Catanzaro, Ciacci: "L'inclusione dimenticata, la sete della città e il primato del bene comune"
30 giugno 2025 09:18
di CLAUDIO MARIA CIACCI
In un tempo in cui le parole “inclusione” e “diritti” sono divenute vessilli di ogni amministrazione moderna, è doveroso porsi la domanda fondamentale: quale inclusione merita oggi priorità in una comunità civile e ordinata? Catanzaro, capoluogo storico e culturale della Calabria, ha recentemente abbracciato con entusiasmo iniziative simboliche volte a dare visibilità a istanze legate al mondo LGBT, facendo proprio un linguaggio che si richiama alla cosiddetta “politica gender”. Tuttavia, è proprio in questo zelo per l'apparenza inclusiva che rischia di smarrirsi il principio cardine di ogni buona amministrazione: la cura del bene comune, concreto, essenziale.
In queste settimane di afa estiva, che a Catanzaro si manifesta in tutta la sua intensità, migliaia di cittadini si ritrovano a fare i conti con una realtà inaccettabile: la carenza d’acqua. Rotture dell’acquedotto o almeno così si racconta, hanno reso instabile e talvolta inesistente l’erogazione di quel bene primario senza il quale non esiste inclusione, dignità, né uguaglianza. È bene ricordarlo: l'acqua è vita. È il diritto umano per eccellenza. È il simbolo stesso della benedizione nella nostra tradizione culturale e cristiana.
Come ammoniva Giorgio La Pira, sindaco di Firenze e figura esemplare del pensiero politico integrale, "non esiste città giusta che dimentichi i poveri e i loro bisogni concreti". La vera inclusione parte dai bisogni fondamentali, dal diritto alla salute, alla dignità della vita quotidiana, al rispetto per l’anziano che non può lavarsi, per la madre che non può cucinare, per il lavoratore che torna a casa e non trova ristoro. L’acqua è un bene che precede ogni altra agenda politica, simbolica o ideologica. E la sua mancanza è un’umiliazione che si abbatte soprattutto sulle fasce più fragili della popolazione.
Chesterton ammoniva che "il compito della civiltà non è quello di abolire le differenze, ma di rispettarle, costruendo una casa comune". Ma come si può parlare di casa comune quando, nelle case, manca l'acqua? Quando i cittadini devono organizzarsi con taniche e autobotti, vivendo in condizioni che più si avvicinano alla precarietà che alla civiltà?
La retorica dell’inclusione, quando è separata dal senso della realtà, rischia di diventare una caricatura di sé stessa, una cortina fumogena che distoglie l’attenzione dai doveri elementari di un’amministrazione. Si promuovono giornate, bandiere, messaggi arcobaleno, ma si dimentica che la vera uguaglianza si realizza innanzitutto nella parità di accesso ai beni essenziali. Non è un caso che il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa ricordi come “l’acqua, elemento fondamentale per la vita, deve essere considerata un bene pubblico da garantire a tutti”.
Non si nega il valore della sensibilità verso ogni persona. Ma la responsabilità politica, soprattutto a livello locale, non può cedere alla tentazione dell’immagine a scapito della sostanza. L’inclusione non può essere selettiva, né ideologica. Deve partire dalle fondamenta e le fondamenta sono acqua, pane, lavoro, servizi.
Catanzaro ha diritto a essere una città moderna, ma non sulla pelle dei suoi cittadini più deboli. Ha diritto a essere una città aperta, ma non distratta. Ha il dovere di essere una città giusta, a partire dal pozzo, non dal manifesto.
Perché ogni arcobaleno, se vuole avere senso, ha bisogno prima della pioggia. E ogni convivenza pacifica e ordinata ha bisogno, innanzitutto, dell’acqua che unisce e disseta. Tutti.