"In data 18.04.2023 si è svolta dinanzi alla Corte Costituzionale l’udienza inerente alla questione di legittimità costituzionale, sollevata dalla Corte d’Assise di Appello di Torino, dell’art. 69, c. 4, c.p. (concorso di circostanze aggravanti ed attenuanti), nella parte in cui, relativamente al delitto punito ex art. 285 c.p. (devastazione, saccheggio e strage, cd. “politica”), prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 311 c.p. (lieve entità del fatto) sulla recidiva di cui all’art. 99, c. 4, c.p. (recidiva reiterata).
Nel comunicato stampa pubblicato dalla Corte, che anticipa il contenuto della sentenza, si legge come “in continuità con i suoi numerosi e conformi precedenti sulla disposizione censurata, la Corte ha ritenuto tale norma costituzionalmente illegittima nella parte in cui vieta al giudice di considerare eventuali circostanze attenuanti come prevalenti sulla circostanza aggravante della recidiva di cui all’art. 99, c. 4, c.p., nei casi in cui il reato è punito con la pena edittale dell’ergastolo.
Secondo la Corte, il carattere fisso della pena dell’ergastolo esige che il giudice possa operare l’ordinario bilanciamento tra circostanze aggravanti e attenuanti previsto dai primi tre commi dello stesso art. 69.
Conseguentemente, il giudice dovrà valutare, caso per caso, se applicare la pena dell’ergastolo oppure, laddove reputi prevalenti le attenuanti, una diversa pena detentiva.”
Dunque, in virtù di tale statuizione, il giudice di merito, all’esito di una valutazione da espletarsi caso per caso, nei casi in cui il reato è punito con la pena dell’ergastolo, dovrà effettuare il cd. giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti senza il vincolo di esclusione dallo stesso della recidiva reiterata, giudicato incostituzionale.
La decisione, che in taluni casi ha suscitato grande stupore, era ampiamente prevedibile – così dichiara il Circolo Giuristi Universitari (C.G.U) dell’Università degli Studi “Magna Graecia” di Catanzaro.
Infatti, come dichiarato dalla stessa Corte Costituzionale nel comunicato stampa in commento, diversi e numerosi sono i precedenti di incostituzionalità che hanno investito la disciplina della recidiva, che di seguito, per completezza informativa, sono sinteticamente riportati per estremi: la sentenza n. 251 del 2012; la sentenza n. 105 del 2014; la sentenza n. 106 del 2014; la sentenza n. 74 del 2016; la sentenza n. 205 del 2017; la sentenza n. 73 del 2020; la sentenza n. 55 del 2021; infine, la sentenza n. 143 del 2021.
Dalla disamina di quanto esposto, si desume come, secondo l’orientamento della Corte Costituzionale, la recidiva, anche reiterata, debba necessariamente essere sottoposta al bilanciamento tra circostanze (aggravanti ed attenuanti), in particolare nei casi in cui la pena sia prevista in misura fissa (come, ad es., l’ergastolo), ovvero sia compresa in una cornice edittale comunque molto severa (come nel caso del sequestro di persona a scopo di estorsione, punito con la reclusione da 25 a 30 anni, caso oggetto della già menzionata sentenza n. 143 del 2021).
Pur disponendo, allo stato, del solo comunicato stampa e non anche delle motivazioni per esteso – continua il C.G.U. - è ragionevole prevedere che, anche il tale circostanza, la Corte abbia inteso valorizzare quanto già espresso nelle precedenti pronunce: e, per tale ragione, un concreto studio dei precedenti giudizi non poteva che portare alla prevedibilità della decisione in commento.
Ciò in quanto appare ormai chiaro come l’orientamento della Corte Costituzionale tenda a valorizzare, e consolidare, il principio della necessaria proporzione della pena rispetto all’offensività del fatto, che risulterebbe vanificato da una “abnorme enfatizzazione” della recidiva, indice di rimproverabilità e pericolosità, rilevante sul piano strettamente soggettivo.
Dunque, quanto disposto dal quarto comma dell’art. 69 c.p. si pone in aperto conflitto con il principio di offensività del precetto penale che, secondo costante giurisprudenza costituzionale, impone all’interprete una valutazione organica e completa dell’azione delittuosa e di chi l’ha commessa, da estendersi anche alla considerazione dell’obiettivo disvalore della condotta e non limitata all’esclusivo accertamento della pericolosità sociale del reo.
In sintesi, è ragionevole ritenere che, anche nel cd. “caso Cospito”, le motivazioni della pronuncia del Giudice delle Leggi seguiranno il suesposto orientamento ".
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