Riceviamo e pubblichiamo la testimonianza dell'ex gestore del lido Jonio a Catanzaro.
"Sono nato tra i tavoli di un ristorante, con l’odore di detergente addosso quando facevo il lavapiatti e la schiena dritta del cameriere che impara a tenere il vassoio e l’autostima insieme. Nel 2010 mi hanno affidato lo Stella Maris con una srl unipersonale: il primo traguardo che non ho ereditato, ma conquistato. Nel 2015 ho accettato la proposta di prendere in fitto d’azienda lo stabilimento balneare “Lo Jonio”. Non una rendita, non un “già avviato”: un foglio bianco su cui misurare se ero all’altezza del cognome che porto e della “scuola” severa di mio padre e mia madre, ristoratori veri.
La procedura è quella che conoscono tutti quelli che fanno impresa sul demanio: l’ex concessionario chiede l’autorizzazione all’Ufficio Patrimonio/Provveditorato/Demanio del Comune; parte l’istruttoria, gli endo-procedimenti che scandagliano pagamenti, SUAP, urbanistica, conformità e pendenze; si mette in fila la SCIA con planimetrie e firme. Il riferimento tecnico è l’art. 45-bis del Codice della Navigazione: un atto pubblico che legittima la gestione da parte di un soggetto diverso dal concessionario. Carte in ordine, regole rispettate, stagione dopo stagione a spaccare giornate tra albe, maestrale e contabilità.
Poi sono arrivati gli incendi. Non una volta. E a quel punto ho imparato un’altra legge, non scritta: a Catanzaro è più rapida l’accusa della verifica. Bastava dire “è lui” perché il fumo diventasse colpa, e la colpa, verità. Io, mia moglie, la mia famiglia trasformati in bersaglio editoriale: titoli, soprannomi, insinuazioni. Ho letto il mio nome dove non meritava d’essere e ho ascoltato, in intercettazioni, voci insospettabili dire cose che avrei preferito non conoscere. Il lavoro non ti protegge dal pregiudizio, nemmeno quando hai tutte le ricevute in tasca.
Dopo l’ennesimo rogo mi arriva un ordine della Procura: ripristinare lo stato dei luoghi. Non discuto, obbedisco. Ma per eseguire bisogna essere messi nelle condizioni di eseguire: servono atti, riscontri, conclusioni amministrative che certifichino il percorso già compiuto. Io quelle carte le ho cercate per anni. Ho bussato, ho protocollato, ho aspettato. Nel frattempo, dal 1° giugno al 30 settembre, sulle CDM (concessioni demaniali marittime) la legge non consente deleghe: chi guida deve esserci, non “prestarsi”. E così, stagione dopo stagione, le regole diventavano lacci solo per me.
A luglio (otto anni dopo l’inizio di questa storia) è arrivata finalmente la sentenza del TAR: mi riconosce un diritto, mette in fila i passaggi, dice, in sostanza, che quelle carte dovevano essere rilasciate. Ho tirato il fiato. Due mesi scarsi di sollievo. Perché poi è successo ciò che in un Paese serio non dovrebbe accadere: l’amministrazione comunale non ha ottemperato. Con la stagione chiusa il 3 agosto, ho dovuto depositare il giudizio di ottemperanza per ottenere quello che una sentenza mi assegna. Paradosso nel paradosso: a dicembre sarò in processo perché non avrei eseguito ciò che – documenti alla mano – non mi è stato messo in condizione di eseguire.
Questa non è la lamentela di un imprenditore in difficoltà. È la fotografia, fredda e dura, di una disfunzione che riguarda tutti: quando gli uffici si fermano, si ferma la vita di chi dipende da quegli uffici. Nel mio caso, si ferma il reddito di una famiglia, il futuro di due figli, la dignità di chi non ha mai chiesto scorciatoie. Ho rispettato norme e controlli, ho chiesto tavoli tecnici, cronoprogrammi, tempi certi su SCIA e atti conseguenti. Ho ricevuto silenzi, rimbalzi, attese. Nel frattempo, in città ci si indigna per un articolo, ci si appassiona alle generalità di reato riportate in un pezzo di cronaca, si grida allo scandalo per una riga di troppo. Lo scandalo vero, però, è l’inerzia.
Mi rivolgo ai catanzaresi non per chiedere pietà, ma attenzione. Oggi tocca a me, domani può toccare a voi o ai vostri figli. Vi sentite davvero persone perbene in una città dove si tollera che una sentenza resti lettera morta? Dove si lascia un imprenditore in agonia amministrativa per anni, salvo poi ricordarsi di lui quando c’è da contestargli ciò che non ha potuto materialmente fare? Nemmeno il peggiore dittatore – mi si perdoni l’immagine – agirebbe con tanta noncuranza verso la legalità sostanziale: se la legge parla, va eseguita.
Chiedo, qui e ora, cose semplici e verificabili: che il Comune di Catanzaro ottemperi alla sentenza del TAR; che si apra subito un confronto con Patrimonio, Provveditorato/Demanio, SUAP, Urbanistica e con i miei legali per chiudere la pratica con atti chiari e date sul calendario; che sia comunicato pubblicamente quando e chi procederà agli eventuali interventi tecnici ancora pendenti, demolizioni comprese, se davvero necessarie e legittime. Non cerco sconti, non reclamo privilegi. Rivendico trasparenza, certezza del diritto, rispetto per chi lavora.
Il giorno in cui quelle carte verranno firmate e consegnate, il giorno in cui potrò finalmente eseguire ciò che mi viene chiesto, sarà il giorno in cui – qualunque sia l’esito – avrò almeno ritrovato la cosa più importante: la verità amministrativa. E allora sì, chi vuole potrà tacciarmi di ciò che crede, ma sui fatti, non sulle ombre. Fino ad allora, resto un imprenditore che chiede allo Stato di essere Stato. E a Catanzaro di essere, una volta tanto, giusta".
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