di EDOARDO CORASANITI
Non bastano le note di protesta, la solidarietà della politica e le manifestazioni unitarie dei sindacati di tre mesi fa. La violenza ritorna nel carcere di Catanzaro: lunedì scorso due agenti della Polizia penitenziaria sono stati aggrediti da un detenuto dell'istituto penitenziario del capoluogo. L'episodio si è materializzato nel reparto Media-Sicurezza, uno dei più "caldi" e difficili dell'intera struttura. A finire in ospedale due agenti: uno è stato schiaffeggiato, l'altro si è beccato una testata. I medici del Pronto soccorso gli hanno riconosciuto una prognosi di sette giorni.
L'aggressione di due giorni fa rimette in circolo la memoria su quanto accaduto ad inizio febbraio, quando alcuni tra i detenuti dell'istituto penitenziario "Ugo Caridi" di Catanzaro (circa 50) hanno occupato un intero piano del carcere e quattro uomini della Polizia penitenziaria sono rimasti contusi. A far scattare il parapiglia un detenuto con problemi psichiatrici già riconosciuti.
Immediata la reazione solidale di partiti e politici, un fuoco di paglia. I sindacati SAPPe, OSAPP, UILPA, SINAPPe, FNS, CISL USPP, CGIL, CNPP hanno manifestato davanti al carcere per chiedere maggiori tutele per i 335 membri della penitenziaria che devono rapportarsi con i 660 detenuti tutti i giorni. il grande tema è la gestione dei reclusi con problemi di natura psichiatrica, circa 80 su 7 posti disponibili. Con la chiusura degli OPG (ospedali psichiatrici giudiziari), sono state istituite le REMS (residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza), ma i posti non sono sufficienti e, spesso, anche gli internati (coloro che dovrebbero essere sottoposti a misure di sicurezza) continuano a restare in carcere. Il sistema sanitario nazionale non se occupa e così vengono lasciati alle cure degli agenti che molte volte non hanno una preparazione sanitaria idonea. Mentre i medici competenti sono pochissimi e non possono coprire l'intero arco temporale della giornata.
Il carcere di Catanzaro non soffre di sovraffollamento. Seguendo le tabelle del ministero, su 685 posti a disposizione gli ospiti sono 665. In pesante carenza sono gli agenti di polizia penitenziaria: su 470 uomini ne lavorano solo 336. Un altro ruolo fondamentale sarebbe ricoperto dagli educatori. Su 9, se ne contano 5. Questo (a livello nazionale e non solo a Catanzaro) incide pesantemente sulle possibilità di intraprendere percorsi virtuosi per i detenuti, spesso lasciati nelle celle per ore e ore, senza alcun progetto di riabilitazione. Una responsabilità che non ha un nome, ma è sintomatico di un meccanismo nazionale carcerario ormai inadatto. E poi accade quello le cronache si sforzano a raccontare: nel 2021 a Catanzaro il taccuino segna 507 casi di autolesionismo, 3 decessi per cause naturali, 1 suicidio (54 in Italia), 25 tentativi di suicidio,142 colluttazioni, 14 ferimenti. Un disastro, dipinto sulla tela del sistema 'carcerocentrico' italiano, fatto di punizioni e vendette, di sbarre e violenza. La misura è colma, e prima o poi bisognerà intervenire per ridurre drasticamente la popolazione carceraria, a partire da chi soggiorna in carcere senza una sentenza definitiva o per reati minori. Per offrire un percorso riabilitativo ai detenuti e per garantire una vita normale agli agenti della Polizia penitenziaria, una categoria professionale che in dieci anni ha registrato 78 suicidi.
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