Catanzaro, ai Giardini San Leonardo lo striscione del Collettivo Aurora contro la violenza sulle donne

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images Catanzaro, ai Giardini San Leonardo lo striscione del Collettivo Aurora contro la violenza sulle donne


  21 novembre 2025 10:50

In vista della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, il Collettivo Aurora ha esposto ieri sera, 20 novembre, uno striscione con la frase “Il nostro corpo non è un campo di battaglia” ai Giardini San Leonardo, luogo simbolico della città di Catanzaro. Un gesto pensato come un “messaggio nella bottiglia” per denunciare tutte le forme di violenza che, ogni giorno, si consumano sui corpi e nelle vite di donne e bambine, in una guerra silenziosa fatta di stupri, femminicidi, violenze ordinarie, stereotipi di genere soffocanti, disparità economiche e discriminazioni strutturali che attraversano cultura e politica.

Accanto a questa azione simbolica, il Collettivo Aurora ricorda gli appuntamenti previsti nei prossimi giorni a Catanzaro: Sabato 22 novembre 2025 – ore 16:30, Centro Polivalente “Maurizio Rossi” Caffè Femminista – “Contro la violenza sulle donne: prevenire, resistere, lottare, proporre”;  Martedì 25 novembre 2025 – ore 10:30 (MUSMI, Parco della Biodiversità);  Giovedì 27 novembre 2025 – ore 11:00 (Centro Polivalente “Maurizio Rossi”) Cineforum per le scuole – proiezione del documentario “What We Fight For”, in collaborazione con Legambiente CZ e il Centro Calabrese di Solidarietà, con collegamento video con le registe e le protagoniste; Martedì 25 novembre 2025 – ore 17:30, da Piazza Matteotti a Piazza Galluppi Passeggiata rumorosa e flashmob “Rompiamo il silenzio”.

Diseguito il documento politico del Collettivo Aurora per la ricorrenza: 

"I nostri corpi non sono i vostri campi di battaglia #25novembre, ROMPIAMO IL SILENZIO! 

Nel momento storico in cui viviamo, di grandi mobilitazioni per il genocidio del popolo palestinese e di grande preoccupazione per i vari conflitti tra Stati, vogliamo ricordare che ogni secondo nel mondo si consuma una guerra senza confini che non desta alcun clamore ma, anzi, verso la quale sembra prevalere un sentimento di assuefazione generale. 

Dallo Yemen all’Afghanistan, da Haiti a Kiev, le guerre possono cambiare volto ma la violenza agita sui corpi e sulle vite delle donne rimane sempre la stessa. Come ribadito di recente da UN Women Italy «La violenza contro le donne è, tragicamente, un linguaggio universale.» 

Quando usiamo le parole guerra e violenza contro le donne, ci riferiamo agli stupri usati come arma di guerra come avviene in Sudan, nel silenzio degli altri governi; all’apartheid talebano che in Afghanistan ha rimosso le donne dalla vita pubblica privandole di ogni diritto più elementare; ai femminicidi, culmine di una lunga spirale di violenze che continuano a mietere vittime anche in Italia, nonostante tentativi legislativi come l’introduzione del reato penale di femminicidio. Tentativi repressivi che, però, non intervengono sulle cause strutturali della violenza e non sono accompagnati da adeguate misure di modifica del contesto culturale, di prevenzione e di supporto alle vittime. 

Più in generale, quando parliamo di guerra e violenza ci riferiamo a quel complesso sistema di potere e controllo che viene giocato e agito sui corpi e sulle vite delle donne da parte di uomini ma anche dalle Istituzioni e dalla politica, per il perpetuarsi di una cultura misogina profondamente radicata che influenza tutte le persone. E’ violenza l’esposizione senza consenso dei nostri corpi che emerge dal digitale ma è violenza anche l’assenza di welfare che viene scaricato quasi completamente sulle spalle delle donne, soprattutto in regioni meridionali come la Calabria, dove il tasso di occupazione sfiora il 32% e la mancanza di lavoro ci relega in uno stato di perenne sfruttamento sociale, fino a portarci alla rinuncia alle cure.

E’ violenza che, per un emendamento al decreto PNRR approvato nel 2024, associazioni anti scelta possano entrare nei consultori ai quali si rivolgono le donne che scelgono di abortire. Allo stesso modo il DdL Valditara, introducendo l'obbligo di consenso informato scritto dei genitori per ogni attività scolastica riguardante temi legati alla sessualità e all’affettività, alle medie e superiori, potrà creare pericolose disuguaglianze e divari d’accesso ad una corretta informazione circa la salute sessuale e riproduttiva, il consenso e le relazioni rispettose, proprio laddove invece bisognerebbe intercettare minori che vivono in contesti fragili, in cui violenza e tabù sono il pane quotidiano. 

E’ ancora violenza che giovani donne stuprate dal branco a Seminara vengano condannate all’esilio dal loro paese, rivittimizzate da una mentalità mafiosa, retrograda e abusante. Come a Taurianova eravamo accanto a Malanova, anche in questo caso sappiamo bene da che parte stare, calpestando “onore e dignitudine”. 

E’ violenza che donne immigrate, pur svolgendo pesantissimi lavori di cura ed essendo spesso sovraqualificate, siano incastrate in lavori mal retribuiti e non riconosciuti, cittadine di fatto e non di diritto. Così come è violenza quella agita quotidianamente sulle donne rifugiate, ai confini ma anche nei luoghi in cui dovrebbero ricevere tutele, invisibili relegate ai margini. E’ violenza lo stigma sociale che viene addossato alle donne trans, i pregiudizi che le relegano in un mare di discriminazioni, le gravi negazioni di diritti che sono costrette ad affrontare nelle carceri. 

E’ un fenomeno sottostimato e da moltiplicare all’ennesima potenza per conoscerne la portata, la violenza agita sulle donne con disabilità, spesso proprio in quegli ambiti familiari e di cura in cui dovrebbero essere più protette. E’ una violenza senza fine che le case rifugio e i centri anti violenza non ricevano fondi sufficienti per accogliere e sostenere le donne quanto sarebbe necessario nel nostro Paese. 

E’ una guerra quella che si consuma negli uffici giudiziari e nei tribunali, dove donne che denunciano violenze sono costrette a difendersi da assurdi tentativi di colpevolizzazione e da sentenze che hanno il sapore di crocifissioni. E’ una guerra l’uso di perizie per stabilire l’esistenza di una presunta “alienazione parentale” già respinta dalla comunità scientifica internazionale e anche dalla giurisprudenza, ma che fa comodo per strappare bambin* alle madri. È una guerra il tentativo di far rientrare dalla finestra il DdL Pillon tramite altri DdL che, puntando a una “parità assoluta” nell’affidamento dei figl*, rischiano di trascurare il reale benessere e interesse primario dei minori. 

Ogni secondo, nel mondo, potere e politica tentano di addomesticare i nostri corpi e disciplinare le nostre vite per controllarne produzione e riproduzione, per garantire privilegi e autoconservazione. Perfino per arricchirsi sulle nostre malattie, come emerge nel documentario Pink Ribbons che mostra come la devastante realtà del cancro al seno, etichettata dagli esperti di marketing come una "causa da sogno", venga offuscata da una lucida e rosa storia di successo. I corpi delle donne, oggettificati dalla nascita alla morte, sono da sempre il corpo biopolitico per eccellenza. Su questo crinale in costante tensione, ciascuna con la propria individualità e la propria storia, ci riconosciamo come soggetto imprevisto che si vuole sottrarre a guerre che non ci appartengono e che rifiutiamo. I nostri corpi non sono i vostri campi di battaglia. Le vostre armi, la violenza fisica come quella istituzionale, i ricatti legati al denaro o ai figl*, gli ostacoli feroci posti alle nostre libertà, non ci faranno stare zitte. Se la posta in gioco è costituita dalle nostre stesse vite o da quelle dei nostri figl*, se la posta in gioco è la nostra felicità, ROMPIAMO IL SILENZIO!"


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