'Caso Riace'. Il procuratore spiega a Repubblica la condanna a Lucano: "Un bandito idealista da western"

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Mimmo Lucano
  02 ottobre 2021 13:42

Si definisce un magistrato “progressista” Luigi D’Alessio, procuratore di Locri, iscritto a Magistratura Democratica, finito nel mirino dopo la sentenza di condanna in primo grado a 13 anni e 2 mesi nei confronti di Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace.

"Non è che io sia soddisfatto di tutti questi anni che il tribunale ha comminato. Noi ci eravamo tenuti sui minimi di legge possibili. Il Tribunale gli ha dato ben di più" aveva detto al  Giornale radio Rai ieri . "Le sentenze - aveva aggiunto  - non si commentano. Bisogna leggere le motivazioni, ma evidentemente la nostra ricostruzione non era così folle. Umanamente mi dispiace per Lucano, ma è stato riconosciuto l'impianto accusatorio". 

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 D’Alessio si rende conto che “13 anni sono parecchi e mi auguro che in appello sia ridotta”. 

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Si dice “umanamente dispiaciuto” in un'intervista alla Repubblica  il pm Michele Permunian, che per Mimmo Lucano aveva chiesto una condanna a 7 anni. “A Lucano sono contestati 22 reati”.

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Il procuratore di Locri, Luigi D’Alessio: “Lucano, un bandito idealista da western”. “Chiunque può commettere qualsiasi reato purché a fin di bene?” si domanda il magistrato. A Mimmo Lucano riconosce “una mirabile idea di accoglienza”, ma gli contesta di averla “riservata a pochi eletti che avevano occupato le case”. In altre parole, a dispetto della norma che prevedeva un avvicendamento periodico dei migranti, “lui manteneva sempre gli stessi, sottomessi. Gli altri li mandava nell’inferno delle baraccopoli di Rosarno”. Benché incassasse i fondi destinati ai corsi obbligatori di italiano, “non c’era un migrante che lo parlava”. E al di là dei murales e di qualche casa diroccata, “gli alloggi destinati ai migranti venivano abitati dai cantanti invitati per i festival”.

E ancora: “Tutto era organizzato per favorire varie cooperative locali, creare clientele, accumulare ricchezze, beneficiare di indotti elettorali”. Di qui la dura condanna per associazione a delinquere, oltre che di Lucano, di altre dieci persone. “Nessuno ne parla, ma si trattava di una corte celeste di accoliti che campava così e di cui lo stesso Lucano era per certi versi anche vittima”. Perché se è vero che Lucano non si è arricchito, tuttavia “c’erano abbondanti somme distratte. Soprattutto ai migranti, che erano vittime dei reati di Lucano e non certo beneficiari. Questo è il grande equivoco da cui la sinistra non riesce a liberarsi”. Ma chi è Mimmo Lucano, secondo il magistrato? A D’Alessio ricorda il protagonista di un celebre western di Sergio Leone, “il bandito di Giù la testa proclamato capo dei rivoluzionari suo malgrado. Idealista, improvvisamente issato su un piedistallo, ubriacato da un ruolo più grande di lui, inconsapevole della gravità dei suoi comportamenti, forse guidato da altre persone. Ha pensato di abbinare un’idea nobile a una sorta di promozione personale e sociale. Non è Messina Denaro, ma ha inteso male il suo ruolo di sindaco, proclamando “io me ne infischio delle leggi” e ostentando una scarsa sensibilità istituzionale tradotta in una serie impressionante di reati. Riace è un Comune dissestato”. 

Il pm Michele Permunian: “I reati ci sono e sono gravi”. “Comprendo il peso di una pena del genere: quando ho chiesto 7 anni e 11 mesi, sapevo che c’era il rischio di una condanna più alta” dice Michele Permunian a Repubblica. ”“A Lucano sono stati contestati più di 22 reati. Il problema non sono i finti matrimoni. Qui ci sono varie forme di peculato, truffa aggravata a danno dell’Unione europea. E poi è stata riconosciuta l’associazione a delinquere con altre 4 persone. È un processo molto tecnico ma l’opinione pubblica non vuole capire. Quei 13 anni vengono percepiti come assurdi e sproporzionati ma non c’è volontà di conoscere le carte”. Permunian dice anche che “avevo fatto anche una “requisitoria-b”, in cui arrivavo a un conteggio finale di 15 anni, ma preferivo fosse il tribunale a pronunciarsi. Prudenzialmente mi sono tenuto basso. La pena ora sembra molto alta ma se si leggono il capo d’imputazione e i reati contestati, si scopre che non lo è” perché - spiega ancora - “se l’impianto accusatorio fosse caduto, la pena sarebbe stata al massimo di 4 o 5 anni. Ma nel caso di Lucano le accuse più gravi hanno retto. Si sono create quindi le condizioni per applicare il profilo della continuazione, l’articolo 81 del codice penale”. Quanto alla responsabilità dell’epilogo, il magistrato dichiara: “All’inizio lo sentivo molto e anche ora non nascondo che mi dispiace. Ma il mio lavoro è anche questo. Devo essere autonomo e indipendente. Fortunatamente ci sono più gradi di giudizio. Se ho sbagliato, emergerà”.

La difesa, Giuliano Pisapia: “Sentenza ingiusta, Lucano voleva salvare vite”. “Anch’io ero incredulo, quasi attonito, ma continuerò a impegnarmi al suo fianco in appello per arrivare a ribaltare l’esito”, promette in un’intervista a la Repubblica l’avvocato Giuliano Pisapia, che aveva deciso di lasciare la toga e di cancellarsi dall’albo degli avvocati per “i troppi impegni, a cominciare dal Parlamento europeo” mentre poi “il 4 gennaio 2021 mi è stato chiesto di difendere Mimmo Lucano nel processo iniziato nel 2019”. Pisapia definisce la sentenza “inaspettata e ingiusta per almeno tre motivi processuali. Lucano ha ammesso di aver fatto errori di carattere amministrativo, che però eventualmente riguardano il Tar o la Corte dei conti e non hanno rilevanza penale” quindi “insieme all’avvocato Andrea Dacqua, abbiamo dimostrato che da sindaco non ha preso un euro” tanto che “lo stesso pm ha modificato l’accusa da ‘vantaggio economico personale’ a ‘vantaggio di carattere politico’. Ma, anche in questo caso - precisa l’avvocato Pisapia - abbiamo dimostrato come Lucano, che ha rinunciato a essere candidato nel 2018 alle Politiche e nel 2019 alle Europee, ha seguito solo i suoi valori, gli stessi della Costituzione”. E precisa: “Perchè un fatto sia reato ci vuole anche la consapevolezza di commettere un illecito. Ma le leggi sull’accoglienza sono complesse e mutevoli con diverse interpretazioni”. Pisapia conclude poi l’intervista facendo un parallelismo: “Nel processo di San Patrignano, Vincenzo Muccioli fu dichiarato non punibile in appello e in Cassazione per il reato di sequestro di persona e violenza proprio per lo ’stato di necessita. Ecco, là c’erano violenze, qui la dolcezza di un uomo che agiva per solidarietà” e “Mimmo voleva salvare chi ospitava”.

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