeno della globalizzazione?

“Il Caporalato è sempre esistito ma chiaramente si è adattato alle variabili del tempo, quindi al tempo in cui questo si manifestava. In passato aveva certe forme era legato prevalentemente ad una organizzazione latifondista delle nostre campagne e a settori specifici, soprattutto edilizia e agricoltura, che aveva ad oggetto l’italiano che viveva in condizioni di sottoproletariato o proletariato periferico. Oggi il fenomeno è diverso, perché in primo luogo sistemico, secondo luogo perché prettamente industriale e non più latifondista, in terzo luogo perché abbraccia migranti pur conservando delle quote non irrilevanti di italiani. L’80 % di quelle 130 mila persone che in agricoltura vivono un grave sfruttamento lavorativo para schiavistiche sono migranti, il 20 % italiani. Inoltre, tutto questo è legato ad una dimensione sistemica sempre più legale, mentre prima il caporalato era solo circoscritto ad alcune aree e settori, oggi lo troviamo in Sicilia, Lazio, Puglia Toscana, Emilia, Trentino, ma anche in Inghilterra, Spagna e così via. Questo significa che il mercato del lavoro si è ristrutturato seguendo una riorganizzazione del caporalato. Adottando questo modello e non contrastandolo”.

 Oggi i dati che ritroviamo sul caporalato e in particolare sullo sfruttamento lavorativo, sono davvero in forte crescita e non solo nel campo agricolo. Questo problema è stato forse sottovalutato per troppi anni?

“Più che sottovaluto è stato organizzato con consapevolezza dallo Stato. Lo Stato ha adottato politiche del lavoro che sono andate solo verso una direzione e parallelamente ha cancellato politiche di welfare, sociale, di emancipazione e di integrazione culturale che invece andavano nella direzione di organizzare ed incentivare i processi di emancipazione di lavoratori e lavoratrici. Quindi noi abbiamo una riorganizzazione del lavoro e dei suoi rapporti che è espressione non di una volontà politica incapace, ma di una volontà politica che nel corso del tempo è stata capace e ha voluto riorganizzare il mercato del lavoro in base a questa modalità. Oggi il bracciante che lavora tanti anni spezzandosi la schiena, spesso sviluppando patologie particolari e cancerogene, sa che contrariamente al passato, non può godere di tutele particolari e della pensione. Comprende bene che quel sistema è sostanzialmente vincolato quindi sa di non poter passare dalla condizione di bracciante a quella di operaio o impiegato, ma in qualche modo è vincolato lì e lì deve restare. Questo è parte di quel processo di disumanizzazione di cui parlavamo prima”.

 Caporalato ed agromafie: quanto incide la criminalità organizzata sulla produzione agricola?

Proprio recentemente con la Prof.ssa Fanizzi abbiamo pubblicato in Inglese una ricerca che ha ad oggetto i grandi mercati ortofrutticoli in Italia, la logistica e la grande distribuzione (Caporalato. An authentic Agromafia). È evidente che, sebbene la grande distribuzione organizzata va distinta dalle organizzazioni mafiose, ha però un ruolo ben determinante perché spesso condiziona la politica dei prezzi e quindi la catena dei valori. Se noi acquistiamo nei supermercati una passata di pomodoro a 0,30 cent, quel prezzo è frutto di una politica governata prevalentemente dalla Grande Distribuzione, che produce come risultato finale un prodotto accessibile a tutti, molto probabilmente di scarsa qualità e realizzato attraverso lo sfruttamento dell’ambiente e dei lavoratori e la cancellazione dei diritti fondamentali. La Gd oggi, lavora e ragiona attraverso le doppie aste al massimo ribasso, per cui obbliga agricoltori, contadini, imprese a piazzare i loro prodotti agricoli attraverso aste online che vengono ripetute due volte ai prezzi più bassi possibili, strozzando la catena del profitto e imponendo conseguentemente a quelle aziende, di scaricare il costo di questo meccanismo che è di fatto una rapina sul costo del lavoro e quindi c’è l’induzione a pagare appena 2 euro l’ora il bracciante per produrre la passata di pomodoro che noi paghiamo pochi centesimi a barattolo. Questo è un sistema molto grave su cui le istituzioni stanno facendo ancora poco, c’è una proposta di legge votata alla Camera dei Deputati con parere favorevole ma ancora non approdata al Senato della Repubblica, che punta proprio a cancellare queste doppie aste al ribasso. C’è anche un altro tema che è quello della logistica, i condizionamenti della criminalità nei grandi mercati ortofrutticoli come Fondi, Vittoria, Milano, dove sentenze passate in giudicato riconoscono il condizionamento forte di ‘ndrine come quelle di Piromalli, Casalesi, Corleonesi, i sistemi criminali di Vittoria.  Tutto questo inquina la nostra produzione agricola e conseguentemente anche il Made in Italy”.

 Proviamo a fare una analisi ragionata: secondo lei, quali potrebbero essere le misure più adatte da mettere in campo per arginare il fenomeno del caporalato in Agricoltura?

“Credo che le proposte siano tante. Parto dall’ultima che ho citato, la cancellazione e il divieto delle doppie aste al massimo ribasso, ma anche una modifica sostanziale delle leggi sull’immigrazione come ad esempio il superamento del sistema quote, il riconoscimento di tutele effettive di tutti quegli uomini e donne, italiani e migranti, che denunciano i caporali, trafficanti, mafiosi e padroni. Penso ad un welfare territoriale rinnovato, in maniera tale da concedere strumenti concreti a tutti i lavoratori per riconoscere i loro diritti con un sistema di controlli più evoluti. Strumenti di premialità nei confronti di coloro che decidono di denunciare frontalmente le agromafie, compresi gli imprenditori strozzati dalle agromafie stesse che praticano altre agricolture. Poi possiamo scendere ancora più nel dettaglio e immaginare sistemi di cooperazione internazionale, in maniera tale da superare e contrastare la tratta internazionale a scopo di sfruttamento lavorativo, intervenendo direttamente nei paesi di origini e processi più celeri per quanto riguarda il caporalato in relazione alla legge n.199/2016. Le misure sono tante e vanno valutate a seconda dei territori, ma è importante aprire una finestra con le parti politiche. Il Ministero dell’Agricoltura e Ministero dell’Interno hanno aperto un tavolo inter ministeriale, nel quale sono presente anche io e in cui farò le mie proposte, ma è richiesto grande slancio e uno sforzo di volontà politica”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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